Di Erika Righi.
Pirandello sente la necessità di intervenire anche nell’allestimento teatrale delle proprie opere. Secondo l’autore la minuziosa ricostruzione d’ambiente che era tipica del teatro dell’Ottocento aveva perso di significato…
Le considerazioni di Pirandello sul teatro
Nel panorama culturale del primo Novecento la scenografia naturalista lascia il posto a nuove ed originali formule di rappresentazione teatrale. In questo contesto di sviluppo, caratterizzato da nuove sperimentazioni non tradizionali, un ruolo di primo piano è occupato dal movimento futurista. Gli esponenti del gruppo dettano le regole per la creazione di eventi teatrali moderni che prevedono inediti effetti colorati, artificiali e dinamici. L’influenza delle sperimentazioni teatrali futuriste e in generale le nuove correnti di pensiero europee, non sfuggono ad alcuni intellettuali e letterati dell’epoca che, pur non discostandosi completamente dalla tradizione, sono attenti alle novità che trapelano nei moderni ambienti culturali.
Uno di questi intellettuali è Luigi Pirandello (1867-1936) autore di opere teatrali, oltre che scrittore di novelle e romanzi. Pirandello incarna la figura dell’intellettuale che rifiuta il sentimento di superficiale positività in cui credono molti suoi contemporanei, per indagare gli aspetti celati dell’animo umano. Le vicende spesso travagliate della sua vita lo portano ad approfondire il ruolo dell’uomo nella società, insieme al tema del destino e della sua influenza sulle vicende umane. La conclusione di questa riflessione è spesso negativa: con una sorta di distacco, si arriva alla constatazione che non è possibile trovare alcuna soluzione positiva alla condizione sociale, alienata e distorta, in cui versa l’uomo moderno.
Lo scrittore siciliano, dopo aver frequentato il liceo a Palermo, si trasferisce a Roma per frequentare la Facoltà di Lettere e termina gli studi in Germania dove si laurea all’Università di Bonn. Nel 1894 si stabilisce a Roma dove insegna nelle scuole e si dedica in maniera organica all’attività letteraria, scrivendo diverse novelle, poesie e romanzi. Pirandello, fin da giovane, si dedica alla stesura di commedie teatrali ma, dopo l’iniziale slancio giovanile, la produzione diviene via via più saltuaria, fino ad essere completamente abbandonata dall’autore per almeno un decennio. I motivi di questo allontanamento sono chiariti da Pirandello in un articolo e in un saggio, rispettivamente L’azione parlata del 1899 e Illustratori, attori e traduttori del 1907. In entrambi gli scritti l’autore espone numerosi dubbi relativi alla pratica della messa in scena: secondo Pirandello l’opera scritta, quando rappresentata sul palcoscenico, perde la sua oggettività; l’essenza dell’opera viene necessariamente compromessa dall’azione di numerose persone, tra i quali scenografi e attori che senza una guida precisa al loro fianco, apportano nuovi e personali contributi, per loro natura nocivi alla comprensione del testo originale. Per ovviare a questo problema, Pirandello sottolinea la necessità di istituire la nuova figura del capocomico: un professionista che deve avere la responsabilità della direzione artistica; per fare questo deve conoscere in modo approfondito l’opera teatrale ed essere in grado di coordinare il lavoro di attori e scenografi sul palco. Pirandello comincia quindi ad intervenire in maniera sempre più concreta nello spettacolo teatrale e, nel 1910, decide di riprendere la produzione drammaturgica non limitandosi al solo ruolo di scrittore e drammaturgo ma aggiungendovi anche quello di direttore di scena, di capocomico, con l’obiettivo di interpretare ‘visivamente’ sulla scena ciò che i suoi testi letterari suscitano.
Sul finire del XIX secolo nel nord Europa, soprattutto in Francia e in Germania, si avverte in ambito teatrale, la necessità di una nuova figura coordinatrice, di un regista, che lavori come primo responsabile dello spettacolo. In Italia questa pratica non si era ancora consolidata e il termine regista non era associato a una figura precisa. Pirandello si scontra il più delle volte con un’ organizzazione ancora vecchia, in cui le varie professionalità operano in un clima di isolamento: l’autore scrive il testo, gli attori provano le loro parti e lo scenografo si occupa di delineare l’ambientazione ma nessuno ha una visione oggettiva dell’insieme dello spettacolo. In risposta a tutto ciò, il capocomico dev’essere, negli intenti di Pirandello, un produttore che si occupi non solo dell’aspetto artistico e gestionale ma anche di tutti gli aspetti pratici riguardanti la vita della compagnia teatrale.
I propositi di Pirandello trovano concreta applicazione, attorno al 1925 quando l’autore comincia a lavorare come capocomico, fondando il Teatro d’Arte di Roma e gestendo una propria compagnia teatrale, che gli darà numerosi riconoscimenti sia in Italia che all’estero.
Al centro di molti drammi teatrali di Pirandello si ritrovano alcuni concetti già espressi nelle novelle e nei romanzi, che necessariamente delineano dei collegamenti tra il settore del teatro e quello della narrativa. Una di queste connessioni, nonché uno degli aspetti più importanti del suo lavoro di scrittore, è la caratterizzazione psicologica dei personaggi che popolano le opere. Sulle scene, così come nelle produzione letteraria, Pirandello si sofferma a descrivere alcuni conflitti tipici del mondo borghese scatenati dal culto delle apparenze, dal perbenismo e dalla smania di ricchezze e, a partire da questi, sviluppa temi esistenziali di più ampia portata, tra i quali: l’impossibilità per l’uomo di vivere una vita autentica, la perdita d’identità, la solitudine e l’impossibilità di comunicare al mondo le proprie fragilità. Il personaggio pirandelliano, se da un lato cerca di ribellarsi agli schemi della vita per poter essere sé stesso, dall’altro finisce spesso per indossare una maschera che gli è indispensabile per adeguarsi alla società.
Pirandello sente la necessità di intervenire anche nell’allestimento teatrale delle proprie opere. Secondo l’autore la minuziosa ricostruzione d’ambiente che era tipica del teatro dell’Ottocento aveva perso di significato: Pirandello non vuole portare in scena una parte di realtà perché il pubblico vi si immedesimi ma, piuttosto, stimolare un’approccio osservatore e critico del pubblico nei confronti dei personaggi che agiscono sul palco. Alla base di tale scelta, c’è l’elemento più tipico della poetica pirandelliana, il tema delle maschere: la vita come recita, popolata di personaggi preconfezionati, imprigionati nelle convenzioni sociali, quali scotto inevitabile per essere accettati nella comunità.
Proprio perché l’autore vuole mettere a nudo i più tipici ritratti sociali, con le loro limitazioni e paranoie, è necessario che il pubblico non si immedesimi nei personaggi ma che ragioni in modo distaccato e critico rispetto a ciò che viene presentato. Per giungere a questo risultato, l’autore introduce alcune innovazioni; tra queste l’abolizione del sipario, che permette di stabilire un nuovo rapporto tra palcoscenico e spettatori, i quali devono avere sempre ben chiaro che stanno assistendo a una ‘finzione’.
Per quanto riguarda gli attori Pirandello interviene direttamente sulla recitazione dei singoli, suggerendo il modo in cui questi devono recitare, muoversi, vestirsi e parlare. Crede sia necessario abolire la figura del suggeritore che rappresenta un limite, in quanto distoglie la concentrazione dell’attore. Particolare enfasi viene posta sull’atto recitativo e, più nello specifico, sull’impersonificazione dell’attore con il personaggio. Proprio perché è essenziale l’immedesimazione dell’attore con il personaggio, Pirandello procede sempre a un’attenta selezione degli attori: la compagnia teatrale quindi non era sempre fissa, in quanto si ricercavano attori le cui caratteristiche fossero, di volta in volta, in sintonia con i personaggi.
Prima di iniziare le prove per uno spettacolo, la Compagnia del Teatro dell’Arte leggeva e discuteva a lungo i testi da rappresentare con lo stesso Pirandello: si trattava di una fase fondamentale per fare il punto della situazione sulla visione generale del regista, operazione non scontata per l’epoca e che denota grandi capacità organizzative. Una volta assicurata la relazione indissolubile tra attore e personaggio, Pirandello può dedicarsi alla messinscena generale, sforzandosi di mettere lo spettacolo al servizio dell’opera scritta. È grazie all’esperienza come capocomico che Pirandello si scontra da vicino con i problemi relativi alla pratica della recitazione e della messinscena, problemi che cerca di superare attraverso il racconto di storie originali e non tradizionali, trasferendo le problematiche del teatro moderno all’interno delle sue opere.
Emblematica a tal riguardo, è la sua commedia Sei Personaggi in cerca d’autore, rappresentata per la prima volta nel 1921 al Teatro Valle di Roma, nella quale Pirandello manifesta molte delle sue più originali considerazioni. La prima parte del dramma inizia con una compagnia di attori che provano il dramma di Pirandello intitolato Il giuoco delle parti. Ad un certo punto, le prove vengono interrotte dai sei persone che, salendo sul palco, si presentano come personaggi in carne ed ossa, portatori di un dramma doloroso e per questo in cerca di un autore che voglia portare in scena le loro storie personali. Questi personaggi rifiutano però di assegnare le loro parti a degli attori: vogliono raccontare e presentare essi stessi la loro storia personale, poiché sono loro i personaggi vivi e reali di quel dramma. Essi sono senza autore perché la forza artistica che li creò non volle o forse non poté materialmente rappresentarli. Non hanno neppure un copione perché la loro storia è già sedimentata nei loro animi e aspetta solo di essere presentata: solo in questo modo i personaggi possono finalmente sentirsi vivi.
I sei continuano ad interrompere le prove degli attori ‘legittimi’, portando il caos nella rappresentazione; Pirandello e gli altri attori inizialmente deridono i nuovi personaggi ma, alla fine, increduli e perplessi, accettano di ascoltare le loro tragiche storie, accentando la condizione di questi personaggi senza autore. Attraverso questo dramma Pirandello abolisce il concetto tradizionale di palcoscenico come unico luogo di recitazione: la scena dei Sei personaggi sembra una qualsiasi prova teatrale che precede lo spettacolo definitivo, di conseguenza le quinte scenografiche sono solo abbozzate e i personaggi agiscono e si muovono in totale libertà come se non vi fossero spettatori presenti. Pirandello, soprattutto nella fase iniziale del dramma, accentua la separazione tra gli attori e il capocomico, che si trova già sul palcoscenico, e i Sei personaggi che fanno invece il loro ingresso, salendo sul palco direttamente dalla platea, solitamente riservata agli spettatori e interrompendo le prove in corso.
In quest’opera, così come in altre, Pirandello riesce a creare sul palco atmosfere intense dando vita a fantasmi dell’immaginario, personaggi surreali ma profondamente umani; questo gli consente di stabilire un legame con le poetiche del Teatro Futurista Sintetico, i cui principi avevano quantomeno suggestionato lo scrittore siciliano. Pirandello, pur attraverso differenti elaborazioni formali, condivide con i futuristi il desiderio di mostrare sul palco un mondo nuovo, non soggetto alle regole di prospettiva e verosimiglianza ma che può suggerire le ambientazioni attraverso la finzione e l’illusione.
A testimonianza dei rapporti tra Pirandello e i futuristi, un esempio particolarmente significativo è lo spettacolo teatrale di Marinetti intitolato Vulcano, messo in scena nel 1926 dalla Compagnia di Pirandello presso il Teatro Valle di Roma. Pirandello, per l’occasione, incarica Enrico Prampolini della realizzazione scenica: sul palcoscenico l’artista futurista crea fantasiosi giochi di luce servendosi di proiettori che, unitamente all’esplosione di razzi e fuochi d’artificio, inscenavano meravigliosamente il momento dell’eruzione dell’Etna. Questa rappresentazione di Vulcano è ricordata da Prampolini tra quelle opere che hanno permesso un’efficace ed articolata applicazione dei principi della scenotecnica futurista.
Quest’evento dimostra inoltre la grande curiosità di Pirandello per le nuove ed originali sperimentazioni teatrali: nel suo Teatro dell’Arte non manca di coinvolgere originali personalità artistiche, concorrendo ad accentuare il carattere di modernità degli spettacoli. Prampolini, a tal proposito, ricorda:
«Pirandello con il Teatro Odescalchi di Roma, aveva contribuito per la sua parte a quella rinascita, iniziando una serie di spettacoli d’eccezione, di prosa e di musica, con intendimenti scenotecnici tutti particolari».
Pirandello è inoltre un habitué presso il Teatro degli Indipendenti di Anton Giulio Bragaglia ed ha contribuito alla creazione di alcuni spettacoli d’eccezione presso questo teatro. Bragaglia è affascinato dalle opere teatrali di Pirandello e, non a caso, inaugura nel 1923 il suo teatro proponendo, fra gli altri, l’atto unico inedito L’uomo dal fiore in bocca di Pirandello, opera che riscuote un immediato successo. Bragaglia si occupa personalmente dell’aspetto scenografico di questo spettacolo: l’intreccio narrativo dell’opera è semplice e risulta perfetto per creare un’atmosfera scenica suggestiva e sintetica, volta a suggerire agli spettatori l’ambiente, attraverso la disposizione di alcune tele sotto una luce violacea, una piccola porta illuminata e vicino un tavolo con due sedie, una piccola finestra bassa con l’inferriata e due lampioni.
Si fa risalire a quest’occasione il primo incontro tra l’architetto e scenografo futurista Virgilio Marchi e Pirandello: è infatti probabile che Marchi, mentre lavora in quel periodo presso il Teatro degli Indipendenti viene in contatto con Pirandello, probabilmente durante le prove per la messinscena de L’uomo dal fiore in bocca. È forse l’interesse di Pirandello verso nuove possibilità di espressione artistica e scenica a spingerlo ad avvalersi della collaborazione di Marchi per la costruzione del Teatro dell’Arte. L’architetto, non appena trentenne, poteva già vantare tra i suoi titoli professionali la creazione della Casa d’Arte Bragaglia e del Teatro degli Indipendenti.
Erika Righi
Dalla tesi di Laurea Magistrale:,
Virgilio Marchi: tecnico con spirito futurista. Analisi della produzione teatrale con Anton Giulio Bragaglia e Luigi Pirandello. (pagine 61-67)
2013
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