1922 – L’imbecille – Commedia in un atto

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Con «L’imbecille» Pirandello affronta i conflitti tra verità assoluta e illusione, tra coraggio e rifiuto di ciò che esiste sotto i nostri occhi, e getta il seme corrosivo e polemico che avrà una preziosa fioritura nel teatro contemporaneo.

FONTE  Novella «L’imbecille» (1912)
PRIMA RAPPRESENTAZIONE 10 ottobre 1922 – Roma, Teatro Quirino, compagnia Alfredo Sainati.

Approfondimenti nel sito:
Sezione Novelle – L’imbecille

En Español – El imbecil

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L imbecille - Commedia in un atto
Compagnia Teatroghiotto, L’imbecille, 2016. Immagine dal Web.

Premessa e Trama

        È una commedia in un atto tratta dall’omonima novella del 1912. Non si conosce la data della stesura. Fu rappresentata la prima volta a Roma il 10 ottobre 1922.

        È una vivace dimostrazione della vacuità dei giudizi umani quando sono det­tati da passione politica e del modo ben diverso di giudicare di chi, presso a morire, vede le cose con superiore distacco.

        L’azione si svolge nella casa di Leopoldo Paroni, che è anche sede della redazione di Vedetta Repubblicana, un giornale di provincia di cui egli è direttore. I redattori s’alternano sulla scena portando concitate notizie di uno scontro in piazza fra sostenitori di opposti uomini politici. È un quadro convulso dell’ animosa faziosità provinciale che risulta confermata, in particolare, dall’episodio che riguarda il comune amico Lulù Pulino: alla notìzia che il poveretto, affetto da grave malattia, s’è impiccato, il Paroni non ha nessuna umana reazione, ma esprime un cinico giudizio politico. Lo ritiene un imbecille: visto che si doveva ammazzare poteva compiere un atto importante uccidendo Guido Mazzarini, l’esecrato nemico politico. È appena il caso di osservare che nella mentalità di questo direttore di provincia l’avversario politico si trasforma in nemico da uccidere.

        In redazione c’è Luca Fazio (il personaggio positivo pirandelliano), ammalato non meno di Pulino, che chiede a Leopoldo Paroni di poter parlare, a solo, con lui. Il direttore acconsente e per un istante spera che egli si sia deciso ad ammazzare Mazzarini. Ma Fazio dichiara, con una pistola in mano, di essere inviato da Mazzarini proprio per uccidere lui, il direttore. Questo sarà il suo atto importante che gli impedirà di essere trattato da imbecille come è capitato a Pulino. La tesi, ora che la vittima dovrebbe essere lui, non piace più al Paroni, che trema e si raccomanda come un vile. Luca Fazio prende una decisione originale, dice al direttore che non lo ucciderà: «Né credo», aggiunge, «d’essere un imbecille se non t’ammazzo. Ho pietà di te, della tua buffoneria. Ti vedo ormai, se sapessi, da cosi lontano! E mi sembri piccolo e carino, anche, sì, povero omettino rosso, con quella cravatta lì… – Ah, ma sai? la tua buffoneria però, la voglio patentare».

        Costringe il direttore a dichiarare per iscritto che l’imbecille era lui con la sua trovata e non il povero Pulino. Ritira la dichiarazione e se ne va, per uccidersi e farsela trovare addosso.

Ne L’imbecille vi è tutta l’Italietta provinciale già intrisa di quel fervore partitocratico così vibrato e ottuso da produrre, di lì a poco, l’oscura semenza del fascismo. L’imbecille è uno straordinario spaccato dell’Italia che si avvia in marcia verso una Roma sempre più nera ed è anche un quadro convulso e paradossale dell’animosa faziosità politica che ci fa scoprire la viltà dell’inganno, il rovesciamento del senso della realtà. È una satira politica condotta con piglio grottesco e triste ironia, e che non nasconde una sottile protesta morale contro certi costumi politici mai veramente dimessi. Sia nella novella, da cui pure intendiamo partire, sia nel testo teatrale, Pirandello indugia con abile arguzia sulla vacuità dei giudizi umani quando sono dettati da una cieca e ottusa ambizione, in netto contrasto con la diversa posizione di chi, ormai prossimo alla morte, vede le cose con superiore distacco.

Con L’imbecille Pirandello affronta i conflitti tra verità assoluta e illusione, tra coraggio e rifiuto di ciò che esiste sotto i nostri occhi, e getta il seme corrosivo e polemico che avrà una preziosa fioritura nel teatro contemporaneo. La vicenda si svolge nella redazione del giornale di provincia, la “Vedetta Repubblicana”, un piccolo quotidiano politico la cui redazione è nella stessa casa del suo direttore Leopoldo Paroni, in un piccolo paese, Costanova, attraversato da un’accesa lotta politica tra due fazioni contrapposte.

Le ore che precedono l’uscita nelle edicole sono frenetiche: i redattori portano concitate informazioni di uno scontro di piazza tra i sostenitori di opposti partiti politici. Il direttore discute animatamente della situazione di tensione del paese, quando all’improvviso sopraggiunge la notizia che il comune amico Lulù Pulino, già collaboratore della redazione e gravemente ammalato, colto da depressione e disperazione, ha deciso di togliersi la vita impiccandosi.

Il direttore del giornale commenta cinicamente l’evento, accusando la vittima di essersi comportato da “imbecille” morendo inutilmente, senza neanche approfittare della sua scelta estrema per eliminare il leader politico dell’opposta fazione:

« Doveva far di meglio! Stavamo a dir questo tra noi. Dato che si doveva uccidere per fare un bene a sè, poteva far prima un bene anche agli altri, al suo paese, andando a uccidere a Roma il nemico di tutti, Guido Mazzarini! Non gli sarebbe costato nulla, neanche il viaggio; glielo avrei pagato io, parola d’onore! Così è morto proprio da imbecille! »

Ma questo impietoso giudizio gli costerà caro poiché talvolta il carnefice e la vittima si confondono: il “furbo” può in un attimo apparire “imbecille”, e “l’imbecille” “furbo”, attuando così un virtuale ed inatteso “scambio della maschera”. Nella vita noi non siamo mai al sicuro e non possiamo conoscere la verità… neanche su noi stessi.

Lo scontro politico è degenerato al punto che l’avversario politico si è mutato in nemico da eliminare uccidendolo. Un redattore, Luca Fazio, chiede al direttore di potergli parlare in privato. Paroni spera che Luca faccia quello che quell’imbecille di Pulino non ha fatto; ma si sbaglia: anche Fazio è molto malato e, per non essere considerato stupido come il suo collega suicida, dice di aver accettato l’incarico da Mazzarini di uccidere il direttore. Paroni non gradisce questa inversione di ruoli che lo mette nella condizione di vittima politica e, da vile qual è, si raccomanda, piange e implora pietà da Luca che trova uno stratagemma:

« LUCA: Nè credo d’essere un imbecille se non ti ammazzo. Ho pietà di te, della tua buffoneria. Ti vedo ormai, se sapessi, da così lontano! E mi sembri piccolo e carino, anche, sì, povero omettino rosso, con quella cravatta lì… – Ah, ma sai? la tua buffoneria però la voglio patentare. »

Costringerà il direttore a mettere per iscritto le sue cialtronesche considerazioni sul povero Pulino e si ucciderà facendosele trovare indosso in modo che diventi di pubblico dominio la crudele imbecillità di Paroni.

L’imbecille
Commedia in un atto – 1922

Personaggi

Luca Fazio
Leopoldo Paroni
Il commesso viaggiatore
Rosa Lavecchia
Primo redattore
Secondo redattore
Terzo redattore
Quarto redattore
Quinto redattore

        La scena rappresenta il modestissimo scrittoio di Leopoldo Paroni, direttore della «Vedetta Repubblicana» di Costanova. La sede del giornale è nella casa stessa del Paroni, capo del partito repubblicano; e siccome il Paroni vive solo e disprezza tutti i comodi e anche (pare) la pulizia, disordine e sudiceria sono su tutti i mobili vecchi e malandati, e anche per terra. Si vedrà la scrivania ingombra di carte ammonticchiate; le sedie, qua e là, ingombre anch’esse di libri e d’incartamenti; giornali dappertutto; la scansia dei libri, coi libri cac­ciati sui palchetti alla rinfusa; un divanaccio di cuojo, con un cuscino da letto, sudicio, tutto strappato e con la borra che scappa fuori dagli strappi. La comune è a sinistra dell’attore. Infondo è un uscio a vetri che dà nella sala di redazione del giornale. Un altro uscio, a destra, dà nelle stanze di abitazione del Paroni.

        È sera; e al levarsi della tela lo scrittoio, al bujo, è a mala pena stenebrato dal lume della sala in fondo, che sì soffonde attraverso i vetri opachi di quel­l’uscio.

        A sedere e coi piedi tirati sul divanaccio, le spalle appoggiate al cuscino e sulle spalle un grigio scialle di lana, Luca Fazio, immobile, avrà un berretto da viaggio in capo, dalla larga visiera calata fin sul naso. In una delle mani, quasi ischeletrite e nascoste sotto lo scialle, un fazzoletto appallottolato. Ha 26 anni. Quando si farà luce nello scrittoio, mostrerà la faccia smunta, gialla, cadaverica, su cui è ricresciuta, rada rada qua e là, una barbettina da malato, sotto i biondi baffetti squallidi, spioventi. Di tratto in tratto, otturandosi la bocca con quel fazzoletto appallottolato, combatterà con una tosse profonda che gli ruglia nel petto. Dall’uscio a vetri illuminato si udranno per qualche minuto le grida scomposte di Paroni e dei redattori della «Vedetta».

        PARONI (dall’interno): Vi dico che bisogna attaccarlo a fondo!

        VOCI CONFUSE: Sì, sì bravo! Attaccarlo! – Benissimo! – A fondo! – Ma no! – Niente affatto!

        PRIMO REDATTORE (più forte degli altri): Così farete il giuoco di Cappadona!

        VOCI CONFUSE: E vero! E vero! – Dei monarchici! – Ma chi lo dice? – No! No!

        PARONI (tuonando): Nessuno potrà crederlo! Noi seguiamo la nostra linea di condotta! Lo attacchiamo in nome dei nostri principii! E basta così! Lascia­temi scrivere!

        Si fa silenzio. Luca Fazio non s’è mosso. La comune a sinistra si schiude un poco e una voce domanda: «E permesso?». Luca Fazio non risponde. Poco dopo, la voce ridomanda: «È permesso?», e si fa avanti, perplesso, il Commesso Viaggiatore, sui 40 anni, piemontese.

        COMMESSO VIAGGIATORE: Non c’è nessuno?

        LUCA (senza scomporsi, con voce cavernosa): Sono di là.

        COMMESSO VIAGGIATORE (alla voce, con un soprassalto): Ah! scusi. Lei è il si­gnor Paroni?

        LUCA (cs.): Di là! di là! (Indica l’uscio a vetri.)

        COMMESSO VIAGGIATORE: Posso entrare?

        LUCA (infastidito): Lo domanda a me? Entri, se vuole.

        Il Commesso Viaggiatore si avvia verso l’uscio in fondo, ma prima d’arri­varci scoppia di nuovo un tumulto di voci nella sala di redazione, a cui fa eco un altro tumulto lontano, d’una dimostrazione popolare, la quale si suppone che attraversi di corsa la piazza vicina. Il Commesso Viaggiatore si ar­resta, stordito.

        VOCI CONFUSE (dalla sala di redazione): Ecco, ecco, udite? – La dimostrazione! – La dimostrazione! Miserabili! – I cappadoniani!

        PRIMO REDATTORE: Gridano: «Viva Cappadona!». Ve lo dicevo io?

        PARONI (con un gran pugno sulla tavola, urlando): E io ti dico che bisogna ammazzare Guido Mazzarini! Che m’importa di Cappadona? Il tumulto della piazza copre per un momento le grida della sala di redazione. I dimostranti, in gran numero, passando di corsa, gridano: «Viva Cappadona! Abbasso il Regio Commissario!». Appena il tumulto s’allontana, si riodono le grida della sala di redazione: «Cani! Cani! Nemici del Paese! Cappadona paga!» e all’improvviso, due redattori in gran furia, coi cappelli in capo e armati di bastone, aprono l’uscio a vetri e si precipitano verso la comune per correre dietro alla dimostrazione.

        SECONDO REDATTORE (correndo, fremente): Miserabili! Miserabili! (Via.)

        TERZO REDATTORE (trovandosi davanti il Commesso Viaggiatore, gli urla in fac­cia): Osano gridare «Viva Cappadona!». (Via.)

        LA VOCE DI PARONI: Andate! Andate tutti! Io resto qua a scrivere! Dall’uscio a vetri si precipitano col cappello in capo altri tre redattori verso la comune, gridando confusamente:«Vigliacchi! Cani! Pagati!» e uno dì nuovo in faccia al Commesso Viaggiatore: «Viva Cappadona! ha capito?». Via tutti.

        COMMESSO VIAGGIATORE: Io non capisco niente… (A Luca Fazio:) Ma, scusi, che cos’è?

        Luca ha un forte attacco di tosse e si ottura la bocca. Il Commesso Viaggia­tore si china a guardarlo dolente, mortificato, imbarazzato dal ribrezzo che non riesce a dissimulare.

        LUCA: Puzzano di pipa, maledetti! Si scosti… Aria! Mi lasci respirare! (Poi, calmato:) Lei non è di Costanova?

        COMMESSO VIAGGIATORE: No: sono di passaggio.

        LUCA: Siamo tutti di passaggio, caro signore.

        COMMESSO VIAGGIATORE: Sono un commesso delle Cartiere del Sangone. Volevo parlare col signor Paroni, per la fornitura del giornale.

        LUCA: Non credo che sia il momento più opportuno.

        COMMESSO VIAGGIATORE: Già, ho sentito. Una dimostrazione.

        LUCA (con ironia cupa): Sono ancora gonfi di sdegno, dopo otto mesi dalle elezioni politiche, contro il deputato Guido Mazzarini.

        COMMESSO VIAGGIATORE: Socialista?

        LUCA: Non so. Mi pare. Qua a Costanova gli sono stati tutti contrarii; ma è riu­scito a vincere col suffragio delle altre sezioni elettorali del Collegio. (Stro­piccia l’indice col pollice per significare che ha denari, e aggiunge:) Grand’uomo. E le furie, come vede, non sono svaporate, perché il Mazzarini, per vendicarsi, ha fatto mandare al municipio di Costanova – (si scosti, si scosti un poco, per carità: mi manca aria) – un Regio Commissario. – Grazie. – Cosa di gran momento: un Regio Commissario!

        COMMESSO VIAGGIATORE: Ma gridavano abbassol

        LUCA: Già. Non lo vogliono. Costanova è un gran paese, caro signore. Faccia conto che l’Universo, tutto così com’è, gli graviti intorno. Si affacci alla fine­stra e guardi il cielo. Le stelle, sa perché ci stanno? per sbirciare sulla Terra Costanova. C’è chi dice che ne ridono; non ci creda: sospirano tutte dal desi­derio d’avere in sé ciascuna una città come Costanova. E sa da che dipen­dono le sorti dell’Universo? Dal Consiglio comunale di Costanova. Il Consi­glio comunale è stato sciolto, e per conseguenza l’Universo è tutto scombus­solato. Lo può vedere dalla faccia di Paroni. La guardi, la guardi, là, dai vetri di quell’uscio.

        COMMESSO VIAGGIATORE (fa per accostarsi all’uscio e si ferma): Ma sono opa­chi!

        LUCA: Ah, già. Non ci pensavo.

        COMMESSO VIAGGIATORE: Lei non fa parte della redazione del giornale?

        LUCA: No. Simpatizzo. O meglio, simpatizzavo. Sto per andarmene, io, caro signore. E siamo parecchi, sa, malati così a Costanova. Due miei fratelli, prima che se n’andassero anche loro, facevano parte della redazione. Io ho fatto fino all’altro jeri lo studente di medicina. Sono tornato questa mattina per morire a casa mia. Lei vende carta da giornali?

        COMMESSO VIAGGIATORE: Sì, anche da giornali. A prezzi di concorrenza.

        LUCA: Perché si stampino giornali in più gran copia?

        COMMESSO VIAGGIATORE: Creda che la questione del prezzo della carta, nelle presenti condizioni del mercato…

        LUCA (fermandolo): Ne sono convinto. E se sapesse che consolazione è per me pensare che lei andrà ancora in giro, chi sa per quanti anni, di paese in paese, offrendo a prezzi di concorrenza la carta della sua cartiera ai giornaletti settimanali di provincia! Pensare che ricapiterà qui, fra dieci anni forse, di sera, come adesso, e rivedrà qua questo divanaccio, ma senza me, e la città di Co­stanova forse pacificata…

        Sopravvengono dalla comune in gran subbuglio tre dei redattori corsi poc’anzi dietro la dimostrazione popolare, gridando:

        PRIMO REDATTORE: Paroni! Paroni!

        SECONDO REDATTORE: L’ira di Dio s’è scatenata in piazza!

        TERZO REDATTORE: Vieni, vieni, Leopoldo!

        Accorre dall’uscio a vetri Leopoldo Paroni il fiero repubblicano, con un su­dicio lumetto bianco a petrolio in mano. E sulla cinquantina. Criniera leo­nina, gran naso, baffi in su, pizzo mefistofelico e cravatta rossa.

        PARONI: Che cos’è? Bastonate? (Va a posare il lumetto sulla scrivania, facen­dogli posto tra le carte.)

        SECONDO REDATTORE: Da orbi !

        PRIMO REDATTORE: Orde socialiste venute dalla provincia!

        PARONI (subito): Addosso ai cappadoniani?

        TERZO REDATTORE: No, addosso ai nostri!

        PRIMO REDATTORE: Vieni! Corriamo! C’è bisogno di te!

        PARONI (svincolandosi): Aspettate. Per Dio! Che ci sta a fare, allora, la polizia?

        PRIMO REDATTORE: La polizia? Ma il Regio Commissario sarà felicissimo se sa­remo noi i bastonati! Vieni! Vieni!

        PARONI: Andiamo, sì, andiamo! (Al terzo redattore, che eseguisce subito:) Vai a prendermi il cappello e il bastone! – Conti, Fabrizi, dove sono?

        SECONDO REDATTORE: Sono là! tengono testa come possono!

        PRIMO REDATTORE: Si difendono!

        PARONI: Ma potevano, mi pare, reclamarle i cappadoniani, le guardie!

        PRIMO REDATTORE: Si sono tutti squagliati!

        PARONI: E anche voi, dico, invece di venire in tre a chiamarmi, potevate restar lì, e mandarne uno!

        TERZO REDATTORE (rientrando dalla sala): Non trovo il bastone!

        PARONI: Ma all’angolo, vicino all’attaccapanni!

        PRIMO REDATTORE: Andiamo, andiamo, ti do il mio!

        PARONI: E tu come farai? Tra le bastonate, senza bastone? Sopravviene a questo punto, affannata, spaventata, la signorina Rosa Lavecchia, sui 50 anni, rossa di pelo, magra, con gli occhiali, vestita quasi ma­schilmente.

        ROSA (stanca morta, quasi non tirando più fiato): Oh Dio… Oh Dio mio…

        PARONI e gli altri (in ansia, costernatissimi): Cos’è? Cos’è? Che è accaduto?

        ROSA: Non sapete nulla?

        PARONI: Hanno ucciso qualcuno?

        ROSA (guardandoli, come nuova di tutto): No. Dove?

        PRIMO REDATTORE: Come! Non sai che c’è la dimostrazione?

        ROSA (c.s.): La dimostrazione? no; non so nulla. – Vengo dalla casa del povero Pulino…

        SECONDO REDATTORE: Ebbene?

        ROSA: S’è ucciso!

        PRIMO REDATTORE: S’è ucciso?

        PARONI: Pulino?

        TERZO REDATTORE: Lulù Pulino, s’è ucciso?

        ROSA: Due ore fa. L’hanno trovato in casa che pendeva dall’ansola del lume, in cucina.

        PRIMO REDATTORE: Impiccato?

        ROSA: Che spettacolo! Sono andata a vederlo… Nero, con gli occhi e la lingua fuori, le dita raggricchiate… Lungo lungo, là, spenzolante in mezzo alla stanza…

        SECONDO REDATTORE: Oh guarda, povero Pulino!

        PRIMO REDATTORE: Era già spacciato, poveretto: agli estremi.

        TERZO REDATTORE: Ma una fine così!

        SECONDO REDATTORE: S’è levato di patire, dopo tutto!

        PRIMO REDATTORE: Non si reggeva più neanche sulle gambe…

        PARONI: Ma io dico, scusate, quando uno non sa più che farsi della propria vita, è da imbecille –

        PRIMO REDATTORE: – che cosa? –

        SECONDO REDATTORE: – uccidersi? –

        TERZO REDATTORE: – e perché, da imbecille? –

        PRIMO REDATTORE: – se aveva ormai i giorni contati ! –

        SECONDO REDATTORE: – che vita era più la sua? –

        PARONI: – appunto! appunto! – Perdio, gliel’avrei pagato io, il viaggio! –

        TERZO REDATTORE: – il viaggio? –

        PRIMO REDATTORE: – ma che dici? –

        SECONDO REDATTORE: – per l’altro mondo? –

        PARONI: – no: fino a Roma: il viaggio fino a Roma: vi dico che gliel’avrei pa­gato io! – Quando uno non sa più che farsi della propria vita e ha deciso di togliersela, prima di togliersela, perdio… Ah il piacere che avrei provato io! dico, di far servire la mia morte almeno a qualche cosa! Scusate: sono malato: domani morrò; c’è un uomo che disonora il mio paese, un uomo che rappre­senta per tutti noi un’onta esecrabile, Guido Mazzarini: ebbene, l’ammazzo e poi m’ammazzo! – Ecco come si fa! – E chi non fa così è un imbecille!

        TERZO REDATTORE: Non ci avrà pensato, poverino!

        PARONI: Ma come si fa a non pensarci, vivendo come viveva lui fino a due ore fa, sotto quest’onta che ci schiaccia tutti, qua, che dilania l’onore di tutto un paese e appesta finanche l’aria che respiriamo? Gliel’avrei messa io in mano la rivoltella! Ammazzalo, e poi ammazzati, imbecille!

        Rientrano a questo punto esultanti dalla comune gli altri due redattori usciti prima.

        QUARTO REDATTORE: Tutto finito! Tutto finito!

        QUINTO REDATTORE: Cacciati via come un branco di pecore a legnate!

        PRIMO REDATTORE (con freddezza): Sono intervenute le guardie?

        QUARTO REDATTORE: Sì, ma all’ultimo!

        QUINTO REDATTORE: Quando già i nostri – magnifici! – bisognava vederli – come tanti leoni – addosso!

        QUARTO REDATTORE: Legnate da levare il pelo! (Poi, notando che nessuno ri­sponde al suo entusiasmo e a quello del compagno:) Ma che cos’avete?

        ROSA: Il povero Pulino…

        QUINTO REDATTORE: Che c’entra Pulino?

        PRIMO REDATTORE: S’è impiccato due ore fa!

        QUARTO REDATTORE: Ah sì? Lulù Pulino? Impiccato?

        QUINTO REDATTORE: Oh povero Lulù! Eh, sì, lo disse anche a me che voleva fi­nire di patire… S’è troncata l’agonia: ha fatto bene!

        PARONI: Doveva far di meglio! Stavamo a dir questo tra noi. Dato che si do­veva uccidere per fare un bene a sé, poteva far prima un bene anche agli altri, al suo paese, andando a uccidere a Roma il nemico di tutti, Guido Mazzarini ! Non gli sarebbe costato nulla, neanche il viaggio; gliel’avrei pagato io, parola d’onore! Così è morto proprio da imbecille!

        PRIMO REDATTORE: Basta, è già tardi, oh!

        SECONDO REDATTORE: Sì, sì. La cronaca della serata si farà domani.

        TERZO REDATTORE: Tanto, fino a domenica avremo tempo.

        SECONDO REDATTORE (con un sospiro di commiserazione): E parleremo anche del povero Pulino.

        ROSA (a Paroni): Se vuoi, Paroni, potrei parlarne io che l’ho visto.

        QUARTO REDATTORE: Oh, potremmo andarlo a vedere anche noialtri, passando.

        ROSA: Forse lo troverete ancora appeso. Per rimuovere il cadavere s’aspetta il Pretore che credo debba ancora tornare da Borgo.

        PARONI: Che peccato! Pensare che il nostro numero di domenica poteva essere tutto quanto consacrato a lui, se avesse compiuto il gesto di vendicatore del suo paese!

        PRIMO REDATTORE (scoprendo finalmente sul divano Luca Fazio): Oh, guardate un po’. C’è qua Luca Fazio! (Tutti si voltano a guardare.)

        PARONI: Oh, Luca!

        SECONDO REDATTORE: E come! te ne stavi lì senza dir nulla?

        TERZO REDATTORE: Quando sei arrivato?

        LUCA (senza scomporsi, seccato): Stamattina.

        QUARTO REDATTORE: Ti senti male?

        LUCA (indugia a rispondere, fa prima un gesto con la mano, poi dice): Come Pulino.

        PARONI (notando il Commesso Viaggiatore): E lei, scusi, chi è?

        COMMESSO VIAGGIATORE: Ero venuto, signor Paroni, per la fornitura della carta.

        PARONI: Ah, lei è il Commesso Viaggiatore delle Cartiere del Sangone? Ri­passi domani; mi faccia il piacere, ormai è tardi.

        COMMESSO VIAGGIATORE: Domattina, sissignore. Perché vorrei ripartire in gior­nata.

        PRIMO REDATTORE: Su, andiamo. Buona notte, Leopoldo. Anche gli altri salutano Paroni, che ricambia il saluto.

        QUARTO REDATTORE (a Luca Fazio): Tu non vieni?

        LUCA (cupo): No. Debbo dire una cosa a Paroni.

        PARONI (in apprensione): A me?

        LUCA (c.s.): Due minuti.

        Tutti lo guardano costernati, per la relazione che subito intravedono, dopo i discorsi che si sono fatti, tra il suo stato disperato e quello di Pulino «che si è ucciso da imbecille».

        PARONI: E non potresti ora davanti a tutti?

        LUCA: No. A te solo.

        PARONI (agli altri): E andate, allora. Buona notte, amici miei! (Si rinnovano i saluti.)

        COMMESSO VIAGGIATORE: Verrò verso le dieci.

        PARONI: Anche prima, anche prima, se vuole. A rivederla. Via tutti, meno Paroni e Luca Fazio che tira giù le gambe dal divano e resta seduto, curvo, a guardare a terra.

        PARONI (accostandoglisi premuroso e accennando di posargli una mano sulla spalla): Caro Luca, dunque… amico mio…

        LUCA (subito, alzando un braccio): No, scostati.

        PARONI: Perché?

        LUCA: Mi fai tossire.

        PARONI: Stai proprio male, eh? Eh, sì, si vede.

        LUCA (fa cenno di si col capo, poi dice): Sono proprio a cottura giusta, per te. Chiudi bene quella porta. (Col capo accenna alla comune.)

        PARONI (eseguendo): Ah sì, subito.

        LUCA: Col paletto.

        PARONI (eseguendo e ridendo): Ma è inutile; non verrà più nessuno, ormai. Puoi parlare liberamente. Resterà tutto tra me e te.

        LUCA: Chiudi anche quell’uscio là. (Accenna l’uscio a vetri.)

        PARONI (c.s.): E perché? Sai che vivo solo. Di là non c’è più nessuno. Anzi, vado a spegnere il lume. (S’avvia.)

        LUCA: E poi richiudi. Viene un puzzo di pipa!

        Paroni entra nella sala di redazione, spegne il lume che vi è rimasto acceso, e ritorna richiudendo l’uscio. Nel frattempo Luca Fazio si sarà alzato in piedi.

        PARONI: Ecco fatto. Dunque, che vuoi dirmi?

        LUCA: Scostati, scostati…

        PARONI: Perché, scusa? Dici per te o per me?

        LUCA: Anche per te.

        PARONI: Ma io non ho paura!

        LUCA: Non lo dire troppo presto.

        PARONI: Di che si tratta, insomma? Siedi, siedi…

        LUCA: No, resto in piedi.

        PARONI: Torni da Roma?

        LUCA: Da Roma. Ridotto come mi vedi, avevo qualche migliajo di lire: mi mangiai tutto. Serbai solo quanto poteva bastare per comperarmi (caccia una mano nella tasca della giacca e ne trae una grossa rivoltella) questa rivol­tella.

        PARONI (alla vista dell’arma in pugno a quell’uomo in quello stato, diventando pallidissimo e levando istintivamente le mani): Oh! che… che è carica? (No­tando che Luca esamina l’arma:) Ohe, Luca… è carica?

        LUCA (frigidamente): Carica. (Poi, guardandolo:) Hai detto che non hai paura.

        PARONI: No, ma… se Dio liberi… (E fa per accostarsi come per levargli l’arma.)

        LUCA: Scostati, e lasciami dire. M’ero chiuso in camera, a Roma, per finirmi.

        PARONI: Ma che pazzia!

        LUCA: Pazzia, sì: la stavo per commettere veramente. E da imbecille, sì, tu hai ragione!

        PARONI (lo guarda, poi, con gli occhi brillanti di gioja): Ah, tu forse… tu forse vorresti davvero…?

        LUCA (subito): Aspetta; vedrai quello che voglio!

        PARONI (c.s.): Hai sentito ciò che ho detto di Pulino?

        LUCA: Sì. E sono qua per questo.

        PARONI: Tu lo faresti?

        LUCA: Ora stesso.

        PARONI (esultante): Ah, benissimo!

        LUCA: Stammi a sentire. Ero con la rivoltella già puntata alla tempia, quand’ecco, sento picchiare all’uscio….

        PARONI: Tu, a Roma?

        LUCA: A Roma. Apro. Sai chi mi vedo davanti? Guido Mazzarini.

        PARONI: Lui? A casa tua?

        LUCA: Mi vide con la rivoltella in pugno e subito, anche dalla mia faccia, comprese che cosa stéssi per fare; mi corse incontro; m’afferrò per le braccia, mi scrollò, mi gridò: «Ma come? così ti uccidi? Oh Luca, non ti credevo davvero tanto imbecille! Ma va’… Se vuoi far questo… ti pago io il viaggio… corri a Costanova e ammazzami prima Leopoldo Paroni!».

        PARONI (intentissimo finora al truce e strano discorso, con l’animo in subbu­glio nella tremenda aspettativa d’una qualche atroce violenza davanti a lui, si sente d’un tratto sciogliere le membra, e apre la bocca a un sorriso squal­lido, vano):… Scherzi?

        LUCA (si trae indietro d’un passo; ha come un tiramento convulso in una guancia presso il naso, e dice con la bocca scontorta): No, non scherzo. Mazzarini m’ha pagato il viaggio.

        PARONI: A te? che dici?

        LUCA: Eccomi qua. E ora io, prima ammazzo te, e poi mi ammazzo. (Leva il braccio con l’arma e mira.)

        PARONI (atterrito, con le mani davanti al volto, cerca di sottrarsi alla mira, gridando): Sei pazzo? No, Luca…! Non scherziamo… Sei pazzo?

        LUCA (intimando, terribile): Non ti muovere! O tiro davvero, sai?

        PARONI (restando come impietrito): Ecco… Ecco…

        LUCA: Pazzo, eh? Ti sembro pazzo, io? E tu che ora dici pazzo a me, non hai da poco finito di dire imbecille al povero Pulino, perché prima d’impiccarsi, non è andato a Roma ad ammazzare Mazzarini?

        PARONI (tentando d’insorgere): Ah, ma c’è una bella differenza, perdio! Una bella differenza. Perché io non sono Mazzarini !

        LUCA: Differenza? Che differenza vuoi che ci sia tra te e Mazzarini per uno come me o come Pulino, a cui non importa più nulla della vostra vita e di tutte le vostre pagliacciate? Ammazzare te o un altro, il primo che passa per via, è tutt’uno per noi!

        PARONI: Ah no, scusa! Che tutt’uno! Diventerebbe allora il più inutile e stupido dei delitti!

        LUCA: Ma dunque tu vorresti che ci rendessimo strumento, noi, all’ultimo, quando tutto per noi è già finito, del tuo odio o di quello di un altro, delle vo­stre gare da buffoni; o se no, ci chiami imbecilli? Ebbene: io non voglio es­sere chiamato imbecille come Pulino, e ammazzo te! (Risolleva di nuovo l’arma e prende la mira.)

        PARONI (scongiurando, storcendosi, per scansar la bocca della rivoltella): Per carità! No, Luca… Che fai?… No! – Ma perché? Ti sono stato sempre amico… Per carità!

        LUCA (mentre gli guizza negli occhi la folle tentazione di premere il grilletto dell’arma): Fermati! Fermati! – Inginocchiati! Inginocchiati!

        PARONI (cascando in ginocchio): Ecco… Per carità! Non lo fare!

        LUCA (sghignando): Eh… quando uno non sa più che farsi della propria vita… Buffone! – Stai tranquillo, che non t’ammazzo. Alzati; ma stammi discosto.

        PARONI (alzandosi): E un brutto scherzo, sai? Te lo permetti, perché sei ar­mato.

        LUCA: Certo. E tu hai paura perché sai bene che non mi costerebbe nulla il farlo. Da bravo repubblicano, sei libero pensatore, eh? – Ateo! – Certamente. Se no, non avresti potuto dire imbecille a Pulino.

        PARONI: Ma io l’ho detto… così, perché… perché sai quanto mi cuoce l’onta del mio paese…

        LUCA: Bravo, sì. Ma libero pensatore sei, non puoi negarlo: ne fai professione sul tuo giornale…

        PARONI (masticando): Libero pensatore… suppongo che neanche tu t’aspetti ca­stighi o compensi in un mondo di là…

        LUCA: Ah, no! Sarebbe per me la cosa più atroce credere che debba portarmi altrove il peso delle esperienze che mi è toccato fare in questi ventisei annidi vita.

        PARONI: Dunque, vedi che –

        LUCA (subito): – che potrei anche farlo; ammazzarti come niente; poiché que­sto non mi trattiene. Ma non t’ammazzo. Né credo d’essere un imbecille, se non t’ammazzo. Ho pietà di te, della tua buffoneria. Ti vedo ormai, se sapessi, da così lontano! E mi sembri piccolo e carino, anche; sì, povero omettino rosso, con quella cravatta lì… – Ah, ma sai? la tua buffoneria però, la voglio patentare.

        PARONI (non udendo bene, nell’intronamento in cui è caduto): Come dici?

        LUCA: Patentare, patentare. Ne ho il diritto; diritto sacrosanto, giunto come sono al confine ormai tra la vita e la morte. E non ti puoi ribellare. Siedi, siedi là, e scrivi. (Gli indica con la rivoltella la scrivania.)

        PARONI: Scrivo? Che scrivo? Dici sul serio?

        LUCA: Sul serio, sul serio. Vai a sedere là, e scrivi.

        PARONI: Ma che vuoi che scriva?

        LUCA (c.s. puntandogli di nuovo l’arma in petto): Alzati e vai a sedere là, ti dico!

        PARONI (sotto la minaccia dell’arma, andando alla scrivania): Ancora?

        LUCA: Siedi e prendi la penna… subito la penna…

        PARONI (eseguendo): Che debbo scrivere?

        LUCA: Quello che ti detterò io. Ora tu stai sotto; ma ti conosco: domani, quando saprai che anch’io come Pulino mi sarò ucciso, tu rialzerai la cresta, e urlerai per tre ore, qua, al caffè, dovunque che sono stato un imbecille an­ch’io.

        PARONI: Ma no! Che vai a pensare? Sono ragazzate!

        LUCA: Ti conosco. Voglio vendicar Pulino; non lo faccio per me. Scrivi!

        PARONI (guardando sul tavolino): Ma dove vuoi che scriva qua?

        LUCA: Lì, lì, basterà che scriva su codesta cartella…

        PARONI: Ma che cosa?

        LUCA: Una dichiarazioncina.

        PARONI: Una dichiarazioncina a chi?

        LUCA: A nessuno. O insomma, scrivi, sai! A questo solo patto ti risparmio la vita. O scrivi, o t’ammazzo!

        PARONI: Bene, bene, scrivo… Detta.

        LUCA (dettando): «Io qui sottoscritto mi dolgo e mi pento…».

        PARONI (ribellandosi): Ma via, di che vuoi che mi penta?

        LUCA (con un sorriso, puntandogli quasi per gioco l’arma alla tempia): Ah, non ti vorresti nemmeno pentire?

        PARONI (scosta un po’ il capo per guardare l’arma, e poi dice): Sentiamo di che cosa mi debbo pentire…

        LUCA (riprendendo a dettare): «Io qui sottoscritto mi dolgo e mi pento d’aver chiamato imbecille Pulino…».

        PARONI: Ah, di questo?

        LUCA: Di questo. Scrivi: «in presenza dei miei amici e compagni, perché Pu­lino, prima di uccidersi non era andato a Roma ad ammazzare Mazzarini». Questa è la pura verità. E anzi, lascio che gli avresti pagato il viaggio. Hai scritto?

        PARONI (con rassegnazione): Scritto. Avanti…!

        LUCA (riprendendo a dettare): «Luca Fazio, prima di uccidersi…».

        PARONI: Ma che ti vuoi uccidere davvero?

        LUCA: Questo è affar mio. Scrivi: «prima di uccidersi, è venuto a trovarmi…» vuoi aggiungere, armato di rivoltella?

        PARONI (non potendone più): Ah, sì, questo sì, se permetti!

        LUCA: Mettilo pure, armato di rivoltella. Tanto, non mi potranno punire per porto d’arma abusivo. Dunque, hai scritto? Seguita: «armato di rivoltella e m’ha detto che, conseguentemente, anch’egli per non essere chiamato imbe­cille da Mazzarini, o da qualche altro, avrebbe dovuto ammazzar me come un cane». (Aspetta che Paroni finisca di scrivere, poi domanda:) Hai scritto «come un cane»? Bene. A capo. «Poteva farlo, e non l’ha fatto. Non l’ha fatto perché ha avuto schifo.» (Paroni alza il capo e allora subito, inti­mando:) No, scrivi, scrivi «schifo» e aggiungi «pietà» – ecco – «schifo e pietà della mia vigliaccheria».

        PARONI: Questo poi…

        LUCA: È la verità… Perché sono armato, s’intende!

        PARONI: No, caro mio: io adesso sto qui a contentarti…

        LUCA: Va bene, sì, contentami. Hai scritto?

        PARONI: Ho scritto, ho scritto! E mi pare che possa anche bastare!

        LUCA: No, aspetta: concludiamo! Altre due sole paroline, per concludere.

        PARONI: Ma che vuoi concludere? Ancora?

        LUCA: Ecco, così, scrivi: «È bastato a Luca Fazio che gli dichiarassi che il vero imbecille sono io».

        PARONI (ributtando la carta): Ma va’ là, no, è troppo, scusa!

        LUCA (perentoriamente, sillabando): «che il vero imbecille sono io!». La tua dignità la salvi meglio, caro, guardando la carta su cui scrivi e non que­st’arma che ti sta sopra. T’ho detto che voglio vendicare Pulino. Firma, adesso.

        PARONI: Ecco la firma. Vuoi altro?

        LUCA: Da’ qua.

        PARONI (porgendogli la carta): Eccoti. Ma che te ne farai, adesso? Se ti vuoi davvero levar di mezzo…

        LUCA (non risponde; finisce di leggere quanto Paroni ha scritto; poi dice): Sta bene. Che me ne farò? Niente. Me la troveranno addosso, domani. (La piega in quattro e se la mette in tasca.) Consolati, Leopoldo, col pensiero che io vado a fare adesso una cosa un tantino più difficile di questa che hai fatto tu. Riapri la porta. (Paroni eseguisce.) Buona notte.

Tela

En Español – El imbecil

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