Pirandello e la crisi dell’io

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Di Biagio Lauritano

Il relativismo di Pirandello è preludio all’umorismo ovvero alla riflessione. Questa ci rivela il paradosso intrinseco in ogni nostra esperienza sentimentale che fa emergere inesorabilmente il nostro io nascosto provocando così in noi stupore e meraviglia, conseguenze queste dell’insensatezza logico-emotiva che caratterizza la nostra società.

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Pirandello e la crisi dell’io

Per gentile concessione dell’Autore

Pirandello fu testimone della crisi storica e sociale postrisorgimentale; difficoltà erano particolarmente avvertite nel Mezzogiorno italiano, soprattutto in Sicilia dove l’annessione al Regno d’Italia non aveva risolto i problemi relativi alla questione meridionale. Alla crisi storica si era venuta affiancando una crisi culturale; infatti la formazione di Pirandello avvenne al tempo del declino del Positivismo e con il crollo dei miti della ragione, della scienza e del progresso l’uomo non fu più in grado di intervenire sulla realtà e di conoscere se stesso, cose queste che furono magistralmente rappresentate in tutte le opere dello scrittore siciliano.

Di fondamentale importanza nelle opere di Pirandello fu il relativismo ovvero il venir meno di certezze assolute e di valori universali e l’impossibilità di una visione unitaria della realtà. Secondo Pirandello un primo esempio di relativismo fu Copernico, il primo a capire che è la Terra a girare intorno al sole. Un altro esempio di relativismo riguarda la nostra percezione della realtà: essa, infatti, ci appare solo soggettivamente a seconda del nostro bagaglio culturale e del contesto in cui ci troviamo: l’idea del bene, del dovere e gli altri valori sono semplici credenze che Pirandello chiama forme ovvero convenzioni prive di realtà oggettiva che tradiscono i nostri sentimenti, espressioni del caso e della fortuna. Le forme impediscono l’autentica manifestazione delle nostre pulsioni istintive che sussistono a livello inconscio e rappresentano i veri motori dei nostri sentimenti. Questi perciò non riflettono la realtà oggettiva e sono sempre quello che non siamo, quello non diciamo al punto che noi non possiamo riconoscerci in essi arrivando a provare un’angoscia profonda che si traduce nell’impossibilità di adeguarci alla realtà esterna ovvero in follia.

Il relativismo di Pirandello è preludio all’umorismo ovvero alla riflessione. Questa ci rivela il paradosso intrinseco in ogni nostra esperienza sentimentale che fa emergere inesorabilmente il nostro io nascosto provocando così in noi stupore e meraviglia, conseguenze queste dell’insensatezza logico-emotiva che caratterizza la nostra società. In altre parole noi non siamo indirizzati dalle nostre azioni verso uno autentico scopo, perciò la realtà in cui viviamo è solo apparenza; la nostra riflessione, che possiamo fenomenologicamente chiamare ragione, ci avverte della vacuità delle nostre azioni alimentando così progressivamente la sfiducia in noi stessi. Questo ci costringe a indossare quotidianamente una maschera per adeguarci momentaneamente alle situazioni che viviamo ovvero alle forme. Allora l’umorista decide di andare oltre le forme decontestualizzando cioè il proprio io dalla realtà e facendo così emergere le proprie pulsioni più intime: è come se l’umorista attraverso la ragione riuscisse a far leva sul proprio inconscio arrivando così a provocare uno sdoppiamento di se stesso. In questo modo egli attribuirebbe momentaneamente alle forme vita propria vale a dire diverrebbe cosciente delle illusioni che caratterizzano la realtà ovvero della tendenza ad autoingannarci.

In effetti tutti noi possiamo diventare umoristi: è questo il caso di Mattia Pascal, di Vitangelo Moscarda di “Uno e nessuno e centomila”, di Belluca della novella “Il treno ha fischiato”, di Enrico IV dell’omonimo dramma. Questi personaggi hanno il coraggio di strapparsi la maschera dal viso facendo così emergere tutto il loro disappunto in una realtà solo apparentemente autentica che perciò nega le disposizioni del loro animo. Ciò però conduce questi personaggi ad essere esclusi per sempre dalla società ed ad alimentarsi solo dei loro ideali che, non essendo più espressioni immediate delle loro passioni come accadeva nel Romanticismo né portatori di un significato latente delle cose come accadeva nel primo Decadentismo, ma essendo ridotti a mere pulsioni istintive, affiorano alla loro coscienza in modo caotico e frammentario. In altre parole siamo di fronte ad un relativismo che fa nascere nell’umorista sentimenti vari, in aperto contrasto tra loro, a seconda delle situazioni in cui egli vive.

Umorismo e relativismo sono quindi complementari e consentono a Pirandello l’ideazione della poetica senza autore ovvero l’opera d’arte nasce senza l’intervento dell’autore in quanto essa sfugge al controllo della sua volontà; i nuovi personaggi di quest’opera rappresentano le paure nascoste dell’immaginazione dell’autore alle quali egli non vorrebbe dare spazio, ma alla fine viene costretto a farlo: Pirandello intuisce che, in una realtà in cui la nostra identità è manifestazione del caso, non è possibile all’uomo riuscire a controllare le proprie azioni, non è possibile cioè distinguere l’io dalla realtà ovvero il loro nesso viene solo idealmente valorizzato al punto da affermare la loro perfetta ambivalenza. In altre parole siamo di fronte ad un sistema di norme e convenzioni sociali che non ci permette di risalire al significato autentico della nostra identità e più noi insistiamo nel fare ciò più ci siamo costretti a riconoscere l’insensatezza delle nostre azioni in una società che ci condanna fatalmente poiché il nostro intelletto produce idee confuse e la nostra volontà, nello sforzo titanico di appropriarsi di noi stessi che crediamo far parte di una realtà oggettiva, moltiplica invece all’infinito la nostra angoscia.

Biagio Lauritano

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