Raccolta “Mal giocondo” (1889)
05. Momentanee
I
Dolci voci lontane
pe âl notturno silenzio
nel bujo denso traggonmi
lâanima or qua or lĂ ,
e lâanima a le vane
voci, sĂ come tremulo
riflesso dâacqua mobile
pe âl tetto, intenta va.
Ditemi, o voci, dite:
da quali labbra rosee
uscite carezzevoli,
e perché mai, perché?
Siete un inganno mite
e insieme strazĂŻevole,
voci de le memorie
sparse dâintorno a me.
LĂ giĂș, su âl vasto piano,
ove or la notte squallida
siede e il freddo silenzio,
io le parlai dâamor…
ed or lâinganno strano
ripete a me le trepide
sue parole, dolci aliti
di giĂ odorato fior.
LĂ , su quel bosco alpestre,
le piĂș bizzarre favole,
sĂ come erbe selvatiche,
rupper dal mio cervel:
ora le voci destre
di lassĂș mi ripetono
quei miei sogni fantastici
pe âl fantastico ciel.
Ditemi, o voci, dite:
perché dentro la squallida
notte chiamate lâanima?
e destarvi, perché?
Siete un inganno mite
e insieme strazĂŻevole,
voci de le memorie
sparse dâintorno a me.
II
Quasi sottil ferita rilucente,
nel cerulo, il postremo arco lunare,
ai primi e freschi albori dâorĂŻente,
trema e qual bianco cirro in lui dispare.
Pia madre in tanto di novella aulente
prole, la Terra, al bacio salutare
si rivolge del sole, e lo presente
de lâerbe in fiore al vasto palpitare.
De lo stabbio, a una voce, il fitto gregge
belando rompe la custodia, e sbranca;
ma il pastore con lâasta lo corregge,
mentre il suo cane gli arguti occhi punta
su una trillante lodoletta franca,
ferma su lâale innanzi al sol che spunta.
III
Quando le lungo faticate vene
lâardore giovenil piĂș non riscalda,
e come stanco fior, de gli autunnali
rigidi venti a lâurto, in sen la fede
crolla indifesa, e annebbiansi le care
imagini serene e la focosa
audacia balda in reo sopor si scioglie;
tu allor, gigante severo, tâimponi
a le menti impassibile, e vi spiri
un alito mortal, che tutte prostra
le membra, o Dubbio; e ogni conforto langue.
Bianche colombe, di desio nudrite
e di speranze, il petto doloroso
disertano glâinganni, a uno a uno
con grido strazĂŻevole fuggendo.
E lâanima, che dianzi al volo apria
le vaghe ali vĂȘr lâalto, ora, assalita,
tra le tue strette torcesi e repugna;
ma le sue forze e sé dentro, sà come
novo germoglio pazĂŻente, sotto
dura scorza su âl rompere represso,
in lunghissimo spasimo consuma.
IV
Ogni attimo che fugge mâammaestra:
Assiduo indagator dâignoti beni
sia tu. Ratto che il tempo mi balestra,
uomo o forza non Ăš che piĂș mâaffreni.
Or godi in fin che la tua vita Ăš destra,
e ti pajano miei tutti i veleni
che suggerai, come ape industrĂŻosa,
nel giardin de la vita dolorosa.
Ogni ideale Ăš in van sâegli tâimpaccia,
e stolto sei se mai dâun ben ti privi
per un rispetto socĂŻale. Straccia
le leggi; tu lâhai scritto, e tu mentivi.
V
SĂ come donna, cui non piĂș desio
punga di novi affetti e di gagliardi
amplessi, e dica ai dolci inganni addio;
volge la Terra, o sol che immoto guardi,
a te le spalle, austeramente muta,
quasi che solo di dormir le tardi,
e né pur, vecchio amante, ti saluta.
Diman ti rivedrĂ . Squallida, enorme,
in un manto di tenebre involuta
fitte di cupi sogni erranti a torme,
ora prosegue per lo spazio il vano
fatale andar su lâimmutabil orme.
E lungo il vento, come un urlo umano,
geme a la furia de lâimpetuosa
sua corsa. Ed io vagheggio un pensier strano,
in una visĂŻone mostruosa.
VI
Sento ne lâamarezza quanto la vita vale:
Châio non ti giunga mai, mio superbo ideale!
Soffrir, lottare io voglio:
Naufrago, in mezzo il mare,
veder lungi uno scoglio,
e nuotare… e nuotare.
Beni non ha la terra che una volta goduti
ai nostri occhi non pajano giĂ dâogni pregio muti.
Dato non sia fruire
di ciĂČ che il cuore adora:
«Fammi, o donna, soffrire,
e tâamerĂČ lungâora».
VII
Dal dĂ che il dio racchiuso
entro il mio sen, sĂ come in cineraria
antica urna, destossi e a vol per lâaria
lo spirito deluso,
lo spirito mortale
in alto, in alto, per gli spazĂź vani
spoglio mi balestrĂČ dâaffetti umani,
quasi da lâarco strale;
e naufragai smarrito oltre lâazzurro,
nei silenzĂź oscuri,
e corsi (anima, pensi e ti spauri)
le vie de lâinfinito;
altro da quel châio era
su la Terra, tra gli uomini discesi,
perĂČ che tutta dolorando appresi
nostra miseria vera.
Or non Ăš cosa alcuna
che piĂș mi piaccia o mâaddolori. Sento
la viltĂ de la terra, e non lamento
nostri casi e fortuna.
VIII
«Eterno, eterno, eterno»,
urla di fuori il vento.
Dentro, il dissidio interno
ruggere in sen mi sento.
Sento de lâegra vita,
dâogni lotta tenace
la vanitĂ infinita:
Sospir vano, la pace.
A spegnere la sete
del mio lungo desio
acqua non vâĂš di Lete:
Sospir vano, lâoblio.
Ecco, rinunzia ad ogni
alto ideal la mente;
fuggon da gli occhi i sogni
con voi tardo e silente.
Labbri di donna, fiori
da i calici esalanti
i veleni, i tesori,
ondâebri van gli amanti;
non chiedo a voi piĂș sciocchi
baci, non piĂș parole:
GiĂ de lâamore agli occhi
miei si nasconde il sole.
Gloria, fatal sirena,
rido il tuo vano incanto.
Di greve tedio piena,
senza riso né pianto,
non piĂș triste nĂ© lieta,
tra le maligne spine
lâanima mia sâacqueta
aspettando la fine:
orba di ciĂČ che piace,
dietro il suo van desio:
Sospir vano, la pace,
Sospir vano, lâoblio.
IX
Dolce da Monte Porzio il rimirare
di contro i monti lĂ de la Sabina
ondeggiante di biade, come mare,
la pianura vastissima latina.
I Castelli romani, sĂ come are
propizianti a la lor gran vicina,
siedon su i verdi colli a rimirare
Roma eterna, lĂ giĂș, lâUrbe divina.
Ma pe âl cielo di maggio radiante,
tra una folla di rondini canora
e il fresco odor de le novelle piante,
la memoria de i secoli svapora,
e del presente sol vivo dinante,
o latin piano, il cuore sâinnamora.
X
Fuggono i giorni miei sĂ come accolti
in un momento, e unâacerbezza dura
solo nel cuor mi lasciano, ché molti
quasi fuor dâogni vita, in vana cura,
ne ho di giĂ spesi inutilmente, e corto
cammin prescrisse ai giorni miei natura.
DĂ mmi tu pace, amor, dĂ mmi conforto:
menzogne io chiedo, e ingannami se puoi!
Entro il cervello un mondo vano porto…
A te mi lega innanzi che mâingoj
il vortice fatale, o pia fanciulla:
Un sogno ancora, una menzogna, e poi
la nera e fredda eternitĂ del nulla.
XI
Nella primaveril molle quĂŻete,
mentre i fiori sbadigliano lâusato
inno odoroso al sol, quasi segrete
smanie del tempo, ora che il ciel velato
lievemente han le nuvole, un lontano
sordo romor di tuoni odo, e mâĂš grato.
Ă forse lâeco dâun mio affetto vano,
che si perde nei cieli aspra, con pena,
come voce che chiami lâuragano
a turbar de le vie lâeterna scena?
XII
Vorrei veder bandiere a ogni balcone,
e de i monelli udir lâallegro coro
tra un animato andare di persone,
e per le vie, che dâuna luce dâoro
lâultimo raggio del tramonto avviva,
udir le genti a conversar tra loro:
calda su i labbri la parola e viva
sĂ come fiamma, e un romorio confuso,
una voce continua giuliva
correre la cittĂ , dismesso lâuso
del giornaliero traffico, e lâusato
modo di vita da ogni gente escluso,
per folle entusĂŻasmo irrefrenato.
XIII
Stanco di dare, quasi preda al vento,
le forze e i giorni a conseguir lâumano
alto ideale del conoscimento,
triste in braccio al piacer mi spinge vano
ad oblĂŻarmi, il mesto intendimento
che ogni nostro indagar riesce in vano;
e novi cerco godimenti, e il senso
a ripor de la vita in essi penso.
Raggiunto lâideal che nâĂš concesso
a poco a poco da unâignota sorte,
avrĂ fine la vita: Ogni progresso
Ăš attuoso cammin verso la morte.
XIV
Pe âl cielo, su le tacite case buje,
una divina vergine pĂŻetosa,
ne la notte dâaprile cerula, passa.
Lieve, tra silenzĂź puri, salĂŻente
la fredda Luna scorta il vĂŻaggio pio.
Di frondi pieno, pieno di fiori il grembo,
la pĂŻetosa passa, quei fior lasciando
a caso e quelle frondi sparte cadere
da le man pure su le tacite case.
«Ave, Ave, Ave, purissima Pace,
eterno de lâanime stanche sospiro!»
Solo su âl tetto mio non cade mai foglia,
perĂČ che amico, di visĂŻoni miti
datore, il Sonno sovrâesso non discende,
e dal ciel stella amica non veglia su me.
XV
Sono, io dico, come un uomo che si sia
lentamente rinvenuto,
dopo un lungo tra memorie dolorose
angosciare, e al fin respira.
Sono come senza meta un vĂŻandante
che, da fiero turbin colto,
scampa al vento, che ruggendo lâha stordito,
sotto un tetto abbandonato.
Non memorie, non dolori. Sono in preda
a un confuso stupor vago,
levemente di lontani dolor conscio,
di lontani desiderĂź.
E un fantastico stupor di sogni strani
ho negli occhi, e parmi al guardo
una luce fresca e mite alberghi il cielo
oltre i limiti visivi.
XVI
Su âl piano, a la furia del vento,
la triste de lâerbe onda verde,
sâatterra, dâangoscia un lamento
soffiando, che serpe e si perde.
Ne lâaria commossa Ăš uno strazio:
Se stessa in sé lacera e fugge,
divora, impazzata, lo spazio,
e abbatte ogni ostacolo e rugge.
In vano, nel ciel tenebroso,
di luce un sospiro e di pace
suade co âl vespro al riposo:
Non lâira del tempo si tace.
Ne lâaria Ăš uno spasimo atroce:
Lontan, lĂ giĂș, in fondo, lontano,
in preda al gran vento una voce
sâallunga in un gemito vano.
Se vuoi contribuire, invia il tuo materiale, specificando se e come vuoi essere citato a
collabora@pirandelloweb.com