Il testamento di Luigi Pirandello

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Di Pietro Seddio

Da testimonianze oculari si seppe che il testamento era stato redatto qualche decennio prima che arrivasse la sua dipartita e che era stato vergato, dallo stesso, su un vecchio, sbiadito, foglietto. Era rimasto sepolto, tra le sue carte, per circa un venticinquennio e nessuno saprà se ebbe modo di cambiarlo aggiungendo o togliendo qualche cosa.

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Il testamento di Pirandello
La tomba di Luigi Pirandello presso la casa natale.

Il testamento di Luigi Pirandello

“Io ci sono vicino. Uno di questi giorni dovrò andarmene. E’ atroce. Si sta come il condannato nella cella della morte. A spiare ogni rumore strano di là, dall’uscio. Ecco son qui. Vengono a prendermi… e mi sento invece forte, pieno di possibilità, di energia”. 

Luigi Pirandello

Il testamento di Luigi Pirandello – Indice
  • Il testamento di Luigi Pirandello
    Il testamento di Luigi Pirandello

    Di Pietro Seddio.  Da testimonianze oculari si seppe che il testamento era stato redatto qualche decennio prima che arrivasse la sua dipartita e che era stato vergato, dallo stesso, su un vecchio, sbiadito, foglietto. Era rimasto sepolto, tra le sue carte, per circa un venticinquennio…

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NOTA

La notorietà stigmatizzata di Luigi Pirandello da moltissimo tempo è stata sottolineata da tantissimi validi autori che hanno cercato di entrare nel mondo complesso di questo grande autore vanto della Sicilia, dell’Italia e di tutto il mondo culturale che nel 1934 lo ha reso immortale assegnandogli il Premio Nobel per la Letteratura.

Ancora oggi, come sostengono alcuni analisti il nostro autore è vivo e la sua attività artistica è ancora in pieno vigore.

Questo essere “vivo” e “attivo” comporta qualche rischio ad onor del vero perché ci si deve continuamente confrontare con una certa “critica” che ha finito per appesantire e complicare l’opera pirandelliana facendo sì (a volte inconsapevolmente, si spera) che il pubblico si allontanasse dallo stesso e quasi ignorasse non solo la sua poderosa produzione, ma rifuggisse dal suo stesso pensiero che è stato presentato come “negativo” ed anche “incomprensibile”.

A dire il vero lo fu anche allora per chi ebbe le fortuna di frequentarlo, a cominciare dalla moglie Antonietta Portulano, che, nel leggere le lettere che l’ancora fidanzato le inviava, si trovava come smarrita.

“Io immaginavo la vita come un immenso labirinto circondato tutto intorno da un mistero impenetrabile: nessuna via d’accesso mi invitava ad andare per un verso anziché per un altro: tutte le vie mi parevano brutte o inaccessibili. A che scopo andare? E dove andare? L’errore è in noi, nella nostra mente, e la mente è nella nostra vita, un male privo di sensi, io mi dicevo…”. 

La sua ossessionante angoscia: quella di non capire perché ci si trovi in questa terra, con questa vita che a quale traguardo porta? Certamente la morte e con questa da sempre intese fare i conti, giornalmente e non solo lui medesimo, ma ha costruito un mondo parallelo di personaggi che, per sua determinazione, si sono trovati a porre le stesse domande fino allo sfinimento e qualcuno di questi personaggi, alla fine, ha risolto l’enigma, togliendosi di torno senza tanti complimenti e per non continuare a disturbare ponendo sé e gli altri, con domande senza risposte, di fronte a scavare nel loro interno. E non tutti si sentivano pronti a questo lavorio.

Una prima lucida testimonianza che ci mette di fronte ad un evento letterario di portata mondiale, la presenza di Pirandello.

La sua fu una vita piena di conflitti, soprattutto interiori, che forgiarono il suo animo, alimentarono la sua vivida intelligenza inventiva e che comunque gli fece sentire soprattutto il peso della solitudine perché fu un uomo solo, nonostante la sua notorietà mondiale.

Forse l’unica che riuscì, per un certo tempo, a non farlo sentire solo certamente fu la presenza di Marta Abba con la quale ebbe una relazione conflittuale, mai definita ed è per questo che i soliti solerti critici ci hanno guazzato costringendo, soprattutto lei, a spiegare poco prima di morire a spiegare in termini chiari quel rapporto sul quale si erano buttati a volte infangando i due così noti personaggi.

Ma un altro elemento cardine, oltre alla pazzia, il concetto della morte che fu sempre presente fin dai prima anni della sua infanzia in quella campagna, il Caos, deserto e assolato e dalla quale, ai limiti della collina, vedeva il perdersi del grande mare africano.

Le fu, la morte, silenziosa compagna di percorso e proprio prima di morire, sapeva che la sua esperienza terrena era terminato tanto da riferirlo al medico che gli curava quella fastidiosa polmonite che gli sarebbe stata fatale tanto da portarlo alla morte. Conoscendo la sua storia, la sua vicenda umana, ci si accorge che sullo stesso sembrò incombere una sorta di maledizione, una violenza che coinvolse la sua vita nonostante fin da giovanissimo iniziò una ribellione con l’intento di uscire dalla rassegnazione e della stasi sperando di rompere quel cerchio (come giogo) lo costringeva ad accettare supinamente mentre il suo intimo scalpitava.

Tutto fu complicato, dallo scrivere, ai rapporti con i genitori, con il suocero, con la moglie, poi più avanti con i figli, con alcuni critici che non mancavano di attaccarlo ed anche con il pubblico che non mancò di definirlo, ad alta voce: “pazzo”.

E fu proprio la pazzia la sua condanna ma nel contempo la valvola di sfogo e forse anche la bacchetta magica perché partendo da questa “nomea” seppe creare capolavori, personaggi eterni con i quali ancora oggi ci si confronta.

Ecco da subito riportato un suo significativo pensiero:

“Io scrivo per naturale necessità, per bisogno organico perché non potrei farne a meno (…). Ah miei cari, è bene una follia, questa che chiamiamo Arte, una follia! E io son suo, tutto suo, per sempre suo! Perdonatemi e compatitemi”. 

La sua lucidità intellettuale fu la sua spada che seppe dare fendenti a destra e a manca e non furono pochi quelli che per molto tempo portarono i segni di quei colpi, d’altro canto un intellettuale di quello spessore non poteva continuare in eterno a sopportare le contumelie, le dicerie, le cattiverie che gli si riversavano contro, a volte anche gratuitamente.

Molti, alla sua morte, pensarono che si poteva considerarsi chiuso per sempre quel ciclo luminoso esistenziale che da lui medesimo definito “involontario soggiorno in terra”, dal quale era facile intuire che stesse preparando un vero e proprio romanzo autobiografico.

Dopo aver scritto decine di opere, l’ultima (un testo teatrale) rimase incompiuto, ma allorquando fu portato a conoscenza, e rappresentato con la stesura finale effettuata dal figlio, si riuscì ancora meglio a comprendere che forse così doveva accadere, con la fine del suo teatro del mito, al quale aveva dedicato molto tempo, finiva anche questo soggiorno terreno, in quanto quello che doveva riferire lo aveva fatto con coscienza, lucidità, anche un senso di perfidia ironica che non guastava seppur molti arricciarono il naso, soprattutto quella borghesia bigotta che comprendeva anche parte del clero a lui sempre inviso e mal digerito.

Fu considerato spretato, ateo, e anche dopo morto le conseguenze furono determinanti. Come dire che nemmeno da morto si può stare in pace.

Era ormai chiaro che già da tempo, nel suo segreto, gli si aprivano chiarezze crude e sospensioni rivelatrici in cui gli pareva di cogliere il passo della visitatrice che avanzava con lesto passo. L’idea della morte doveva prenderlo come una vertigine di annichilimento, ripugnante allo spirito, come ad ogni spirito sommo.

Dovette accadere, in una di queste ripulse rabbrividenti, che, per una antitesi psicologicamente spiegabile egli ne rifuggisse, e poi, riprendendosi rifacesse a ritroso il cammino in una ebbrezza di nudità, di spogliamento totale, di distruzione.

Solo in questo modo si può comprendere l’amarezza spietata della quale è intriso il suo testamento, trovato dai familiari e con affettato zelo applicato, che culmina nella cremazione. A quei tempi, per la chiesa, un atto deprecabile.

Da testimonianze oculari si seppe che era stato redatto qualche decennio prima che arrivasse la sua dipartita e che era stato vergato, dallo stesso, su un vecchio, sbiadito, foglietto.

Era rimasto sepolto, tra le sue carte, per circa un venticinquennio e nessuno saprà se ebbe modo di cambiarlo aggiungendo o togliendo qualche cosa. Oggi è quello che si conosce e del quale, nel tempo, si è data ampia notizia.

Comunque sia e ad onta di tutto, la Morte fu assai familiare allo spirito dello scrittore.

E proprio tutta la sua copiosa produzione è percorsa dalla presenza della Morte, nella sua tragica realtà, così come nella grottesca cangiante in forme multiple: ora naturale, ora violenta, ora pietosa, ora repellente, ora serenante. Le diverse facce di una stessa medaglia o di un dodecaedro.

E’ anche sintomatico che poco prima della sua dipartita, Pirandello parlando con un suo amico, confidava:

“Io ci sono vicino. Uno di questi giorni dovrò andarmene. E’ atroce. Si sta come il condannato nella cella della morte. A spiare ogni rumore strano di là, dall’uscio. Ecco son qui. Vengono a prendermi… e mi sento invece forte, pieno di possibilità, di energia”. 

Questa ultima testimonianza riscontrabile nelle poche righe del testamento, rappresentano la sintesi della sua vita, del suo pensiero, del suo essersi proiettato verso luoghi sconosciuti, misurandosi con il nulla, l’eterno, il massimo dell’annientamento umano di fronte al mistero impenetrabile del dopo morte. C’è una problematica, grave ed esasperante, proposta e riproposta nella complessa molteplicità delle sue istanze.

Molto acutamente è stato sottolineato che l’Autore, infatti, volle assumere e sussumere in sé, Anima e Arte, il peso di problemi spirituali, etici e sociali di tutta una umanità, che li ha sofferti e continua a soffrirli ancora nel presente. Sono stati i problemi di tutta un’età nostra, segnata dalla dolorosa eredità del Romanticismo.

Ebbe la capacità di portarli i sé, in una travagliata ricerca di sbocchi, di superamenti, di soluzioni, la quale però, pur esasperandolo, non riuscì ad essere liberatrice e meno che mai serenatrice.

Rimane, per quanto da lui espresso, uno degli spiriti più alti e complessi della nostra epoca, spirito insonne attese il suo lavoro a cavallo dell’Ottocento e del Novecento assorbendo tutte le condizioni sociali, i dissesti materiali, le delusioni e aspettative che caratterizzarono soprattutto il primo Novecento e alla fine, rileggendo la sua opera, si può affermare senza ombra di dubbio, che la sua Arte è stata uno specchio per più di un cinquantennio di vita europea e mondiale ed è per questo che in tutto il mondo è conosciuto, apprezzato, studiato ed ammirato.

Forse più di quanto accade nel nostro Paese così facile a dimenticare i veri protagonisti per rendere omaggio ai fallaci idoli costruiti ad uso e consumo degli sciocchi, degli stolti, ma soprattutto dei… pupi.

Cosa dunque rimane di questa presenza letteraria?

La consapevolezza che seppur tutta la sua Arte gli appartenne per diritto, la stessa ha conosciuto l’interesse umano e schietto e profondo che l’ha contrassegnata riuscendo a varcare i limiti dello spazio e del tempo e per questo è diventata universale.

Una profonda conoscitrice dell’animo di Pirandello, l’agrigentina professoressa Maria Alajmo, parlando di questa peculiarità, ha così scritto, tra l’altro:

“La sua eccezionale esperienza spirituale, la vasta risonanza che ebbero in lui le correnti filosofiche, culturali nonché sociali e politiche contemporanee; la penetrazione acuta di ciò che vi è nell’uomo, attraverso le manifestazioni sempre cangianti delle realtà e della fantasia; gli scambi e le fusioni del tragico e del comico, che non sono letterarie contaminazioni, ma partecipazioni sofferte di contrasti e di urti interiori, fanno dell’arte del Maestro, un’arte che intimamente ci appartiene”. [1] 

[1] Maria Alajmo, Pirandello e la Morte, Ed. Centro Culturale Pirandello, Agrigento

A suffragio di quanto testé letto, si aggiunge che quest’arte pirandelliana risulta essere anche rivelatrice in quanto denuda e flagella le mal costrutte realtà di cui si viene a vestire oggi l’Arte.

Potrebbe, solo che lo potesse o volesse, aprire ad essa un varco verso il traguardo e spingervela, perché si ritrovi. E perché ritrovandosi apprenda quel che le manchi o la combatta.

Ecco allora centrato e messo a nudo il punto dolente per lui e per noi che continuiamo a venerarlo, a studiarlo, ad amarlo. In quanto, non poggiando, la sua Arte, su una visione di certezza metafisica, eccezione fatta di ammirevoli conquiste di umanesimo egregio, ed essendo lontana da una realtà trascendentale e dal riconoscimento di un destino soprannaturale dell’uomo, in ultima analisi resta testimonianza fedele della problematica angosciante del nostro tempo, ma non è risolvente. Agnosticismo e pessimismo continuano a permearla e che sono riflesso di atteggiamenti interiori, i quali presentano e forse anche additano, nuove vie, ma nella loro definitiva immanenza, bloccano il cammino verso ulteriori approdi. Signori, questo è Luigi Pirandello!

“Il dilemma dell’immaginazione è opera viva: e come tale ha i suoi caratteri. Tutto ciò che non è necessario è nocevole; tutto ciò che nell’organismo non coopera alla vita comune, la divide, la indebolisce”.

L. P.

Pietro Seddio

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