Ma non è una cosa seria – Personaggi, Atto primo

Premessa
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

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Ma non è una cosa seria - Atto I
Turi Ferro, Gianni Agus, Ma non è una cosa seria, 1964, Teatro Musco Catania. Immagine dal Web.

Personaggi

Gasparina Torretta
Memmo Speranza
Il signor Barranco
Il professor Virgadamo Grizzoffi
La maestrina Terrasi
Magnasco
Vico Lamanna
Loletta Festa
Fanny Martinez
Celestino, cameriere
Rosa, cameriera

In una città dell’Italia settentrionale. Oggi.

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1918
Ma non è una cosa seria
Atto Primo

        Sala da pranzo della Pensione Torretta. – Grande tavola apparecchiata nel mezzo della scena per il pranzo. Altri tavolini con tovaglie e qualche porta­fiori. Nella parete di fondo, due usci con tende verdi a frange giallo d’uovo; quello a destra è la comune, quello a sinistra introduce nella camera occu­pata da Grizzoffi. Tra i due usci, monumentale credenza – vecchio arnese di rivendita – con tazze, bottiglie, ecc. – Nella parete di sinistra, divano di juta verde, anch’esso con frange giallo d’uovo, poltrone; un tavolinetto per fu­mare, un altro per riviste e giornali; un uscio con tenda come sopra, che in­troduce nella camera occupata dal signor Barranco. – Nella parete di destra, una vetrina con stoviglie da tavola e un uscio che conduce alla cucina. Alle pareti un orologio a pendolo, oleografie di caccia e frutta. – La Pensione è di famiglia, assai modesta.

        Scena prima

        Il signor Barranco, Grizzoffi, il professor Virgadamo.

        Al levarsi della tela, il signor Barranco è seduto sul divano con un grosso berretto in capo, le pantofole ai piedi, e sfoglia una rivista. È un signore di provincia, maturo, ancor valido; ricco; con un gran naso; timorato di Dio; taciturno di solito, d’aspetto cupo, ma pur timido e schivo negli occhi; co­stretto a parlare o appena stizzito, incespica un po’ con la lingua. – Grizzoffi, presso ai quaranta, ispido, sempre irritato, schizzante, legge un giornale, se­duto sul davanti della scena e fuma un sigaro a grosse boccate. II Professor Virgadamo, placido, grasso, gli sta seduto un po’ dietro e aspira l’odore del fumo esprimendo la delizia che ne prova con tutto il faccione da padre abate.

        VIRGADAMO: Ah, che buon sigaro! Delizioso!

        GRIZZOFFI (voltandosi di scatto, cavando un mezzo sigaro dal taschino del pan­ciotto e porgendolo sgarbatamente): Ma tenga, ma fumi, perdio!

        VIRGADAMO (sorridente, senza scomporsi): No no, grazie. La nicotina fa male. Mi piace soltanto aspirarne l’odore.

        GRIZZOFFI: Ah, sì? A mie spese? Col danno della mia salute? Ma via, si scosti! Si scosti subito di qua!

        VIRGADAMO (scostandosi, c.s.): Ecco, ecco. Ma scusi, che le levo io?

        GRIZZOFFI: Chi vuole un piacere, se lo paghi!

        VIRGADAMO: Se lei fumasse per me… Ma lei fuma per sé! Butta via il fumo, e io ne approfitto. Signor Barranco, che ne dice lei?

        GRIZZOFFI: Eh già! Mi piace! Scusi: è uomo lei, sì o no?

        VIRGADAMO: Eh, direi!

        GRIZZOFFI: Fa più o meno male della nicotina, la donna?

        VIRGADAMO: Ah, più! più! Terribile, la donna: specialmente a una certa età.

        GRIZZOFFI: Vorrei sapere ora, come si regola lei –

        BARRANCO (interrompendo): Signori miei, signori miei, per carità!

        GRIZZOFFI (al signor Barranco): Non dico niente di male, caro signore, stia tranquillo! (Al professor Virgadamo:) Come si regola lei quando per istrada vede qualche donnina che le piace – (se è uomo!)

        VIRGADAMO: Ah no, sa; no, no, no, no! Niente, io!

        GRIZZOFFI: Come niente? Neppure un desiderio?

        VIRGADAMO: Oh Dio mio, se è una bella donna…

        GRIZZOFFI: Ah, bravo! E che fa allora? Da me si piglia l’odore del fumo. E da quella? Va a trovarne il marito, e lo prega che sia così gentile da prestarle per un momentino il piumino da cipria della sua signora?

        VIRGADAMO (si accosta serio e gli dice piano e pacato): Dovrebbe sapere, caro Grizzoffi, che l’uomo fra le tante altre doti ha pur quella dell’immaginazione.

        GRIZZOFFI: Ah! Lei se l’immagina – e basta?

        VIRGADAMO: Potrebbe anche bastarmi. Non potrà proibirmi, per esempio, di sognarmela di notte.

        GRIZZOFFI: E lei, scusi, insegna in un istituto femminile?

        VIRGADAMO: Pedagogia.

        GRIZZOFFI: Che sarebbe la scienza dell’educazione?

        VIRGADAMO: Ma la pedagogia, per sua norma, insegna anche a imporre one­stamente un freno all’immaginazione.

        GRIZZOFFI (urlando): Ma ai sogni no!

        VIRGADAMO: Eh!, i sogni, caro lei, sono indipendenti dalla volontà.

        GRIZZOFFI: Se avessi una figliuola, non la manderei da lei!

        VIRGADAMO: E farebbe bene, benissimo, sa! Non per me. Ma si sciupano, si sciupano queste benedette figliuole! Troppe materie da studiare. Enorme so­vraccarico intellettuale. E pèrdono, pèrdono il fiore della femminilità, la fra­granza: quel certo non so che – che è il loro fascino.

        GRIZZOFFI: Signor Barranco, ma lo sente?

        VIRGADAMO: Questa è pedagogia.

        GRIZZOFFI: Ma è una cosa schifosa, allora, la pedagogia!

        Scena seconda

        La maestrina Terrasi, Detti.

        MAESTRINA (sporgendo il capo dalla tendina della comune): Permesso? Uh, come! non si è ancora a tavola?

        GRIZZOFFI: Come vede, siamo qua ad aspettare!

        VIRGADAMO: Oh! cara, cara la mia signorina… (Le prende una mano e non gliela lascia più, battendovi su colpettini graziosi con l’altra mano.) Cara no­stra maestrina giardiniera…

        MAESTRINA: Signor Barranco, buon giorno!

        BARRANCO: Riverisco.

        MAESTRINA: Chi s’aspetta?

        GRIZZOFFI: I comodi e le grazie del signor Speranza!

        MAESTRINA: Ah, verrà finalmente? Che bellezza! Dunque, guarito? Piacere!

        GRIZZOFFI: Ma si ritiri codesta mano, signorina!

        MAESTRINA: Oh! al professore, gliela posso lasciare: non c’è pericolo! Fu mio maestro !

        GRIZZOFFI: Sì! Se avesse inteso quel che ha finito or ora di dire delle sue al­lieve!

        BARRANCO: Signori miei… signori miei…

        MAESTRINA: Come! Lei, professore?

        VIRGADAMO: Ma non gli dia retta!

        GRIZZOFFI (a Virgadamo, con sdegno): Lei si dovrebbe vergognare! (Alla Mae­strina:) Chi sa quante volte lei è stata… sognata!

        BARRANCO (irritandosi): Ma… ma insomma!

        MAESTRINA: E che c’è di male? Non s’irriti, signor Barranco! Non capisco, proprio, che ci possa esser di male, se il professor Virgadamo s’è sognato di me. – Ma dov’è Gasparina?

        GRIZZOFFI (correggendo): Gasparra, prego! Gasparra, Gasparotta!

        MAESTRINA: Lei la chiami come vuole; io la chiamo Gasparina.

        VIRGADAMO: Mah! dice che è andata…

        GRIZZOFFI: A prendere gli ordini del signor Speranza per il pranzo!

        BARRANCO: Non diciamo sc-sci-occhezze!

        GRIZZOFFI: L’ha detto Rosa!

        MAESTRINA (voltandosi a guardare la mensa): Il pranzo? Uh! già! Guarda che bellezza! Non me n’ero accorta…

        GRIZZOFFI: Vuol festeggiare il suo ritorno alla vita!

        MAESTRINA: E davvero può dirlo, povero signor Speranza! Passato da parte a parte… Anzi, ha fatto presto a guarire! Quando è stato il duello? Non saranno due mesi…

        GRIZZOFFI: Ho visto jeri il fratello della fidanzata.

        VIRGADAMO: Ah! quello che lo infilzò?

        GRIZZOFFI: Per conto mio, gli ho stretto la mano!

        MAESTRINA: E oggi berrà alla salute del signor Speranza?

        GRIZZOFFI: No, cara signorina! Io bevo alla mia!

        MAESTRINA: Peccato…

        GRIZZOFFI: Come, peccato?

        MAESTRINA: No… dico, che io non possa assistere al pranzo. Debbo ritornare a scuola al tocco! (Va all’uscio a destra e chiama:) Rosa! Rosa!

        Scena terza

        Rosa, Detti, poi Gasparina, Magnasco.

        ROSA (accorrendo dall’uscio a destra): Comandi, signorina!

        GRIZZOFFI: Ma insomma, si può sapere che diavolo fa la tua padrona ancora fuori? Io voglio mangiare, senza stare ad aspettare i comodi di nessuno!

        ROSA: E a me lo dice? Per me, come vede, è tutto pronto. Se la signorina non viene…

        VIRGADAMO: Conviene aspettare, conviene aspettare, perché sarà una bella festa, sa?

        GRIZZOFFI (voltandosi di scatto, sgarbato): Per lei!

        VIRGADAMO: No, per tutti! lo vengo qua perché si sta allegri.

        GRIZZOFFI: Ma lo sa che lei non è potuto soffrire da nessuno?

        VIRGADAMO: Non importa!

        MAESTRINA: E non è vero niente affatto!

        VIRGADAMO: Non importa, signorina. Il riso fa buon sangue: lor signori mi fanno ridere, e son disposto ad aspettare anche cent’anni!

        MAESTRINA: Potessi anch’io! Ma non posso, Rosa!

        ROSA: Oh! eccola qua la signorina!

        Entra dalla comune Gasparina Torretta, seguita da Magnasco, È una don­nina fina fina, un po’ sciupata, trasandata; sarebbe vivacissima, se i pati­menti, le angustie, la tristezza che glien’è derivata, non smorzassero tutti i moti del suo animo e della sua personcina, e non le dessero un’umiltà sorri­dente e rassegnata. Veste poveramente, con un vecchio cappellino da vecchia, annodato sotto il mento e una lunga mantella verde scolorita, orlata di pelo di gatto. Porta appesa al braccio una grossa borsa di cuojo. Nessuno tranne il vecchio signor Barranco, fa conto di lei, e tutti la bistrattano. Magnasco, presso alla cinquantina, veste con eleganza da giovanotto: grasso, calvo, con la faccia paonazza; ridanciano.

        GASPARINA (frettolosa, affannata): Eccomi qua… eccomi qua…

        MAGNASCO: Signorina, signori: salute!

        GASPARINA: Domando scusa a lor signori, se mi son fatta aspettare… Sono an­data (si leva la borsa dal braccio e la porge a Rosa) per certe spesucce. Tieni, Rosa: porta in cucina. Sono tutti? Rosa via per l’uscio a destra.

        VIRGADAMO: Eh, no! Manca il meglio! Il signor Speranza… il signor Lamanna…

        GASPARINA: Meno male! Ho fatto una corsa!

        MAESTRINA: Ma io, Gasparina, debbo andare…

        GASPARINA: Come! Non prende parte al pranzo?

        GRIZZOFFI: Ohe, dico, ci siamo anche nojaltri qua! Oh sa, signora Torretta… cioè, diciamo… signorina…

        GASPARINA: Ma dica come vuole…

        GRIZZOFFI: Sarebbe infatti ridicolo che lei s’offendesse su questo punto…

        GASPARINA: Io, no. Ma vedo che vuole offendermi lei, non so perché…

        GRIZZOFFI: Glielo dico subito. Lei è padronissima d’accordare le sue sfacciate preferenze…

        BARRANCO (che s’era finora tenuto a stento, dà un pugno sul tavolino e scatta in piedi, convulso): Parli con rispetto!

        GRIZZOFFI: Un altro! Eccolo qua! Lo sapevo!

        GASPARINA (accorrendo con Virgadamo): Per carità, signor Barranco, non si ri­scaldi!

        BARRANCO Lei è un vi-villanzone!

        GRIZZOFFI: Misuri i termini, perdio, o… (Fa per avventarglisi, trattenuto da Magnasco e dalla Maestrina. )

        MAGNASCO: Eh via, Grizzoffi…

        BARRANCO: La signorina Ga… Ga… (e non può più andare avanti.)

        MAGNASCO (venendogli in aiuto): Gasparotta!

        GRIZZOFFI: Scarpa-rotta!

        BARRANCO: E o-onoratissima!

        GRIZZOFFI: E lei le paga i debiti con tutti i fornitori? Perché? pe’ suoi begli occhi?

        BARRANCO: Ah! Io? io?

        GASPARINA: Ma via! via! Non gli dia retta, per carità, signor Barranco! Lo lasci dire!

        MAESTRINA: Glieli paga, caro signor Grizzoffi, per tutti coloro che si approfittano del buon cuore di questa povera donna! Vengono qua a mangiare e non la pagano!

        GRIZZOFFI: Dice a me? Io ho pagato sempre fino all’ultimo centesimo!

        GASPARINA: Sì, è vero! Lei, sempre, signor Grizzoffi! Ed è stato sempre il primo a pagare!

        BARRANCO: Pagaree! Ma che paga lei? La-la retta paga! Non quello che-che si divora! Lei è una vo-voragine!

        GRIZZOFFI: Ah! di questo si tratta?

        BARRANCO: Del resto, non è lei solo!

        MAGNASCO: Ma sì, siamo tutti! siamo tutti, diciamo la verità!

        GRIZZOFFI: E perché allora insulta me soltanto?

        MAESTRINA: Ma ha cominciato lei, scusi, con questa poverina che è sempre in perdita per contentare tutti!

        GRIZZOFFI: Sta bene! (A Gasparina:) Lei dunque con me è in perdita?

        GASPARINA: Ma nossignore: io non ho parlato, signor Grizzoffi!

        GRIZZOFFI: Ha parlato uno de’ suoi più autorevoli protettori. Basta. Mi son sec­cato.

        BARRANCO: E-e lei se ne può andare!

        GRIZZOFFI: Me ne manda via lei? – Chi è, lei? – Il padrone?

        GASPARINA: Ma per carità! Giusto oggi, signori miei?

        BARRANCO: No-non sono il padrone, ma… ma sono…

        GRIZZOFFI: Lo sappiamo… lo sappiamo bene che cosa è…

        BARRANCO (inveendo minacciosissimo): Rispetti, le dico, la-la signorina Tor­retta!

        GRIZZOFFI (per tagliar corto, sprezzante): Via, Gasparotta: fammi il conto! me ne vado!

        GASPARINA: Ma perché, signor Grizzoffi? Che le ho fatto io?

        GRIZZOFFI: Per non vedermi più davanti quel vecchio gufo lì, che tra l’altro non mi fa dormire la notte! Tira certi ronfi con quella tromba di naso, che ne trema la casa!

        BARRANCO: Io? Ah, io? E lei che-che bestemmia anche mentre dorme?

        VIRGADAMO: Eh, via, venga… venga, signor Barranco… (Lo trascina verso l’u­scio della sua camera.) Lo lasci perdere!

        MAGNASCO (tirando a sua volta Grizzoffi, verso la sua stanza): Andiamo… an­diamo, Grizzoffi… Si calmi, via!… Venga…

        GASPARINA (alla Maestrina): Dio mio, signorina…

        MAESTRINA: Ah no, senta: il torto è suo!

        GRIZZOFFI: Aspetto il conto, sa! Voglio andarmene subito! Subito!

        BARRANCO: Ci-ci leva a tutti l’incomodo! Via Magnasco e Grizzoffi; Virgadamo e Barranco.

        Scena quarta

        Gasparina, Maestrina, poi Rosa.

        MAESTRINA: Il torto è suo, Gasparina!

        GASPARINA: Ma che vuole che ci faccia io? Ha visto? per nulla!

        MAESTRINA: Non dovrebbe farsi pestar la faccia così, ecco!

        GASPARINA: È vero, sì…

        MAESTRINA: Non c’è neanche dignità, mi scusi!

        GASPARINA: Mah! (Lieve pausa, grave di tutta la sua accorata miseria; poi con altro tono:) Lei vuol mangiare, è vero?

        MAESTRINA: Sì, debbo andar via subito.

        GASPARINA (facendosi all’uscio di destra): Rosa, porta in tavola per la signorina! Svelta eh! (Alla Maestrina:) Segga intanto; s’accomodi. (La Maestrina prende posto a un tavolino.)

        GASPARINA (mentre toglie la posata di lei dalla tavola grande, e le apparecchia il posto sul tavolino): Somara vecchia, signorina mia, abituata ormai alle fru­state e a tutti gli strattoni di cavezza!

        Rosa intanto entra ed esce per l’uscio a destra, cominciando a servire la Maestrina.

        MAESTRINA (mangiando): No, non l’approvo io, sa! Lavoriamo, noi! Non di­pendiamo da nessuno! Se io mangio qua, è perché lavoro. E anche lei è libera, alla fine! Di tutto ciò che fa o che non fa, che le piace o non le piace di fare – che io non voglio saperlo – non ha da dar conto a nessuno.

        GASPARINA: Ma facessi almeno qualche cosa, deve dire piuttosto…

        MAESTRINA: Tanto meglio! Perché si lascia allora calunniare così?

        GASPARINA: Mah! Può essere anche un gusto, dopo tutto!

        MAESTRINA: Come, un gusto?

        GASPARINA: A chi piace l’amaro…

        MAESTRINA: Le piace d’essere calunniata?

        GASPARINA: No. Ma via… che danno vuole che me ne venga più? Brutta…

        MAESTRINA: No… chi lo dice?

        GASPARINA: Eh via!… Mi vede… Sa quanti anni ho?

        MAESTRINA (incerta): Trenta… due?

        GASPARINA: Non tanti veramente: ventisette; ma per me, come n’avessi ses­santa. In mezzo ai guaj, signorina, che mi sono diluviati da tutte le parti! E lei non può neanche immaginarseli: quali e quanti n’ho visti, fin da piccola, sa? A dirli tutti, non ci si crederebbe.

        MAESTRINA: Ma dunque, anzi…

        GASPARINA: Che anzi, signorina! Non ho avuto, mi creda, neppure il tempo di pensare che la mia sorte avrebbe potuto essere un’altra. Ho pensato solo a di­fendermi, coi denti e con le unghie! La dignità, lei dice? Ma che vuole che diventi una vestina bianca di velo sulle carni di una povera sperduta, fustigata, inseguita da tutti, in mezzo a tutte le spine della vita? Mi sembra d’essere nuda al mondo! È casa questa? Chi entra, chi esce… La porta, sempre aperta. La tavola, sempre apparecchiata. Non mi vedo più dentro, signorina! Sono forse più una donna io? Sono uno strofinaccio. Chiunque, con licenza par­lando, può pulirsene le scarpe.

        MAESTRINA: Ma sfido! La vedono così dimessa… Si ribelli.

        GASPARINA: A chi?

        MAESTRINA: Se è vero che la calunniano…

        GASPARINA: Ci ho gusto, le dico! Proprio. – Guardi: non mi è mai passato per il capo che un uomo potesse innamorarsi di me! E ora a vedere che tutti cre­dono che sia stata io a lasciar questo e a prender quello – io! così come mi vede! con tutto quello che so della vita! ma è per me uno spasso, glielo giuro! Credano ciò che vogliono… Che vuole che me n’importi più?

        Scena quinta

        Dette, Loletta, Fanny, poi Magnasco, infine Celestino.

        LOLETTA (sporgendo il capo dalla tendina verde della comune): Permesso?

        GASPARINA: Chi è? – Avanti.

        Entrano Loletta Festa e Fanny Martinez: due care donnine equivoche, gio­vanissime, graziose, vestite con eleganza. – Gasparina le guarda imbarazzata; ma anch’esse sono perplesse, confuse.

        GASPARINA: Scusino, chi cercano?

        FANNY: Non è entrato qua il signor Magnasco?

        GASPARINA: Ah, sì, è qua.

        LOLETTA: Ci aveva detto di aspettare giù…

        GASPARINA: Ma non ha ancora pranzato. Hanno da dirgli qualche cosa?

        LOLETTA (imbarazzata): Sì… vorremmo… Ma lui lo sa!

        FANNY (venendole in ajuto): Ce lo chiami, per piacere.

        GASPARINA: Ecco, subito. (Si fa sull’uscio di Grizzoffi, e chiama:) Signor Magnasco, venga un po’ qua, scusi.

        MAESTRINA (che ha finito di mangiare, s’è alzata e ha guardato con occhio non ostile e viva curiosità le due ragazze): Perché non s’accomodano?

        LOLETTA: Grazie! (Resta in piedi.)

        FANNY: Grazie! (c.s.)

        MAGNASCO (sopravvenendo, con un gesto di vivo rammarico alla vista di Lo­letta e Fanny): Uh, carine mie, scusate tanto! Qui è avvenuto un po’ di… di confusione, e mi sono scordato di voi! Aspettate, aspettate… Senti, Gasparotta… (Se la chiama in disparte e parla piano con lei.)

        MAESTRINA (graziosamente alle ragazze): Sono venute per il pranzo?

        LOLETTA (birichina, ammiccando alla padrona): Eh… vorremmo… ma…

        FANNY: Dicono che c’è un orco…

        MAESTRINA: Uno? (Fa cenno con le dita che ce ne sono due.)

        LOLETTA: Ah! due?

        MAESTRINA (sorride annuendo; poi): Sono amiche del signor Speranza? Seguitano a parlar tra loro piano.

        GASPARINA (a Magnasco): Ma non è per me, lei lo capisce, signor Magnasco… Sa com’è il signor Barranco! Poi c’è quell’altra ira di Dio…

        MAGNASCO: Tu lascia fare a me!-Vedi, la signorina Maestrina…

        MAESTRINA (volgendosi a Magnasco): Eh, ma sto per andarmene, io, purtroppo.

        MAGNASCO: Che peccato! Lei che ha tanto spirito…

        GASPARINA: Proprio oggi, poi, che il signor Barranco è così irritato!

        MAGNASCO: Ma se ti dico che ci penso io al signor Barranco!

        GASPARINA (alle due ragazze): Scusino… non è per me, credano…

        MAGNASCO: Guarda: la signorina Loletta Festa, possiamo dire che è –

        LOLETTA (subito): – dattilografa! –

        MAGNASCO: – ecco! benissimo! La più proba delle dattilografe! E la signorina Fanny Martinez –

        FANNY (c.s.): – contabile! –

        MAGNASCO: – di banco! perfettamente! Sarà una sorpresa, ti dico, magnifica, per il nostro Memmo!

        GASPARINA: Eh, lo credo, per lui…

        LOLETTA: Via, sia buona!

        FANNY: Dica di sì!

        GASPARINA: Ma per me… (a Magnasco:) Veda un po’: faccia lei…

        FANNY, LOLETTA: Grazie! Grazie!

        GASPARINA: Purché poi, al solito, non ci vada io di mezzo!

        MAESTRINA: Ma no, non tema! Io vado. Addio, Gasparina; a rivederla, Magna­sco!

        GASPARINA: A rivederla, signorina.

        MAGNASCO: Se ne va davvero? A rivederla!

        MAESTRINA (alle ragazze): Buon giorno e buon divertimento! Le due ragazze inchinano il capo, e la Maestrina fa per uscire dalla comune, quando Celestino entra con un gran fascio di fiori in una mano e una cesta al braccio con quattro bottiglie di champagne.

        MAESTRINA: Uh! guarda! Anche lo champagne] E io che me ne devo andare a scuola! (Via per la comune.)

        LOLETTA (battendo le mani): Lo champagne] lo champagne]

        FANNY (c.s.): Che bellezza! E quanti fiori! Celestino!

        CELESTINO (porgendoli a Fanny, che non li prende): Eccoli qua! Glieli manda…

        MAGNASCO: Ma no! La padrona è qua. (Indica Gasparina.)

        CELESTINO: Scusi, che ne so io? Io questa conosco, perché questi fiori li manda…

        FANNY: Vico, lo so!

        CELESTINO: Ecco, sì, il signor Vico Lamanna. (Li porge a Gasparina.) E queste(porgendo la cesta con le bottiglie), il signor Speranza.

        GASPARINA: Sta bene. (Chiama:) Rosa!

        CELESTINO: Se permette, faccio io, signora. Perché il signor Speranza m’ha or­dinato di rimanere per ajutare a servire in tavola. (Si riprende la cesta; va a posar le bottiglie sulla credenza, poi esce per l’uscio a destra.)

        LOLETTA (avvicinandosi con Fanny a Gasparina): E ai fiori, se permette, si­gnora –

        MAGNASCO (interrompendola con serietà): – no, cara: Gasparotta, devi farmi il piacere, me la devi chiamare signorina, come te!

        LOLETTA: Ma s’immagini!… Scusi, sa…

        GASPARINA: Ma no, carina, niente! scherza…

        MAGNASCO: Perché scherzo? Signorina tu, signorine loro; signorine tutt’e tre!

        GASPARINA: Diceva… dei fiori?

        LOLETTA: Se vuol lasciar fare noi: li disporremo sulla tavola.

        GASPARINA, Ah sì, ecco… facciano pure…

        Dà i fiori a Loletta, che insieme con Fanny si mette a distribuirli sulla tavola, disposti nei varii portafiori.

        Scena sesta

        Detti, Grizzoffi, Barranco, Virgadamo.

        In questo mentre, dall’uscio a sinistra, rientrano il prof. Virgadamo e il si­gnor Barranco, e restano l’uno gradevolmente sorpreso, e l’altro no, alla vista delle due ragazze. Poco dopo, dall’uscio della sua camera, rivien fuori Grizzoffi, il quale smorfiosamente comincia ad annusare, avvertendo subito l’odore equivoco delle due donnine.

        MAGNASCO (subito andando incontro al signor Barranco): Ah! ecco, caro si­gnor Barranco… presento… cioè, prego, venga… la presento alle distintissime signorine… (Le due ragazze accorrono assumendo un contegno timido e gra­zioso.) Loletta Festa –

        LOLETTA (inchinandosi): – dattilografa!

        MAGNASCO: E Fanny Martinez –

        FANNY (c.s.): – contabile di banco. Scoppia dal fondo una risata fragorosa di Grizzoffi.

        MAGNASCO: Che ha da ridere, lei, scusi!

        LOLETTA (facendoglisi innanzi, con comica aria di sfida): Io so scrivere dav­vero a macchina, sa?

        GRIZZOFFI (sempre ridendo): Lo credo… lo credo… (A Fanny:) E lei… di banco? Negozio di fiori?

        VIRGADAMO (serio): No, credo di guanti, piuttosto.

        FANNY: E perché, di guanti?

        VIRGADAMO: Perché me l’immagino, in un negozio di guanti, ben profumato…

        GRIZZOFFI: E basta, sa? A lui basta questa immaginazione! Frattanto Magnasco e Gasparina hanno circondato il signor Barranco, messo in allarme.

        GASPARINA: Buone amiche del signor Speranza, creda, signor Barranco…

        MAGNASCO: Le dico, distintissime signorine… castigate, intemerate…

        Scena settima

        Detti, Memmo Speranza, Vico Lamanna, poi Celestino, Rosa. Magnasco non ha finito di dire: «castigate, intemerate» che le due ragazze, vedendo entrare dalla comune Speranza e Lamanna, saltano loro al collo e baciano prima l’uno e poi l’altro, esultanti.

        FANNY, LOLETTA: Oh! ecco Memmo! ecco Memmo! Caro!… caro!…

        MAGNASCO (subito, per rimediare, al signor Barranco più che mai allarmato): Ah, ma perché c’è un filo sa? anche un filo di parentela.

        MEMMO: Piano! piano, ragazze mie!

        Si schermisce quasi istintivamente per difesa della recente ferita al petto. È ancora pallido, difatti, un po’ debole. Bel giovane, elegantissimo. vico (anche lui molto elegante, caposcarico, compagno di Memmo nelle più arrischiate imprese giovanili): E come siete qua vojaltre?

        MAGNASCO (a Memmo che si fa avanti con le due ragazze abbracciate per la vita): È vero, Memmo? Non so che filo… ma un filo c’è…

        MEMMO: Di pazzia? Eh, altro!

        MAGNASCO: Ma che pazzia! Pazzo sei, lo sappiamo! Un filo di parentela, dico, qua, con le signorine… (Ammicca al signor Barranco.)

        MEMMO: Ah, sì, signor Barranco: cuginette: Loletta e Fanny… – un po’ larghe… (Poi volgendosi a Grizzoffi:) Caro Grizzoffi, piacere di rivederla.

        VIRGADAMO: E anch’io… tanto, tanto, proprio…

        MEMMO: Grazie, professore; lei è venuto a visitarmi parecchie volte… E la si­gnorina maestrina?

        GASPARINA: È dovuta tornare a scuola.

        VIRGADAMO: Molto dolente, creda!

        GRIZZOFFI: Dunque dunque: si va a tavola? Mi pare che non si debba più aspet­tar nessuno.

        MEMMO: A tavola, sì, a tavola!

        GASPARINA: È tutto pronto. Prendano posto. Vado in cucina…

        MEMMO: Ah, no, Gasparotta! Tu oggi devi sedere a tavola con noi!

        GASPARINA: Sì, più tardi… Ora mi permettano… (Via per l’uscio a destra.) Intanto gli altri prendono posto a tavola, e subito comincia il pranzo servito da Celestino e da Rosa.

        MEMMO: Poverina! Se sapeste come m’ha assistito! Quante notti al mio capez­zale!

        GRIZZOFFI: Eh, non dubiti: ce ne siamo accorti bene qua, noi!

        VICO: Ma non è vero niente, scusi!

        MAGNASCO: Puntualissima sempre!

        GRIZZOFFI: Perché voi non alloggiate qua! Vedete solo la tavola…

        VICO: Ma il signor Barranco…

        GRIZZOFFI: Ah, sfido! Per lui…

        BARRANCO: Pe-per me? Finisca!

        MAGNASCO: Signori miei, volete ricominciare?

        GASPARINA (accorrendo dall’uscio a destra e prendendo posto a tavola accanto al signor Barranco): Ecco… prego… prego… se posso permettermi di rivol­gere a lor signori una preghiera…

        VICO: Ma dieci! ma venti!

        MEMMO: Sentite come parla?

        MAGNASCO: E lasciatela finire! – Che preghiera?

        GASPARINA: Che lascino dire di me al signor Grizzoffi tutto quello che vuole!

        GRIZZOFFI (aggressivo): E che significa?

        MAGNASCO: Ma che lei, perdio, può bistrattarla come vuole! Scarpinarotta, di lei, non se n’avrà per male.

        VICO: Senti com’è gentile! Scarpina-rottaì

        GRIZZOFFI: Ma io, caro signore, non voglio essere compatito da nessuno!

        MEMMO: Signori… calma… calma… Attendiamo per ora a mangiare. Vedrete che queste liti qua finiranno.

        VIRGADAMO: Oh che peccato!

        MEMMO: Ci sciala lei, caro professore, lo so: ma finiranno; me ne dispiace per lei. Ho trovato il rimedio radicale, e raccomando al signor Barranco – col do­vuto rispetto – di far di tutto per impedire al suo naso di crescere. Le ragazze ridono.

        BARRANCO: Il mio naso?

        MEMMO: Scusi. Perché vedrà che, com’avrò enunziato il mio rimedio, reste­ranno tutti con un palmo di naso. M’impensierisco allora per le proporzioni del suo.

        BARRANCO: Ma pensi al suo, lei, ca-caro signore, perché la morte, sa, è senza naso, e-e lei il suo ce-ce l’ha ancora in faccia per miracolo!

        TUTTI (meno Memmo – applaudendo): Benissimo! benissimo! Bravo signor Barranco!

        MEMMO: Eh, ma appunto per conservarmi il naso, dovrò far crescere il vostro di almeno un palmo!

        MAGNASCO: Fuori questo naso… cioè, questo rimedio!

        VIRGADAMO: Vogliamo ridere!

        MEMMO: Lei non riderà più! V’immaginate che abbia mandato un po’ di cham­pagne per bere alla mia salute? V’ingannate! Berremo oggi l’ultimo bicchiere in suffragio di questa Pensione.

        TUTTI: Come? Come? Che vuol dire? Che ha detto? Viva agitazione di curiosità. – Gasparina si alza.

        MEMMO: Tu, Gasparotta, non ti spaventare!

        GASPARINA: Non mi spavento, nossignore… Vorrei andare un momentino a ve­dere… (indica: in cucina.)

        MEMMO: Nient’affatto! Rimani qua! Perché, tu che sembri l’ultima, rappresenti nel mio rimedio la prima.

        MAGNASCO: Ma insomma?

        GLI ALTRI: Che cos’è? Fuori questo rimedio! Spiegati!

        MEMMO: Piano. Seguitiamo a mangiare. Come uno muore seguitando a vivere fino all’ultimo respiro, così una pensione, seguitando a mangiare fino all’ul­timo boccone.

        VIRGADAMO: Ma senza parlar di morte, via, signor Speranza!

        MAGNASCO: Non è pedagogico, scusa!

        MEMMO: Ma io ne esco adesso, professore mio!

        VIRGADAMO: Ragione di più! E poi, per colpa sua!

        TUTTI: Verissimo! Verissimo!

        MEMMO: Ah, mia? Avete il coraggio di dire che è stato per colpa mia?

        TUTTI: Sì, sì! Tua! tua!

        MEMMO: Se le stuzzicassi io, le donne! Non ne ho stuzzicata mai una! Mi stuz­zicano loro! tutte!

        LOLETTA: E tu perché ti lasci stuzzicare?

        MEMMO: Oh bella! Volete dire che non è ladro il ladro, perché è un imbecille chi si lascia rubare? Va bene. D’accordo! – Da diciannove a trent’anni, do­dici volte fidanzato, signori miei!

        MAGNASCO: E con chi te la pigli?

        MEMMO: Ma perché, domando io, ciò che capiscono così bene tutti quanti gli animali – anche gli uccellini, santo Dio, con quelle loro testoline! – non dev’esser capito soltanto dall’uomo? – Per sempre! O per sempre o niente! Ti circondano, ti avviluppano, t’ubriacano, ti fanno perdere la testa… (S’in­terrompe per contraffare la voce di una ragazza innamorata.) «No! prima giuramelo: per sempre!» Ti obbligano a giurarlo anche davanti a papà… Un pover’uomo, signori miei, che s’è ubriacato, che ha perduto la testa, che vo­lete che faccia? Giura, impegna la sua fede… (Con scatto improvviso, inat­teso:) Io ce l’ho a morte con lei, senta, professor Virgadamo!

        VIRGADAMO (stordito come tutti gli altri): Con me? Come, come? E che c’entro io?

        MEMMO: E con tutti i suoi colleghi, sissignore! Voi che insegnate alle donne! Ma che cosa insegnate?

        VICO: È giustissimo! Che cosa insegnate? Dovreste insegnar loro a contentarsi d’un periodo di tempo ragionevole!

        MEMMO: Ma no! Anche d’una eternità…

        VICO: Anche d’una eternità!

        MEMMO: Ma dando loro un concetto più filosofico del tempo!

        VICO: Ecco!

        MEMMO: No, ti prego. Io parlo sul serio! Scusate: non abbiamo forse sentito tutti, in certi momenti, aprirsi, accendersi dentro di noi come una luce d’altri cieli, che ci permette di vedere nelle più misteriose profondità dell’animo, e che ci dà la gioja infinita di sentirci in un attimo… in quell’attimo – eterni – e che s’è vissuto – e che può bastare? – Ecco, questo, professore! Insegnare alle ragazze il concetto di quest’eternità –

        VICO (subito): – momentanea! –

        MEMMO (seguitando): – l’unica consentita all’uomo: chiusa e vissuta vera­mente in un solo momento, che non può più ripetersi, che non può esser più quello; ma fastidio, stanchezza, nausea, prigionia insopportabile, a volerlo perpetuare !

        FANNY, LOLETTA (battendo le mani): Benissimo! Benissimo!

        MEMMO: Eh, lo so, carine: voi l’intendete! Ma le altre?

        LOLETTA: Va, là, che forse l’intendono anche loro!

        MEMMO: Se non ci fossero i papà, gli zii, i fratelli, i cognati, i cugini, costituiti a guardia del giuramento!

        BARRANCO: Ma-ma se lei ha-ha giurato –

        MEMMO: – sfido, per forza! –

        BARRANCO: – non può più ti-tirarsi indietro!

        MEMMO: Ma se non ho ancora neppur toccato un dito alla loro figliuola… ni­pote… sorella… cognata… cugina?

        BARRANCO: Ha-ha dunque scherzato?

        MEMMO: Nossignore: mi sono pentito, ho aperto gli occhi, ho visto il male che facevo alla ragazza e a me. Sono come la paglia, io: piglio fuoco subito: una bella fiammata; poi affogo nel fumo. Il matrimonio non è per me: l’amore, sì; il matrimonio, no.

        BARRANCO: E-eresie, eresie! Basta, basta! Speriamo che-che abbia messo senno, adesso!

        MEMMO: Ma come: più senno di così? Mi hanno voluto uccidere, capisce? Mica perché mi sono fidanzato: allora mi hanno accolto a braccia aperte! Mi hanno voluto uccidere, quando ho aperto gli occhi, quando mi sono accorto della bestialità che stavo per commettere!

        LOLETTA: Ma perché t’eri fidanzato?

        MEMMO: Oh bella! Perché m’ero innamorato! E mi innamoro, signori miei; m’innamoro con una facilità spaventosa!

        BARRANCO: Ma pe-per questo le dico, che-che deve metter senno!

        MEMMO: Le ripeto che l’ho messo a tempo tutt’e dodici le volte che sono stato fidanzato! Appena passato il primo accecamento dell’amore, compatibile, perdonabile in un giovane! – Che! che! Il senno non giova a niente!

        BARRANCO: E-eresie, prego!

        MEMMO: Dico per una natura come la mia, signor Barranco: accensibile, infiammabile. Il senno mi rovina. Me la sono scampata oggi; domani incappe­rei daccapo. Che senno! Che senno! Ci vuol altro! Ho trovato il vero rimedio, vi dico, per salvarmi – se non voglio morire – dal pericolo tremendo che mi sovrasta, di prender moglie!

        MAGNASCO: Ma dillo infine, santo Dio! questo rimedio!

        GLI ALTRI: Eh sì! fuori! fuori! Qual è? qual è?

        MEMMO (si alza, risolutamente, e proclama): Signori, io sposo Scarparotta! (Scoppio di risate e d’esclamazioni generali.)

        GASPARINA (ridendo anche lei): Oh, guarda… Proprio me?

        VIRGADAMO (esultante): Oh bella! oh bella!

        MEMMO: Vi sembra che io scherzi? Dico sul serio! Sposo te, Gasparotta! (Nuove risate ed esclamazioni.) Chi vuole scommettere?

        MAGNASCO: Io! Mille lire!

        MEMMO (cavando il portafogli): Fuori le mille lire! Ecco qua le mie.

        VIRGADAMO: Io sarò il depositario, signori!

        MEMMO: Benissimo! (A Magnasco:) Qua, al professore Virgadamo! Mille lire!

        MAGNASCO: Non le ho con me. In parola! Qua, la mano! Mille lire e il pranzo di nozze! (Stringe la mano a Speranza.)

        MEMMO: Le perderai! Signori: testimonii tutti della scommessa. Io sposerò Ga­sparotta!

        VICO, VIRGADAMO, LOLETTA, FANNY (battendo le mani): Benissimo! Viva gli sposi! Accanto gli sposi! Vico si alza per prendere Gasparina.

        MEMMO (a Gasparina): Mi vuoi tu? Mi vuoi?

        GRIZZOFFI: Burattinate! Burattinate!

        BARRANCO (a Gasparina, irritatissimo): Ma-ma lei protesti, i-in nome di Dio!

        GASPARINA: Ma no, scusi: non vede che fa per ischerzo?

        MEMMO: Non scherzo niente affatto!

        GRIZZOFFI: Burattinate!

        MEMMO: Scusi, sarebbe geloso, lei?

        VICO: Sì, è geloso! È geloso!

        MAGNASCO: Anche il signor Barranco!

        GRIZZOFFI: Ma via, finiamola!

        MEMMO: Signori, se credete che in questo momento io stia scherzando, v’in­gannate!

        GRIZZOFFI (a gran voce, alteratissimo, dando un pugno sulla tavola): Finiamola, le dico! (Silenzio di tutti.) Mi dà ai nervi codesto insulso, stupido scherzo su una cosa che voi non sapete ciò che voglia dire, per Dio!

        MEMMO: Perché lei è separato dalla moglie? Ma so meglio di lei, caro signore, che non si scherza col matrimonio! Ho rischiato la vita per salvarmi da esso…

        GRIZZOFFI: E dunque?

        MEMMO: Sposo Gasparotta, appunto per questo!

        MAGNASCO: Il ragionamento non potrebbe essere più filato!

        VIRGADAMO: Filatissimo! Logicissimo! Il signor Speranza sposa, infatti, per non prender moglie!

        MEMMO: Proprio così!

        GRIZZOFFI (a Virgadamo): Lei è un buffone!

        MEMMO: Ma no, caro signore: è lei che non capisce niente! Io sposo proprio per guardarmi dal pericolo di prender moglie sul serio!

        MAGNASCO: E Gasparotta, allora?

        MEMMO: Ma io la farò felice! Se non mi lasciate dire… (A Gasparina:) Ti farò felice, Gasparotta! Guarda: prima di tutto ti leverò da quest’inferno! (Tutti protestano:) Sissignori, inferno! Questa è una povera martire!

        GASPARINA: Ma no, che dice? Si stia zitto!

        MEMMO: Ho una casettina per te; una villettina rustica fuori le mura…

        LOLETTA: O Dio, Memmo: sposa me!

        MEMMO (scostandola): Via, tu; non c’entri! (A Gasparina, seguitando:) Col suo bravo giardinetto… l’orticello, il pollajo…

        LOLETTA: Anche il pollajo?

        MEMMO (a Gasparina, seguitando): Te ne starai lì, tranquilla, beata, con un di­screto assegnino che ti farò, appartata per conto tuo e liberissima di vivere come ti parrà e piacerà!

        FANNY: Ma è il paradiso!

        LOLETTA (cantando l’aria della Mascotte): Moi, j’aime mes moutons…

        MEMMO: Zitta, Loletta! (A Gasparina:) Prenderai solo un’ipoteca legale sul mio nome. Capite, signori? In comune, soltanto il nome, che non è neanche un nome proprio, vi faccio osservare: «Speranza»’, comunissimo! Chi non ne ha? Che ne dici tu, Gasparotta?

        GASPARINA: Eh… per me… se non se ne pente… Scoppiano altissimi applausi, risa, grida di: «Evviva gli sposi!».

        VICO: Lo champagne, subito! E beviamo alle faustissime nozze! Scoppio della bottiglia sturata da Celestino: sono tutti in piedi.

        MAGNASCO: Portiamo in trionfo Scarpina-rotta, accanto allo sposo! Vico, Magnasco, Virgadamo, Loletta e Fanny accorrono per prendere Ga­sparina.

        BARRANCO (tremante d’ira e di sdegno, scostando tutti e trattenendo Gaspa­rina): Le-lei no, non si presterà a-a-a un simile sacrilegio!

        MEMMO: Ma no! Stia tranquillo, signor Barranco! Non celebreremo in chiesa il matrimonio!

        VICO: Non ce ne sarà bisogno!

        MEMMO: Al municipio soltanto, in barba a un sindaco, per far la vendetta di tutte quelle migliaja di coppie che egli avrà infelicitato sul serio! Ci diverti­remo, lasciate fare a me, che ci divertiremo!

        BARRANCO: Ma-ma è allora una cosa seria?

        MEMMO: Seriissima, sissignore! Ma non come matrimonio! Come matrimonio, non è una cosa seria! Seriissimo sarà agli effetti; perché salva me e fa il bene di questa poverina! Cose serie, del resto, si persuada, signor Barranco, sono quelle sole a cui diamo importanza! C’è più della morte? Uno non le dà im­portanza: – cosa da nulla! Al contrario: il suo naso! Cosa ridicolissima. Ma per lei infelicità seria! Perché? Perché lei gli dà importanza!

        BARRANCO: Io? Ma-ma niente affatto!

        MEMMO: E perché allora lo ficca in un affare che non lo riguarda? Si faccia gli affari suoi!

        BARRANCO: Sta-sta bene! Io allora me-me ne vado! (Si alza e s’avvia.)

        MEMMO: Ma no…

        GRIZZOFFI: Via, sì! via! Me ne vado anch’io! Burattinate! (S’avvia.)

        MAGNASCO (correndogli dietro): Ma no… Grizzoffi, ma perché? Venga qua!

        VIRGADAMO (c.s.): Signor Barranco…

        VICO: Lasciateli andare! Lasciateli andare!

        MEMMO: Ma sì, venite qua! Non date retta! Barranco e Grizzoffi entrano nelle loro camere.

        GASPARINA (dolente): Signor Speranza, per carità: lei scherza… ma basta ora…

        MEMMO: E dalli!

        GASPARINA: Vede? Mi fa perdere due clienti –

        MEMMO (subito, pronto): – per guadagnare un marito! Sta’ a sentire: non è una follia: ne ha l’apparenza, ma non è una follia! Non ho mai ragionato così bene come adesso! È un disegno maturato, credi! Vico lo sa!

        VICO: Ma-tu-ra-tis-si-mo! Ne parliamo ora per la prima volta insieme!

        MEMMO (a Gasparina): Ma pensa tu stessa quello che mi costerebbe una mo­glie sul serio, che avesse su me, domani, diritti sul serio…

        GASPARINA: E lei non la pigli!

        MEMMO: Come se stésse a me! Finirei per prenderla, domani! E immagina quello che mi costerebbe, non dico soltanto dell’infelicità per tutta la vita; ma anche materialmente, di quattrini, capisci?

        VICO: Le spese… il lusso…

        FANNY: Questo è innegabile!

        MEMMO (a Gasparina): Non sei tu invece una brava donnina discreta?

        GASPARINA: Che vuole che sia io…

        MEMMO: Vedi? Che mi costeresti tu?

        VICO: Niente, a confronto!

        MEMMO: Eppure ti avrò fatto un gran bene: il riposo –

        LOLETTA: – la villetta –

        VICO: – un assegno –

        MEMMO: – e nessun dovere verso di me, perché non avrai nessun diritto di mo­glie sul serio! Soltanto il nome ipotecato, perché io non possa più disporne, e basta!

        LOLETTA: Se la signorina non vuole, Memmo… te lo dico davvero!

        FANNY: Ma sì, ci starei anch’io!

        MEMMO: Eh no, carine! Non capite che può essere soltanto con lei?

        GASPARINA: Perché, soltanto con me, nessuno potrebbe credere che il signor Speranza non l’abbia fatto per ischerzo –

        MEMMO (subito con forza): – e sul serio, nello stesso tempo! Ti sembra proprio una follia?

        GASPARINA: Ma sì, via, signor Speranza!

        MEMMO: Tranne che tu – oh Dio – non abbia ancora qualche velleità!

        GASPARINA (ride): Che vuole che abbia io? Via, la smetta! Non capisce che lei, domani, se ne pentirà?

        MEMMO: Ma sicuro che me ne pentirò! sicurissimo! Ma non comprendi che proprio quando me ne pentirò, ne risentirò il vantaggio, perché vorrà dire che mi sarò innamorato fino al punto di commettere la vera follia del matrimonio sul serio?

        TUTTI: È verissimo! È giustissimo!

        GASPARINA: E allora ci andrei di mezzo io?

        MEMMO: Ma no! tu no! Perché? Me la piglierò con me, se mai, che l’ho voluto! Che c’entri tu? Se lo faccio per questo! in previsione di questo! Tu sarai ga­rantita da tutti gli atti in regola.

        VICO: Notajo! Stato civile!

        MEMMO: Tutto in regola! E subito! – Lei professore, e tu Vico, sarete i miei testimonii.

        VIRGADAMO: Obbligatissimo! Onoratissimo!

        MAGNASCO: E io della sposa!

        MEMMO: Su, su al Municipio! A fare la denunzia!

        GASPARINA: Ma via, si stia quieto, signor Speranza!

        LOLETTA (a Gasparina): Lei ha davvero il coraggio di rifiutare questa fortuna?

        FANNY (c.s.): Dice sul serio, sa?

        GASPARINA: Ma io rifiuto per lui!

        MEMMO: Non ti curare di me! (Cava un taccuino e un lapis.) Su, nome – lo so!  – paternità, anni e luogo di nascita, stato: se sei nubile, vedova o niente; non c’è bisogno che mi dica la verità su questo punto. Ma gli anni sì, precisi. Quanti?

        GASPARINA: Ventisette.

        MEMMO (dando un balzo indietro): Non cominciare!

        GASPARINA: Glielo giuro: ventisette. Sono nata…

        MEMMO: Basta: risulterà dallo stato civile. Ma non si direbbe, sai? E… dunque, diciamo… così per dire, nubile!

        GASPARINA: Nubilissima, sissignore.

        MEMMO (ridendo): Va bene, va bene… (A Magnasco, mentre scrive sul taccuino:) Tu hai perduto le mille lire!

        MAGNASCO: È il pranzo di nozze: non mi tiro indietro!

        VIRGADAMO: Come ci divertiremo!

        MEMMO: Sii, andiamo, ragazze: ancora un bicchiere in onore della sposina e scappiamo!

        Celestino stura un’altra bottiglia e tutti tendono il bicchiere. Nel frattempo il signor Barranco col cappello in capo e una borsetta in mano, esce dalla ca­mera.

        BARRANCO (funebre, reciso, a Gasparina): Ho preparate di-di là le-le mie robe.

        GASPARINA: Ma no, senta, signor Barranco…

        BARRANCO: Non sento nulla! – Basta così! – Me-me le manderà al mio nuo-nuovo do-domicilio.

        GASPARINA: Ma dunque…

        BARRANCO: Ba-basta così! (Via per la comune.)

        MAGNASCO (dopo un silenzio impiccioso di tutti): Quello ti amava sul serio, sai, Gasparotta?

        MEMMO: Oh!v non tentarmela, per non perdere la scommessa!

        GASPARINA: È stato sempre tanto buono con me…

        MEMMO: E buono potrà seguitare a essere con te più di prima! Su, sii, beviamo, e via! (Celestino versa lo champagne. Tutti bevono tra risate ed evviva alla sposa.) E adesso andiamo! andiamo, ragazze!… Noi tre, al Municipio… Addio, sposina! È fatto! Non mi venir meno, sai! È la nostra salvezza! A questa sera!

        Mentre Memmo dice questo, gli altri scambiano i saluti con Gasparina e infine, via tutti per la comune.

        Scena ottava

        Gasparina sola, poi Rosa.

        GASPARINA (resta un po’ assorta; poi guarda il disordine della mensa; scrolla un po’ il capo: alza le mani e le scuote appena in aria): Che matti… che matti…

        ROSA (entrando dall’uscio di destra): Posso sparecchiare?

        GASPARINA: Sì… vedi un po’… piano piano…

        ROSA: Ma come… lei sposerà davvero, signorina?

        GASPARINA: No, che davvero… Ti par che io possa sposare per davvero?

        ROSA: Ah, non è una cosa seria?

        GASPARINA: No, cara… sposerò per ischerzo…

        ROSA (incerta): …Sposerà?

        GASPARINA: Sì… ma non è una cosa seria!

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1918 – Ma non è una cosa seria – Commedia in tre atti
Premessa
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

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