Dietro la maschera di Pirandello c’è Dante

Di Michela Mastrodonato

Mentre si preparano le celebrazioni per il 700° anniversario dalla morte di Dante Alighieri, un’indagine svela come in Uno, nessuno e centomila l’autore siciliano abbia segretamente riscritto la Commedia

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Pirandello e Dante
Moscardante. Disegno di Leonardo Lucibelli. per concessione dell’Autrice dell’articolo.

Dietro la maschera di Pirandello c’è Dante

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Nell’articolo l’Autrice illustra la sua ricerca durata tre anni (in corso di pubblicazione sull’accademica “Rivista di Letteratura Italiana” diretta dal Prof. Baroni della Cattolica di Milano), secondo la quale il romanzo Uno, nessuno e centomila è una riscrittura pedissequa della Commedia di Dante.

da «Venerdì di Repubblica», 21 agosto 2020

Da quasi cent’anni esploriamo con sensibili sonde filosofiche le gesta di Vitangelo Moscarda, figlio di un usurario e protagonista del romanzo di Luigi Pirandello Uno, nessuno e centomila. Lo seguiamo con inquieto interesse, questo ben educato «commediante» mentre reagisce in modo rovinoso, e inspiegabilmente esagerato, alla scoperta del suo naso che «pende verso destra». Egli si allontana infatti da una moglie desiderabile, medita il suicidio chiacchierando con la sua cagnolina, liquida la banca fondata dal padre con due soci demoniaci, e infine prende dimora in un «ospizio di mendicità». In questo insolito viaggio egli fa terra bruciata del suo «mondo costruito», s’arrampica su per una certa Badia dei «Chiaramonte» e infine si effonde nell’eterea dimensione del «vento».

In mancanza di redazioni preparatorie, tranne un pulitissimo manoscritto definitivo, non ci è dato capire se esiste un nesso tra questo naso storto e l’onta di avere un padre usuraio.

Sappiamo solo che nella sostanza filosofica Pirandello mette in scena la crisi della società borghese d’inizi Novecento, il suo insaziabile delirio di potenza, la morale “reificante, la sua rispettabilità ipocrita. E che, con quest’idea nella testa, egli scompone il suo personaggio, ne frantuma cioè l’oggettività dello sguardo e ne dissipa l’integrità nello spazio e nel tempo.

Ma nello stile? Che combina Pirandello nelle sue scelte stilistiche?

La questione è sollevata dalla «Rivista di Letteratura Italiana», che passando al setaccio parole, costruzioni sintattiche, soluzioni narrative e caratteri dei personaggi, insinua il sospetto che sotto le mentite spoglie di un romanzo novecentesco, l’Uno, nessuno e centomila celi in realtà il sottostante universo trecentesco della Commedia dantesca, che Pirandello sembra riscrivere parola per parola, frase per frase, personaggio dopo personaggio. Come se proprio l’esule Dante, vittima illustre della nascente società borghese, potesse ai suoi occhi incarnare il personaggio scomposto per eccellenza.

Forse, dunque, per questo la ferita immedicabile di Moscarda (incisa nel cognome) è un padre «usuraio» (come Alighiero Alighieri); e per questo forse la madre è «morta giovanissima» (come Bella degli Abati, morta quando Dante è solo un bambino).

E non basta. Anche il volto di Moscarda si sovrappone a quello di Dante. Egli ha infatti «ventotto anni» quando inizia a raccontarsi, cioè «nel mezzo del cammin» della vita effettivamente vissuta da Dante, che sette secoli fa morì a cinquantasei anni. E il suo volto è «barbuto», il naso è «aquilino» (come racconta Boccaccio nel Trattatello in laude di Dante), e in faccia gli campeggia un naso che «pende verso destra».

Curiosamente gli studi su Dante non hanno troppo indugiato su questioni fisiognomiche, ritenendo forse che per la gloria delle patrie lettere, non fosse poi così vitale che il naso del sommo poeta fosse dritto o storto.

Tuttavia, proprio il setto nasale deviato a destra emerge dalla ricognizione dei resti danteschi eseguita a Ravenna per il VI centenario dalla morte, tra il 29 e il 31 ottobre del 1921. La notizia è resa pubblica dai «Rendiconti dell’Accademia dei Lincei» nel ‘23, quando Pirandello ancora è alle prese con l’Uno, nessuno e centomila. Una ricognizione perfino intrepida, quella condotta dall’équipe dell’insigne antropologo Fabio Frassetto che in quarantotto ore misurò tutte le ossa di Dante ed eseguì un calco pirata del cranio, rubando notizie preziose sulle cavità interne. Pagine che non devono essere sfuggite a Pirandello, assiduo lettore di riviste periodiche e accanito cultore di ricerche dantesche, come dimostrano i suoi poco studiati Scritti danteschi. Così, tra foto, tabelle e minute misurazioni effettuate sullo scheletro di Dante, egli ha di certo notato la frase: «le ossa nasali sono deviate verso il lato destro». E la statura, poco più di un metro e sessantasette, che Pirandello arrotonda a «un metro e sessantotto».

Certo, nel ‘23 l’architettura dell’Uno, nessuno e centomila, cui Pirandello lavora almeno dal 1909, è ampiamente definita, l’intuizione dantesca di fondo è già declinata. Ma forse la scoperta di questo naso deviato a destra può aver suggerito il famoso incipit, tutto giocato su un difetto catastrofico, «irreparabile guasto sopravvenuto al congegno dell’universo»; «immeritato castigo» come quello patito da Dante che in alcune lettere si firma «exul inmeritus»; tragica «menda» di chi deve «mendicare» asilo, come lamenta Dante nel Convivio.

Si spiegherebbe così anche l’annosa gestazione del romanzo, almeno «quindici anni» come racconta il figlio Stefano. Quindici anni per scrivere solo centrotrenta paginette? Certo che sì, se questo è il frutto di un’operazione stilistica coltissima, defatigante, che ambisce a riscrivere la Commedia con i suoi archetipi, i suoi paesaggi interiori, attraverso doppi sensi lessicali e sintattici, sinonimie, omografie, paraetimologie e anacronismi filologici, come solo un docente di Stilistica può fare. E attraverso oggetti allegorici: come la misteriosa rivoltella che spara da sola, diminutivo di rivolta, «viottola che esce dalla strada comune», traviamento, crogiuolo di tentazioni suicide (vissute forse dallo stesso Pirandello), oggetto allegorico maneggiato da una donna che «folgora» Vitangelo in un «orto […] verdissimo» e poi gli tende le braccia attirandolo a sé, lontano da «tutte le rabbie»; perdizione quasi fatale, da cui Vitangelo (nel nome di battesimo) si libera diventando «libro o vento».

Un po’ come Dante, di cui ci resta il «grido che farà come vento» (Paradiso, XVII), e un «volume» in cui è rilegato «ciò che per l’universo si squaderna» (Paradiso, XXXIII).

Per questo nel viaggio di Vitangelo avvertiamo un che di familiare: perché forse l’Uno, nessuno e centomila è anzitutto una mirabile costruzione letteraria, prima che filosofica; e il suo abito stilistico è un déjavu che sentiamo di aver già indossato altrove, in altre letture e in altre «metamorfosi», direbbe Elias Canetti.

Metamorfosi dantesche.

Michela Mastrodonato
da «Venerdì di Repubblica», 21 agosto 2020

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