Il testamento – Capitolo Cap. 9: Bruciatemi

Di Pietro Seddio

Il problema che emergeva da quella richiesta, per alcuni del tutto assurda e anacronistica, aveva radici lontane giacché su questo argomento certamente il Maestro si era documentato e sapeva che quella pratica non era un capriccio, ma una “tradizione” che si perdeva nella notte dei tempi.

Il testamento di Luigi Pirandello

Per gentile concessione dell’ Autore

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Il testamento di Pirandello. Capitolo 9
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Il testamento di Luigi Pirandello
Capitolo 9
Bruciatemi

Un altro desiderio (volontà non discutibile, quindi imperativo nell’essenza e nel significato) che questa volta non interessa solo la sfera dei suoi affetti, delle persone che lo avrebbero accompagnato o meno all’ultima dimora, questa volta il problema usciva da confini personali e si ingigantiva perché veniva a contrastare con il dettato della Chiesa (almeno a quel tempo) che non vedeva di buon occhio l’esercizio della cremazione per tutta una serie di motivazioni, alcune anche di carattere etico.

Quindi un’altra tegola che veniva ad incrinare quel rapporto umano-religioso sempre al centro del dibattito che aveva coinvolto non solo la produzione letteraria ma la vita stessa dello scrittore.

In ogni caso la cremazione, soprattutto in alcune grandi città, era prevista, ma stante le tradizioni cattoliche di tutta la famiglia di Pirandello, quel desiderio apparve come un altro schiaffo assestato dal Maestro contro quelle che lui da sempre considerò convenzioni inutili nonostante rimase legato ad alcune tradizioni sicule delle quali fu estremamente geloso.

Certo in tutto questo non si poteva negare che la conflittualità di certi comportamenti, a volte assai evidenti, furono presenti nello stesso non esente da difetti ed allora anziché disertare sulla opportunità o meno di adempiere a quell’altro desiderio (forse l’ultimo) occorreva provvedere e fare si che il corpo dei Maestro venisse creato al Verano dove intanto era stato portato in quell’umida mattinata.

Il problema che emergeva da quella richiesta, per alcuni del tutto assurda e anacronistica, aveva radici lontane giacché su questo argomento certamente il Maestro si era documentato e sapeva che quella pratica non era un capriccio, ma una “tradizione” che si perdeva nella notte dei tempi. Infatti la cremazione è la pratica di ridurre, tramite il fuoco, un cadavere nei suoi elementi base (gas e frammenti ossei). Si tratta di una pratica molto antica: in Asia tale consuetudine si è mantenuta pressoché inalterata da millenni (si pensi all’India).

Alcune culture antiche hanno creduto che il fuoco fosse un agente di purificazione e che la cremazione illuminasse il passaggio dei defunti in un altro mondo, o che ne impedisse il ritorno tra i vivi. Contrariamente a quanto si possa pensare, la cremazione non riduce il cadavere in cenere: i resti di tale pratica sono frammenti ossei friabili che, in un secondo momento, vengono sminuzzati fino a formare una cenere che poi, a seconda degli usi, delle consuetudini o delle ultime volontà della persona defunta, vengono custodite in un’urna, sepolte, sparse, o altro.

La cremazione è documentata tradizionalmente tra le popolazioni di stirpe indoeuropea e tra coloro che hanno adottato religioni di tale origine, come il buddhismo. Fanno eccezione a tale regola i seguaci di Zarathustra, sopravvissuti sino a oggi come comunità Parsi che, pur appartenendo a una religione indoeuropea, rifiutano la cremazione: venerando il fuoco, non possono permettere che esso tocchi cadaveri ritenuti impuri. Per l’elimi-nazione del corpo, senza dover ricorrere alla sepoltura, rito estraneo al mondo indoeuropeo, ricorrono alle “torri del silenzio”. I Greci cominciarono a cremare i loro morti fin da 3.000 anni fa: la cremazione era il modo predominante di eliminare i cadaveri. L’importanza del rito faceva sì che fosse riservata alle persone più nobili e famose.

A Roma la cremazione si trasformò in un’usanza così radicata da far costruire e affittare dai parenti dei defunti loculi all’interno di un columbarium. I loculi erano delle nicchie o strutture simili, disposte orizzontalmente nelle pareti dei colombari, atte a contenere le ceneri dei morti.

Presto la vendita di loculi o di interi colombari si trasformò in un lucroso commercio.

Con la diffusione del Cristianesimo, la pratica della cremazione nell’impero romano decadde a favore della sepoltura.

Anche se la cremazione non era esplicitamente un tabù fra i cristiani, era guardata con sospetto dalle autorità religiose e, a volte, apertamente osteggiata a causa della sua origine pagana greco-romana e per la preoccupazione che potesse interferire con la resurrezione del corpo e la sua riunione con l’anima.

Un altro motivo più pratico del declino delle cremazioni fu quello della crescente penuria di legname alla fine dell’Impero Romano, materiale ovviamente indispensabile per la combustione dei cadaveri.

Le cose cambiarono con l’avvento dell’Illuminismo e con Napoleone Bonaparte, il quale, tramite il celebre Editto di Saint Cloud del 1805 inerente all’obbligo di inumazione dei cadaveri in cimiteri extraurbani, gettò le basi delle odierne norme legislative in materia di diritto cimiteriale. La cremazione è rimasta rara in Europa occidentale fino al XIX secolo, tranne in casi eccezionali: ad esempio, durante l’epidemia di peste nera del 1656, i corpi di 60.000 vittime furono bruciati a Napoli in una sola settimana.

Dal XX secolo il termine cremazione è anche correlato allo sterminio di massa di prigionieri deportati nei lager nazisti. I primi forni crematori  moderni  sono  ascritti  agli studiosi Brunetti, Polli-Clericetti, Paolo Gorini da Lodi, Venini, Guzzi e Spasciani-Mesmer.

Nel 1963, a seguito del Concilio Vaticano II, anche la Chiesa cattolica con l’istruzione Piam et constantem della Suprema Congregazione del Sant’Uffizio ha ribadito l’invito ai vescovi di predicare l’inumazione, che è la pratica tradizionale della Chiesa.

Nel contempo però ha disposto che possano avere la sepoltura ecclesiastica anche i propri fedeli che hanno scelto di farsi cremare, a condizione che la loro scelta non derivi della negazione dei dogmi cristiani, da appartenenze a sette, dall’odio verso la religione cattolica o verso la Chiesa.

Nell’aprile del 2002 il cardinale Jorge Medina Estévez, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ha annunciato la preparazione di un rito della cremazione.

Tuttavia, il Codice di Diritto Canonico sostiene nel canone 1176, che

“la Chiesa raccomanda vivamente che si conservi la pia consuetudine di seppellire i corpi dei defunti; e non proibisce la cremazione, a meno che questa non sia stata scelta per ragioni contrarie alla dottrina cristiana”.

La Cei in data 2 marzo 2012 ha presentato la seconda edizione italiana del “Libro delle esequie” che sancisce un “Sì” condizionato alla pratica di cremare i defunti: le ceneri, per la Chiesa cattolica, devono essere conservate nei cimiteri e non dispersi in mare o altrove in natura né conservate in casa o in giardino.

Il testo approvato dai vescovi è obbligatorio dal 2 novembre 2012. Invece la maggior parte delle chiese evangeliche e protestanti non solleva alcuna obiezione contro la cremazione. Le Chiese ortodosse, al contrario, la vietano in maniera assoluta, obbligando l’inumazione.

Come è facile arguire la questione da tanto tempo ha coinvolto una serie di principi, soprattutto cattolici, che alla fine sono stati superati ed oggi questa pratica è largamente usata anche perché, (non sembri un problema da poco) mediante la cremazione si contengono le dimensioni delle tombe e si recupera spazio considerando il numero in aumento della popolazione che a volte non trova, da morto, un posto per riposare in pace, e di questo si è fatto portavoce, in modo particolare, Leonardo Sciascia, allorquando ha descritto la situazione cimiteriale della sua Regalpetra.

Comunque come Dio volle il Maestro, finalmente, fu cremato come da suo desiderio e posto in una piccola bara e inumate in un punto imprecisato del cimitero per cui quando si volle tenere fede alla seconda ed ultima parte del desiderio quale quello che le sue ceneri fossero disperse, o eventualmente, portate nella sua città natale per essere sepolte in località Caos, i problemi sembrarono irrisolvibili perché nessuno, dopo tanti anni, aveva ricordo di dove si trovasse collocata l’urna con le ceneri del Maestro. Ecco perché si diceva che nemmeno da morto il povero Pirandello poteva aspirare ad avere pace.

Pietro Seddio

Il testamento di Luigi Pirandello

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