Francesco Ardu – «I galletti del bottajo» a fumetti

Volentieri pubblichiamo, dalla novella di Luigi Pirandello, il lavoro del disegnatore Francesco Ardu, sviluppato in otto tavole inviateci dall’Autore. 

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Di seguito le otto tavole, Disponibile anche in file PDF, QUI ed il testo integrale della novella.

«I galletti del bottajo» a fumetti

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«I galletti del bottajo» a fumetti

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«I galletti del bottajo» a fumetti
Francesco Ardu

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Novella dalla Raccolta “Appendice” (1938)

I galletti del bottajo – 1894

Struggevasi la moglie del bottajo Màrchica dal desiderio di desinare una volta sola almeno, nelle feste, in compagnia del marito, il quale ogni anno, il primo dì e a Carnevale, a Pasqua, a Natale, era solito di raccogliere intorno alla sua tavola parenti e amici con vivo rincrescimento della moglie, anzi a suo marcio dispetto.

Aveva la buona donna quest’anno, per Natale, allevati due bei galletti; e mo­strandoli al marito, la vigilia, disse:

– Guarda che bei galletti! Se mi dai parola, che dimani non inviterai nessuno a desinar con noi, io stirerò loro il collo, e vedrai come son brava in arte magirica! Avrai un manicaretto da re.

Il bottajo promise; e la moglie tutta contenta.

Venne la dimane, e il bottajo, vestito da festa, salutò la moglie prima d’an­dare a messa.

– No, marito mio; abbi pazienza; tu oggi non uscirai di casa. Son sicura, che se affacci il naso alla porta, mi tiri in casa qualcuno. Di messa, te ne basta una, quella di questa notte.

– Ma io ti prometto…

– Non sento promesse! Qua, a me, il berretto; oggi starà sotto chiave.

Il bottajo sospirò, e diede alla moglie il berretto. Seduto nella cucinetta, e rimirando la moglie più vispa del solito, accesa in volto dal calore del fuoco sotto la pentola, stretta la vitina da una veste nuova^ a fiorami, protetta dal mantile, egli pensava: «Ha ben ragione, la poverina! È così dolce star soli in­sieme, nell’intimità, senza visi estranei a tavola, che ti tengan sospeso, non abbia tu bene soddisfatti i loro gusti… È tanto carina mia moglie! Par ch’io me n’accorga soltanto oggi per la prima volta! E in fin dei conti, che chiede ella? Ha piacere di restar sola meco, di godersi la festa soltanto in mia compagnia… Oh, cara, cara!».

E internamente si riprometteva di mai più per l’avvenire fare scontenta la moglie con l’invitar nelle feste parenti o amici.

Ma il diavolo, anche quella volta, volle metterci la coda. La donna, nel com­prar tutto l’occorrente pel manicaretto, la vigilia, s’era dimenticato il prezze­molo: due centesimi di prezzemolo.

– Ah, marito mio! e come si fa?

– Da’ a me; vo a comprartelo io.

– No, tu no! Tu oggi non esci di casa, ti ripeto.

– Eh via, sciocchina! Credi che… L’erbaiola è qui, a due passi…

– Inutile! Non sento ragioni…

– E allora, vacci tu.

– Io non posso, capisci? Come lasciare? Dio mio! Senti; io sto qui sulla porta a guardarti; andrai senza berretto, lì di faccia: due centesimi di prezzemolo.

– Un lampo, lascia fare! Vo e torno.

– Bada!

– Non dubitare…

Ma appena a cinque passi dalla soglia, paffete! il vecchio curato del villaggio vicino, dove il bottajo Màrchica aveva dimorato tre anni.

– Oh, signor curato! Beati gli occhi che la vedono! E come va? Da queste parti?

– Affarucci, affarucci, – rispose il vecchio curato sorridendo, con gli occhi che gli scomparivano tra le rughe.

– Evviva veramente! Come va? Come va? Che si dice a Montedoro?

– Eh! Che s’ha da dire? Tanto bene, figlio mio. Il mondo è vecchio…

E il buon curato si fregava le mani secche, tremanti, fatte davvero per regger l’Ostia soltanto.

– Lei, lo vedo, – rispose il bottajo; – sempre in salute, Dio la benedica! Oh, anch’io, sì; ringraziamo Iddio! E lavoro, non me ne manca… Sissignore… Vo a comprar due centesimi di prezzemolo per mia moglie… Anche lei, benone! E si ricorda sempre del suo vecchio curato, sa? «Quel buon curato!» mi dice sempre. Mia moglie, chiesa e casa – già lei lo sa. Oggi mi prepara un pranzettino proprio coi fiocchi e, a tavola, noi due soli – io, qua, lei, là!… Ma… e dove desina lei oggi, signor curato? Certo mia moglie avrà tanto piacere di ri­vederla… Mi vuol fare un favore? Non mi dica di no.

– Pronto, figlio mio, se posso…

– Deve desinar con noi oggi, pel Santo Natale…

– Non posso, figlio mio…

– Come, non può? Sdegna la casa dei poveri! Lo so, cose da poverelli… due galletti, e lì…

– Non è per questo, figlio mio; tu mi conosci. Devo ripartire a momenti.

– Ripartirà più tardi !

– L’asinelio m’aspetta al fondaco…

– Lo lasci aspettare; si riposerà meglio… Non lo lascio partire, ecco! Mi deve fare questo favore. Sì?

– Giacché lo vuoi per forza… Tante grazie, figlio mio…

– Grazie a lei, signor curato, dell’onore… Entri, entri in casa… Guardi: quella porta lì di faccia… C’è mia moglie, guardi, sulla soglia… Io vo e torno: due centesimi di prezzemolo…

Il vecchio curato sorrise, guardando la moglie del bottajo, e la salutò con la mano, avvicinandosi alla porta.

«Me l’ha fatta! Me l’ha fatta!», si diceva intanto la donna tra i denti, strin­gendo i pugni e rodendosi dentro dalla rabbia. «Oh, ma l’hai da far con me, adesso! Vedrai.» – Come sta, come sta, signor curato? Quanto onore… quanto piacere…

– Vostro marito ha voluto per forza così… Non mi son potuto rifiutare…

– Ah, padre mio! – sospirò la moglie del bottajo, atteggiando di grave mesti­zia il volto.

– Che avete, figliuola mia? – domandò il curato sorpreso.

– Le dirò, le dirò, signor curato… Aspetti un momento. Entrò il bottajo, sorridente, col prezzemolo.

– Ecco il prezzemolo! Vedi, moglie mia? Il tuo buon curato! Chi poteva aspettarselo? Ed ha avuto tanta degnazione d’accettare il nostro umile invito… Già gliel’ho detto: cose da poverelli… Ma che fa, è vero? supplisce il buon cuore…

– Certo, certo…

– Sa, signor curato? Mia moglie mi aveva detto: Oggi, nessun invitato… E io, difatti… Ma poi ho visto lei, e per lei son sicuro che… È vero, moglie mia?

– Senza dubbio, senza dubbio, – rispose la moglie con le labbra strette. – Piuttosto, ora che ci penso… e il vino? Mi son dimenticata anche del vino… Guarda, che testa. Farai un’altra corsa tu, è vero, marito mio? Abbi pazienza…

– Ma certo, subito! Dammi il berretto, dammi.

– Ecco il berretto. Una corsa, mi raccomando!

– Non dubitare.

Appena uscito il marito, disse la donna al curato:

– Ah, padre mio! Fortuna che s’è lasciato indurre ad andar pel vino!

– Perché, perché, figliuola mia?

– Ah, se sapesse, signor curato! Vino in casa ce n’avevo d’avanzo; ho detto di non averne per carità cristiana…

– Come!

– Per salvar lei, padre mio! – Me?

– Sissignore! Non sa dunque nulla? Non sa che mio marito… E fece un gesto espressivo con la mano.

Il povero curato fece, alla sua volta, una faccia lunga due palmi:

– Matto, dite? Matto? Come mai! Povero ragazzo! – e batté una mano con l’altra. – E come mai!

– Sissignore! Sissignore! – incalzò la donna. – Io non ho più lacrime da piangere in segreto, padre mio! (e intanto piangeva). Quante lacrime, que­st’occhi! E se sapesse che sorta di pazzia gli è venuta! Non può veder gli occhi della gente, che subito gli vien voglia di strapparli… sissignore!

– Gesù, che guaio! Gesù, che guaio! – nicchiava con la lingua inaridita il po­vero curato.

– Ah, padre mio! Io parlo per suo bene… S’immagini che onore per me, che piacere averla a tavola, oggi… Guardi: prenda i due galletti, uno almeno, non me lo rifiuti! Glieli avvolgo in un giornale, va bene? E se li porterà con sé. Ma non rimanga, per carità, se ha cara la vista, a desinar con noi! Sa, il povero pazzo? Invita la gente in casa, poi mette le spranghe alla porta e, a fin di tavola, vuole strappar gli occhi agl’invitati… Se vedesse, ogni volta, che lotta disperata! Adesso in paese si sa di questa pazzia e nessuno più accetta inviti da lui. Il buon curato non pigliava quasi più fiato dalla paura e balbettava:

– E.,, e non m’era parso! Non m’era parso!

Quando la donna terminò di parlare, egli, non ostante la grave età, balzò da sedere e, ravvoltosi nel tabarro, calcatosi sulla fronte il cappello:

– Grazie, figliuola mia, grazie! – disse. – Lasciatemene andar via subito… Grazie, veramente… Vi devo la vita…

– Prenda i galletti, mi faccia il favore!

– No, niente! Che galletti, cara figliuola! Oh, povero ragazzo! Il Signore v’assista, povera figliuola! Addio, addio… e grazie di nuovo…

La donna lo lasciò partire.

– Oh, e questo è fatto! – esclamò.

Si recò in cucina, trasse dalla pentola i due galletti, e li nascose.

– Adesso a noi, signor marito!

Il bottajo rincasò con un buon fiasco di vino, tutto ansante, trafelato. Trovò la moglie, in cucina, in pianto dirotto, coi capelli disfatti.

– Che t’è avvenuto?

– Ah se sapessi! Ah prete cane! – piangeva la moglie.

– Il curato? Dov’è? Che t’è avvenuto?

– Metterai senno, ora? Mi porterai ancora gente in casa? Vedi che m’ha fatto il tuo signor curato? Vedi che m’ha fatto?

– Che t’ha fatto?

– Ah mamma mia! Madruccia mia, tu non hai certo sospettato che l’uomo al quale m’affidavi m’avrebbe un giorno lasciata così esposta alla discrezione della mala gente! – continuava a piangere inconsolabilmente la donna.

– Insomma, posso sapere che t’è avvenuto? – Che?

La moglie, calcolando che il buon curato a quell’ora, spinto dalla paura, su asinello, doveva esser già a bastanza lontano dal paese, si levò da sedere in gran furore:

– Che m’è avvenuto? il tuo buon curato, capisci? Il tuo buon curato mi s’è cacciato in cucina e… guarda, guarda lì, la pentola! Vedi? Non c’è più nulla…

– Rubato? – fece con tanto d’occhi il bottajo.

– Tutti e due i galletti!

– Ah birbante! Dici davvero? Possibile? Ah birbante! E dov’è? Dov’è? Per dove è andato via?

– Io non lo so! Non l’ho veduto…

– Ah, prete ladro! Ah, vecchia volpe! Lasciami! Vo’ corrergli dietro! E se lo raggiungo… se lo raggiungo… Lasciami!

– Sì, brutto smargiasso! Mettiti con un vecchio, adesso…

– M’ha rubato!

– Per colpa tua! Pigliatela con te stesso invece! E ti serva per esempio, ti serva!

– No, così non m’accontento… Lasciami, lasciami… ti dico, lasciami…

E scioltosi a forza dalle braccia della moglie, si mise a correre furiosamente per lo stradone che conduce a Montedoro.

Tutto impolverato, stanco da non poterne più, dopo aver percorso buon tratto dello stradone fuori del paese, vide in fondo, lontano lontano, il vecchio cu­rato che trotterellava sull’asinello, tra un nuvolo di polvere. Raccolse allora tutte le forze che gli restavano, e si mise a gridare:

– Signor curato! O signor curato!

Il vecchio curato si voltò dal fondo dello stradone a guardare di su l’asinello che trottava, trottava…

E il bottajo dal fondo dello stradone, a gran voce:

– Almeno uno, signor curato! Me ne dia almeno uno!

– Caro, to’ ! Almeno un occhio, dice! Addio, caro! Addio, caro! E botte da orbo all’asinello.

– Almeno uno! Almeno uno! – continuava a gridare il povero bottajo rifinito dalla corsa.

Nel frattempo la moglie, in cucina, si spolpava comodamente i due saporitis­simi galletti.

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