Luigi Pirandello, lo scrittore che considerava il cinema “una stupenda finzione” (Con audio lettura)

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Di Pierfranco Bianchetti

L’opera del drammaturgo continuerà ad ispirare molti registi, da Louis Buňuel a Ingmar Bergman, da Michelangelo Antonioni ad Akira Kurosawa, François Truffaut e Woody Allen. Segno che il suo pensiero espresso attraverso la poesia, la novella, il romanzo, il teatro rimane intramontabile ed attuale. 

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Pirandello e il cinema
Osvaldo Valenti – Scena del film Enrico IV, Regia Giorgio Pastina, 1943

Luigi Pirandello, lo scrittore
che considerava il cinema
“una stupenda finzione”

da Grey Panthers

Leggi e ascolta. Voce di Giuseppe Tizza. 

 

“Forse qualcuno si stupirà del mio tardivo approdo al cinematografo, tuttavia non è perché abbia trascurato o disprezzato la grandezza del suo campo, l’estensione delle sue possibilità”. Così Luigi Pirandello nel 1924 per la prima de “Il fu Mattia Pascal” tratto dal suo romanzo scritto nel 1904.

In realtà già nel 1914, come ricorda il critico Ugo Casiraghi nel suo saggio “I paradossi di Pirandello” del 1986 uscito per i cinquant’anni dalla scomparsa, il drammaturgo aveva dedicato alla settima arte addirittura un romanzo, “Si gira…”, poi ripubblicato dieci anni dopo col titolo “Quaderni di Serafino Gubbio operatore”.

Nato ad Agrigento nel 1867 e morto a Roma nel 1936, Pirandello attraversa la storia d’Italia, dalla fine degli ideali del Risorgimento al fascismo, testimone di un’epoca carica di moti rivoluzionari e di grossi problemi sociali. Dopo aver studiato letteratura a Roma e poi in Germania a Bonn, il futuro premio Nobel per la letteratura, inizia la sua attività di scrittore. Il suo primo romanzo “L’Esclusa” è del 1893, ma il successo arriva nel 1904 con il già citato “Il fu Mattia Pascal”, cui fa seguito un’intensa attività di scrittore per il teatro con i volumi “Maschere nude” e di novelliere con 223 novelle suddivise in 15 raccolte sotto il titolo “Novelle per un anno”. Il 1913 è l’anno nel quale Pirandello si offre di scrivere per il cinema, non per una questione di una questione di soldi, ma per la consapevolezza di lavorare al servizio di un nuovo strumento di comunicazione, di spettacolo e di conoscenza del mondo. Il 27 maggio 1913 e ancora il 5 e 10 febbraio 1914, Luigi Pirandello scrive all’ amico Nino Martoglio per proporgli dei soggetti adatti per il cinematografo e tratti dalle sue opere chiedendogli in cambio la cifra di 500 lire.

Martoglio, direttore artistico della casa di produzione siciliana Morgana Film, aveva realizzato uno dei capolavori del cinema muto italiano, “Sperduti nel buio”, disperso perché trafugato dai nazisti a Cinecittà e mai più ritrovato. “Purtroppo – ricorda ancora Ugo Casiraghi – la Morgana Film chiudeva poco dopo i battenti e così non venne recuperato neppure il soggetto originale che Pirandello aveva composto per l’attore siciliano Giovanni Grasso, che in quell’opera memorabile e prerealistica era stato il protagonista, nei panni del musicante cieco”. Lo scrittore è in quel periodo che inizia a frequentare i teatri di posa della Cines e della Film d’Arte Italiana, i cui capannoni sorgono a due passi dalla sua abitazione romana di via Alessandro Torlonia, collaborando alla realizzazione di vari film tratti dai suoi libri.

Uno dei suoi soggetti più fortunati è “Il fu Mattia Pascal”

Il soggetto avrà tre versioni cinematografiche, la prima del 1925 alla quale Pirandello darà il suo assenso; la seconda diretta dal regista francese Marcel L’Herbier e la terza del 1985 “Le due vite di Mattia Pascal” di Mario Monicelli con Marcello Mastroianni. Anche il suo dramma “Enrico IV” è per tre volte portato sul grande schermo: nel 1925 per la regia di Amleto Palermi, nel 1943 diretto da Giorgio Pastina e nel 1984 da Marco Bellocchio. Un altro celebre regista italiano, Mario Camerini, nel 1936 traduce in immagini una sua commedia, “Ma non è una cosa seria”, interpretata da Vittorio De Sica, Elsa De Giorgi, Assia Noris, ritratto di un giovanotto di poca serietà che dovrà imparare a crescere. Poco conosciuta, ma fondamentale nella storia del cinema italiano è la vicenda del primo film sonoro, “La canzone dell’amore”, diretto nel 1930 da Gennaro Righelli, un veterano in attività da oltre vent’ anni. La pellicola, interpretata da Dria Paola, un’attrice fresca e accattivante (reduce dal successo di “Sole” di Blasetti) e con le musiche del popolarissimo compositore Cesare Andrea Bixio, è ispirata ad una novella intitolata “In silenzio” di Pirandello. Un testo in realtà poco pirandelliano tanto che lo stesso scrittore avrà modo di lamentarsi della trasposizione cinematografica.

La prima di “La canzone dell’amore” avviene nell’ ottobre 1930 a Milano, città che vive con ansia gioiosa il debutto in Italia del cinema sonoro. La pubblicità annuncia da giorni l’arrivo dell’opera nella quale gli attori “parlano”. Venerdì 10 alle ore 21 al cinema Corso in Corso Vittorio Emanuele, dove l’anno prima era stata proiettata la prima pellicola parlata proveniente da Hollywood, “Il cantante di jazz”, molti spettatori, arrivati anche dalle periferie cittadine, assistono emozionati ed entusiasti al film. Stefano Pittaluga, impresario produttore cinematografico illuminato, è l’artefice di questa novità rivoluzionaria. I suoi ripetuti viaggi a Londra, dove le proiezioni sonorizzate erano già una realtà, danno i loro frutti.  Ben presto anche in Italia il film muto scompare dalle sale per essere rimpiazzato da quello sonoro.

Pirandello, come Charlie Chaplin, non è affatto convinto della novità costituita dalla sonorizzazione del cinema

Esprime, infatti, forti dubbi condivisi da tanti intellettuali e cineasti europei ed esprime le sue perplessità sul futuro del sonoro in un articolo sul Corriere della sera intitolato Se il film parlante abolirà il teatroContrariamente all’ avversione degli uomini di cultura, il pubblico accoglie con gioia la novità rappresentata dall’opera di Righelli che trova consensi anche nella critica.

Filippo Sacchi sul Corriere dell’11 ottobre scrive: “L’ impressione di ieri sera insomma è stata subito di trovarsi non davanti a un esperimento, a un tentativo, a una promessa, ma (finalmente) a una realizzazione; e il senso di questa realizzazione, di cui il nostro pubblico aveva bisogno, per ricominciare a creder davvero in una ripresa dell’attività cinematografica nazionale”. Tre anni più tardi sarà ancora un soggetto di Pirandello, “Acciaio”, scritto per volere di Mussolini, ad essere tradotto sullo schermo dal regista tedesco Walter Ruttmann; storia d’amore di due operai delle acciaierie di Terni che si innamorano della stessa donna. Interpretata da Isa Pola, la pellicola non piace allo scrittore perché troppo incentrata sull’ ambiente operaio e molto poco sul dramma stesso.

Nel 1964 tocca ad Alessandro Blasetti portare sullo schermo “Liolà”, storia di un seduttore incallito (Ugo Tognazzi), venditore di elettrodomestici in giro per la Sicilia, mentre nel 1984 sono i fratelli Paolo e Vittorio Taviani dirigere “Kaos”, quattro vicende ambientate nella campagna povera e ignorante. Del 1998 è “Tu ridi” per la regia ancora dei fratelli Taviani, dai racconti “Tu ridi” (1912) e “La cattura” (1918), protagonista Antonio Albanese nel ruolo di un ex baritono che è costretto a lavorare come impiegato all’Opera nella Roma degli anni Trenta. L’opera del drammaturgo continuerà ad ispirare molti registi, da Louis Buňuel a Ingmar Bergman, da Michelangelo Antonioni ad Akira Kurosawa, François Truffaut e Woody Allen. Segno che il suo pensiero espresso attraverso la poesia, la novella, il romanzo, il teatro rimane intramontabile ed attuale.

Pierfranco Bianchetti
2 febbraio 2021

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