Questa sera si recita a soggetto – Atto secondo

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Questa sera si recita a soggetto - Atto II
Giustino Durano, Alida Valli, Sebastiano Lo Monaco, Questa sera si recita a soggetto, 1996. Immagine dal Web.

1930
Questa sera si recita a soggetto
Atto Secondo

       Si riapre il sipario.

       Il Dottor Hinkfuss comincia a menare il can per l’aja.

       «Sarà bene in principio» avrà pensato «dare una rappresentazione sintetica della Sicilia con una processioncina religiosa. Farà colore».

       E ha tutto disposto perché questa processioncina muova dalla porta d’ingresso della sala verso il palcoscenico, attraversando il corridojo che divide nel mezzo in due ali le file della platea e delle poltrone, nell’ordine seguente:

       quattro chierichetti, in tonaca nera e càmice bianco con guarnizioni di merletti; due davanti e due dietro; reggeranno quattro torcetti accesi;

       quattro giovinette, dette «Verginelle», vestite di bianco e avvolte in veli bianchi, con guanti bianchi di filo, troppo grandi per le loro mani, apposta perché appajano un po’ goffe; due davanti e due dietro anch’esse, reggeranno le quattro mazze d’un piccolo baldacchino di seta celeste;

       sotto il baldacchino, la «Sacra Famiglia»; vale a dire, un vecchio truccato e parato da San Giuseppe, come si vede nei quadri sacri che rappresentano la Natività, con una spera di porporina attorno al capo e in mano un lungo bàcolo, fiorito in cima; accanto a lui, una bellissima giovinetta bionda, con gli occhi bassi e un dolce modestissimo sorriso sulle labbra, acconciata e parata da Vergine Maria, anche lei con la spera attorno al capo e in braccio un bel bambolone di cera che rappresenta il Bambino Gesù, come ancor oggi si possono vedere in Sicilia, per Natale, in certe rozze rappresentazioni sacre con accompagnamento di musiche e cori;

       un pastore, con berretto di pelo e cappotto d’albagio, le gambe avvolte di pelli caprine, e un altro più giovane pastore; soneranno, quello la ciaramella, e questo l’acciarino;

       un codazzo di popolani e popolane, d’ogni età; le donne, con le gonne lunghe, rigonfie ai fianchi, a piegoline, e la «mantellina» in capo; gli uomini, con giacche corte a vita e calzoni a campana, sorretti da larghe fasce di seta a colori; in mano i berretti a calza, di filo nero, con la nappina in punta; entreranno nella sala cantando, al suono della ciaramella e dell’acciarino la cantilena:

Oggi e sempre sia lodato
nostro Dio sagramentato:
e lodata sempre sia
nostra Vergine Maria.

       Sul palcoscenico, intanto, si vedrà una strada della città col muro bianco, grezzo, d’una casa, che correrà da sinistra a destra per più di tre quarti della scena, dove farà angolo in profondità. Allo spigolo, un fanale col suo braccio. Dopo lo spigolo, nell’altro muro della casa ad angolo ottuso, si vedrà la porta d’un Cabaret, illuminata da lampadine colorate; e, quasi dirimpetto, un po’ più in fondo e di taglio, il portale d’un’antica chiesa, su tre scalini.

       Un poco prima che si levi il sipario e che la processione entri nella sala, s’udrà sul palcoscenico il suono delle campane della chiesa e, appena percettibile, il rombo d’un organo sonato nell’interno di essa. Al levarsi del sipario e all’entrata della processione, si vedranno sul palcoscenico inginocchiarsi, lungo il muro e a destra, uomini e donne (non più di otto o nove) che si troveranno a passare per la strada: le donne, facendosi il segno della croce, gli uomini, scoprendosi il capo. Allorché la processione, salita sul palcoscenico, entrerà nella chiesa, questi uomini e queste donne s’aggiungeranno al codazzo ed entreranno anche loro. Entrato l’ultimo, cesserà il suono delle campane; durerà ancora, nel silenzio, più distinto, quello dell’organo, per poi venir meno pian piano col graduale mancar della luce sulla scena.

       Sùbito, appena estinto questo suono sacro, scatterà con violento contrasto il suono d’un jazz nel Cabaret, e, nello stesso tempo, il muro bianco che corre per più di tre quarti della scena si farà trasparente. Si vedrà l’interno del Cabaret sfolgorante di varie luci colorate. A destra, fin presso la porta d’ingresso, sarà il banco di méscita, dietro al quale si vedranno tre ragazze scollate, sguajatamente dipinte. Nella parete di fondo, presso il banco, sarà appesa una lunga stuoja di velluto rosso fiammante e sovr’essa, composta come un bassorilievo, una strana Chanteuse vestita di veli neri, pallida, il capo reclinato indietro e gli occhi chiusi, canterà lugubremente le parole del jazz. Tre ballerinette bionde moveranno in cadenza le braccia e le gambe, voltando le spalle al banco, nel poco spazio tra quello e la prima fila dei tavolinetti tondi a cui seggono gli avventori (non molti) con le bibite davanti.

       Tra questi avventori è Sampognetta col cappelluccio in capo e un lungo sigaro in bocca.

       L’avventore che gli sta dietro, nella seconda fila dei tavolini, vedendolo intentissimo alle mosse di quelle tre ballerinette, gli sta preparando uno scherzo feroce: due lunghe corna ritagliate nel cartoncino ov’è stampata, col programma, la lista dei vini e delle altre bibite del Cabaret.

       Gli altri avventori se ne sono accorti e ci prendono un gran gusto e fanno ammiccamenti e cenni di far presto.

       Quando le due corna son ritagliate, belle lunghe e ritte nel giro di carta che fa da base, l’avventore si alza e con molta cautela le colloca sul cappelluccio di Sampognetta.

       Tutti si mettono a ridere e a battere le mani.

       Sampognetta, credendo che le risa e i battimani siano per le tre ballerinette che a tempo finiscono di ballare, comincia a ridere e a battere le mani anche lui, facendo così prorompere più che mai squacquerate le risa degli altri e fragorosi gli applausi. Ma non sa capacitarsi perché tutti guardino lui, anche le donne del banco, anche le tre ballerinette che, ecco, si buttano via dalle risa. Si smarrisce; il riso gli si rassega sulle labbra; l’applauso gli si spegne nelle mani.

       Allora, quella strana Chanteuse ha un impeto d’indignazione; si stacca dalla stuoja di velluto e si muove per andare a strappare dalla testa di Sampognetta quello schernevole trofeo, gridando:

       LA CHANTEUSE: No, povero vecchio, via! vergognatevi!

       Gli avventori la parano, gridando a loro volta simultaneamente, in gran confusione.

       GLI AVVENTORI: – Sta’ lì, stupida!

       – Zitta e al tuo posto!

       – Che povero vecchio!

       – Chi ti c’immischia?

       – Lascia fare!

       – Se lo merita!

       – Se lo merita!

       E tra queste grida confuse, la Chanteuse seguiterà a protestare, trattenuta, dibattendosi:

       LA CHANTEUSE: Vigliacchi, lasciatemi! Perché se lo merita? Che male v’ha fatto?

       SAMPOGNETTA: (alzandosi più che mai smarrito) Che mi merito? Che mi merito? l’avventore che gli ha fatto lo scherzo Ma niente, signor Palmiro, la lasci dire!

       SECONDO AVVENTORE: È ubriaca, al solito!

       L’AVVENTORE: CHE GLI HA FATTO LO SCHERZO: Se ne vada, se ne vada, questo non è posto per lei!

       E lo spinge con gli altri verso la porta.

       TERZO AVVENTORE: Lo sappiamo noi bene, quello che lei si merita, signor Palmiro!

       Sampognetta è condotto fuori con le sue brave corna in testa. La trasparenza del muro si spegne. Si sentono ancora le grida di quelli che trattengono la Chanteuse; poi, una gran risata, e riattacca il jazz.

       SAMPOGNETTA: (ai due o tre avventori che lo hanno spinto a uscire e che ora se lo godono incoronato sotto il fanale acceso) Ma io vorrei sapere che cosa è successo.

       SECONDO AVVENTORE: Niente, è per la storia dell’altra sera.

       TERZO AVVENTORE: La sanno tutti affezionato a questa Chanteuse

       SECONDO AVVENTORE: Volevano, così per scherzo, che ella le désse uno schiaffo, come l’altra sera –

       TERZO AVVENTORE: – Già! – dicendo che lei se lo merita!

       SAMPOGNETTA: Ah, ho capito! ho capito!

       PRIMO AVVENTORE: O oh! guardate! guardate! Su, in cielo! Le stelle!

       SECONDO AVVENTORE: Le stelle?

       PRIMO AVVENTORE: Si muovono! si muovono!

       SECONDO AVVENTORE:. Ma va’ là!

       SAMPOGNETTA: Possibile?

       PRIMO AVVENTORE: Sì, sì, guardate! Come se qualcuno le toccasse con due pertiche!

       E alza le braccia facendo le corna.

       SECONDO AVVENTORE: Ma statti zitto! Tu hai le traveggole!

       TERZO AVVENTORE: Ti pajono lampioncini, le stelle?

       SECONDO AVVENTORE: Diceva, signor Palmiro?

       SAMPOGNETTA: Ah, ah sì, che io, questa sera, non so se ci avete fatto caso, apposta ho guardato sempre le ballerine, senza nemmeno voltare il capo verso di lei. Mi fa tanta impressione, tanta! quella poverina, quando canta con gli occhi chiusi e con quelle lagrime che le sgocciolano per le guance!

       SECONDO AVVENTORE: Ma lo fa per professione, signor Palmiro! Non creda a quelle lagrime!

       SAMPOGNETTA: (negando seriamente, anche col dito) No no, ah, no no! Che professione! Che professione! Vi do la mia parola d’onore che quella donna soffre: soffre sul serio. E poi ha la stessa voce della mia figlia maggiore: tal quale! tal quale! E m’ha confidato ch’è figlia anche lei di buona famiglia…

       TERZO AVVENTORE: Ah sì? Oh guarda! Figlia anche lei di qualche ingegnere?

       SAMPOGNETTA: Questo non lo so. Ma so che certe sventure possono capitare a tutti. E, ogni volta, sentendola cantare, mi… mi prende un’angoscia, una costernazione…

       Sopravvengono a questo punto da sinistra, a passo di marcia, Totina a braccio di Pomàrici, nenè a braccio di Sarelli, Dorina a braccio del Terzo Ufficiale, Mommina accanto a Rico Verri e la signora Ignazia a braccio degli altri due giovani ufficiali. Pomàrici segna il passo per tutti, prima ancora che la compagnia entri in scena. I tre avventori, che saranno diventati anche quattro o più, sentendo la voce, si ritrarranno verso la porta del Cabaret, lasciando solo il signor Palmiro sotto il fanale, sempre con le sue corna in testa.

       POMÀRICI: Un due, – un due, – un due…

       Sono diretti al teatro, le quattro ragazze e la signora Ignazia, in sgargianti abiti da sera.

       TOTINA: (vedendo il padre con quelle corna in capo) Oh Dio, papà! Che t’hanno fatto?

       POMÀRICI: Vigliacchi schifosi!

       SAMPOGNETTA: A me? Che cosa?

       NENÈ: Ma lèvati ciò che t’hanno messo sul cappello!

       SIGNORA IGNAZIA: (mentre il marito annaspa con le mani sul cappello) Le corna?

       DORINA: Mascalzoni, chi è stato?

       TOTINA: Ma guardate là!

       SAMPOGNETTA: (levandosele) A me, le corna? Ah, dunque per questo? Miserabili!

       SIGNORA IGNAZIA: E le tiene ancora in mano! Buttale via, imbecille! Buono soltanto a diventar lo zimbello di tutti i farabutti!

       MOMMINA: (alla madre) Non ci manca altro che tu ora, per giunta, te la pigli con lui –

       TOTINA: – Mentre sono stati questi schifosi!

       VERRI: (andando verso la porta del Cabaret incontro agli avventori che guardano e ridono) Chi ha osato? Chi ha osato?

       Ne prende uno per il petto.

       È stato lei?

       NENÈ: Ridono…

       L’AVVENTORE: (cercando di svincolarsi) Mi lasci! Non sono stato io! E non s’arrischi a mettermi le mani addosso!

       VERRI: Mi dica allora chi è stato!

       POMÀRICI: No, via, Verri, lascia!

       SARELLI: È inutile star qui a far chiasso ancora!

       SIGNORA IGNAZIA: No no, io voglio soddisfazione dal padrone di questa tana di malviventi!

       TOTINA: Lascia andare, mammà!

       SECONDO AVVENTORE: (facendosi avanti) Badi come parla, signora! Qua ci sono anche gentiluomini!

       MOMMINA: Gentiluomini che agiscono così?

       DORINA: Mascalzoni farabutti!

       TERZO UFFICIALE: Lasci andare, lasci andare, signorina!

       QUARTO AVVENTORE: Giovinastri, hanno scherzato…

       POMÀRICI: Ah, lo chiama scherzo lei?

       SECONDO AVVENTORE: Stimiamo tutti il signor Palmiro –

       TERZO AVVENTORE: (alla signora Ignazia) – E non stimiamo lei, invece, per nient’affatto, cara signora!

       SECONDO AVVENTORE: Lei è la favola del paese!

       VERRI: (inveendo, con le braccia levate) Tenete la lingua a posto, o guai a voi!

       QUARTO AVVENTORE: Noi faremo rapporto al signor Colonnello!

       TERZO AVVENTORE: Vergogna, in divisa d’ufficiali!

       VERRI: Chi farà rapporto?

       GLI AVVENTORI: (anche da dentro il Cabaret) Tutti! Tutti!

       POMÀRICI: Voi insultate le signore che passano per via in nostra compagnia, e noi abbiamo il dovere di prenderne le difese!

       QUARTO AVVENTORE: Nessuno ha insultato!

       TERZO AVVENTORE: Ha insultato lei, invece! la signora!

       SIGNORA IGNAZIA: Io? No! Io non ho insultato! Io v’ho detto in faccia quello che siete: malviventi! mascalzoni! farabutti! degni di stare in gabbia come le bestie feroci! ecco quello che siete!

       E siccome tutti gli avventori ridono sguajatamente:

       Ridete, sì, ridete, manigoldi, selvaggi!

       POMÀRICI: (con gli altri ufficiali e le figliuole, cercando di calmarla) Via, via, signora…

       SARELLI: Ora basta!

       TERZO UFFICIALE: Andiamo a teatro!

       NENÈ: Non ti sporcar la bocca a rispondere a costoro!

       QUARTO UFFICIALE: Andiamo, andiamo! S’è fatto tardi!

       TOTINA: Sarà certo finito il primo atto!

       MOMMINA: Sì, via, andiamo, mammà! Lasciali perdere!

       POMÀRICI: Venga, venga a teatro con noi, signor Palmiro!

       SIGNORA IGNAZIA: No, che teatro, lui! A casa! Via sùbito a casa! Domani si deve alzar presto per andare alla zolfara! A casa! A casa!

       Gli avventori tornano a ridere a questo comando perentorio della moglie al marito.

       SARELLI: E noi, a teatro! Non perdiamo tempo!

       SIGNORA IGNAZIA: Imbecilli! Cretini! Ridete della vostra ignoranza!

       POMÀRICI: Basta! Basta!

       GLI ALTRI UFFICIALI: A teatro! A teatro!

       A questo punto il Dottor Hinkfuss, che fin da principio è rientrato in sala in coda alla processione e s’è fermato a sorvegliare la rappresentazione, stando seduto in una poltrona di prima fila riservata per lui, s’alzerà per gridare:

       IL DOTTOR HINKFUSS: Sì sì, basta! basta così! A teatro! A teatro! Via tutti! Gli avventori rientrino nel Catarefl. Gli altri, via per la destra! E tirare un po’ il sipario da una parte e dall’altra!

       Gli attori eseguiscono. Il sipario è tirato un po’ dalle due parti in modo da lasciare nel mezzo il muro bianco che deve fare da schermo alla projezione cinematografica dello spettacolo d’opera. Solo il vecchio attore brillante è rimasto lì davanti, quando tutti gli altri sono scomparsi.

       IL VECCHIO ATTORE BRILLANTE: (al Dottor Hinkfuss) Se non vado con loro a teatro, io debbo uscire per la sinistra, no?

       IL DOTTOR HINKFUSS: S’intende, lei per la sinistra! Vada, vada! Che domande!

       IL VECCHIO ATTORE BRILLANTE: No, volevo farle osservare che non m’han lasciato dire nemmeno una parola. Troppa confusione, signor Direttore!

       IL DOTTOR HINKFUSS: Ma nient’affatto! È andata benissimo! Via, via, se ne vada!

       IL VECCHIO ATTORE BRILLANTE: Dovevo far notare che le pago io tutte, sempre!

       IL DOTTOR HINKFUSS: Va bene, ecco che l’ha fatto notare; se ne vada! Ora è la scena del teatro!

       Il vecchio attore brillante se ne va per la sinistra.

       Il grammofono! È sùbito pronta la projezione! Tonfilm!

       Il Dottor Hinkfuss torna a sedere alla sua poltrona. Intanto, a destra dietro il sipario tirato fino a nascondere lo spigolo del muro col fanale, i servi di scena avranno collocato un grammofono a cui sia stato applicato un disco col finale del primo atto d’un vecchio melodramma italiano, «La forza del destino» o «Un ballo in maschera» o qualunque altro, purché se n’abbia sincronicamente la projezione su quel muro bianco che fa da schermo. Appena il suono del grammofono si fa sentire e la projezione comincia, s’illumina il palco, lasciato vuoto nella sala, d’una calda luce speciale che non si scorga donde provenga; e si vedono entrar la signora Ignazia con le quattro figliuole, Rico Verri e gli altri giovani ufficiali. L’entrata sarà rumorosa e provocherà sùbito le proteste del pubblico.

       SIGNORA IGNAZIA: Ecco se è vero! Siamo già al finale del primo atto!

       TOTINA: Che corsa! Auf!

       Siede nel primo posto del palco, dirimpetto alla madre:

       Dio che caldo! Siamo tutte scalmanate!

       POMÀRICI: (facendole vento sul capo con un ventaglino) Eccomi pronto a servirla!

       DORINA: Sfido! A marcia serrata! Un due, un due…

       VOCI, NELLA SALA: Ma insomma!

       – Silenzio!

       – Guardate se questa è la maniera d’entrare in un teatro!

       MOMMINA: (a Totina) Hai preso il mio posto, lèvati!

       TOTINA: Eh, se Dorina e nenè si son sedute qua in mezzo…

       DORINA: Abbiamo creduto che Mommina se ne volesse star dietro con Verri come l’ultima volta.

       VOCI, NELLA SALA: – Silenzio! Silenzio!

       – Son sempre loro!

       – È una vera indecenza!

       – La maraviglia è dei signori ufficiali!

       – Non c’è nessuno che li richiami all’ordine?

       Intanto nel palco sarà un gran tramestìo per il cambiamento dei posti: Totina avrà ceduto il posto a Mommina e preso quello di Dorina che sarà passata nella sedia accanto lasciata da Nenè, la quale sarà andata a sedere sul divano accanto alla madre. Rico Verri sedrà accanto a Mommina sul divano dirimpetto, dietro Totina, Pomàrici, dietro Dorina, il Terzo Ufficiale, e in fondo, Sarelli e gli altri due ufficiali.

       MOMMINA: Piano, piano, per carità!

       NENÈ: Sì, piano! Prima porti lo scompiglio –

       MOMMINA: – io? –

       NENÈ: – mi pare! con tutti questi cambiamenti!

       DORINA: Ma lasciateli dire!

       TOTINA: Come se non avessero mai sentito…

       nominerà il melodramma.

       POMÀRICI: Si dovrebbe pure avere qualche riguardo per le signore!

       VOCI, NELLA SALA: – Taccia lei!

       – È una vergogna!

       – Alla porta i disturbatori!

       – Cacciateli via!

       – Che proprio la barcaccia degli ufficiali debba dare questo scandalo?

       – Fuori! Fuori!

       SIGNORA IGNAZIA: Cannibali! Non è colpa nostra se siamo arrivati così tardi! Oh vedete se questo dev’esser considerato come un paese civile! Prima un’aggressione sulla strada, e aggredite ora anche a teatro! Cannibali!

       TOTINA: Nel Continente si fa così!

       DORINA: Si viene a teatro quando si vuole!

       NENÈ: E qua c’è gente che lo sa, come si fa e si vive nel Continente!

       VOCI: Basta! Basta!

       IL DOTTOR HINKFUSS: (alzandosi, rivolto al palco degli attori) Sì, sì, basta! basta! Non eccedere, mi raccomando, non eccedere!

       SIGNORA IGNAZIA: Ma mi faccia il piacere, che eccedere! Il coraggio lo pigliamo da giù! È una persecuzione insopportabile, non vede? per un po’ di rumore che s’è fatto entrando!

       IL DOTTOR HINKFUSS: Va bene! Va bene! Ma ora basta! Tanto, l’atto è finito!

       VERRI: È finito? Ah, sia lodato Dio! Usciamo, usciamo!

       IL DOTTOR HINKFUSS: Benissimo, sì, uscire, uscire!

       TOTINA: Ho una sete io!

       Esce dal palco.

       NENÈ: Speriamo di trovare un gelato!

       (c. s.)

       SIGNORA IGNAZIA: Via, via, usciamo presto, usciamo presto, o scoppio!

       Finita la projezione, tace il grammofono. Il sipario si chiude del tutto. Il Dottor Hinkfuss sale sul palcoscenico e si rivolge al pubblico, mentre la sala si illumina.

       IL DOTTOR HINKFUSS: Quella parte del pubblico che è solita uscire tra un atto e l’altro dalla sala potrà andare, se vuole, ad assistere allo scandalo che questa benedetta gente seguiterà a dare anche nel ridotto del teatro; non perché voglia, ma perché ormai, qualunque cosa faccia, dà nell’occhio, presa com’è di mira e condannata a far le spese della maldicenza generale. Vadano, vadano: ma non tutti, prego; anche per non trovarsi di là troppo pigiati, con tanti a ridosso che voglion vedere ciò che su per giù s’è già visto qua. Posso assicurare che nulla perderà di sostanziale chi rimarrà qua a sedere. Si seguiteranno a vedere di là, mescolati tra gli spettatori, quelli che avete veduto anche voi, uscire dal palco, per il solito intervallo tra un atto e l’altro. Io trarrò profitto di quest’intervallo per il cambiamento di scena. E lo farò davanti a voi, ostensibilmente, per offrire anche a voi che restate nella sala uno spettacolo a cui non siete abituati.

       Batte le mani, per segnale, e ordina:

       Tirate il sipario!

       Il sipario è riaperto.

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