La signora Morli, una e due – Atto secondo

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Premessa e trama
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
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La signora Morli, una e due - Atto II
Adriana Asti, La signora Morli, una e due, 1972.

1920
La signora Morli, una e due
Atto secondo

        Giardino della villa di Ferrante Morli a Roma. La villa è a sinistra; se ne scorge tra gli alberi la facciata, col portone aperto, a cui si sale per alcuni scalini d’invito, non più di cinque, che man mano si restringono fino alla so­glia del portone. A destra è prima il cancello con un magnifico eucaliptus presso uno dei pilastri; poi, fino infondo, la ringhiera che s’intravede di tra gli alberi, tutta coperta d’edera e di roselline rampicanti. Alberato è anche il fondo della scena, in parte sul davanti praticabile. Tra due alberi, un’altalena. In mezzo qualche tavolino e sedie e sedili da giardino.

        Sono passati circa due mesi dal primo atto. È un dolcissimo pomeriggio d’a­prile.

        Sono in iscena il cameriere Ferdinando, sui cinquanta anni, in marsina, Toto, giovinastro equivoco, che accompagna una Giovane non meno equivoca, in cappellino, la quale viene a profferirsi per governante.

        FERDINANDO: Per me, se volete, entrate pure. (Indica il portone della villa.) Ce n’è di là altre due che aspettano. (Osserva la Giovane.) Ma per dir la verità, non mi pare il genere…

        TOTO (aggressivo e provocante, facendosi avanti): Come sarebbe a dire, che non ti pare il genere?

        LA GIOVANE (tirandolo indietro, non tanto per metter pace, quanto per far ve­dere che basta lei sola): Lascia, Toto; andiamocene. L’avviso del giornale diceva: «Donna eccepibile».

        FERDINANDO (correggendo): Ineccepibile! ineccepibile!

        LA GIOVANE: E va bene! «Governo casa signore solo.»

        FERDINANDO: Già, ma vedete, qua, propriamente, questa donna non la vorreb­bero né il signore né il signorino…

        LA GIOVANE (interrompendo):. Ah, come? c’è pure il signorino?

        FERDINANDO: Sì; ma questo per voi non vorrebbe dire, perché «solo» anche lui. Meglio anzi!

        TOTO (cs.): Oh! Che discorsi fai? Bada come parli!

        FERDINANDO: No; faccio per dire adesso!

        TOTO (interrompendo, agitando un giornale che tiene in mano aperto): Ma al­lora perché mettono l’avviso sul giornale e fanno incomodare le persone a venire fin qua?

        FERDINANDO: Abbiate pazienza. Lasciatemi finire. La governante la vorrebbe la signora.

        TOTO (subito scattando): Che? La signora?

        LA GIOVANE (cs., quasi contemporaneamente): Senti senti, che scappa fuori adesso anche la signora! Si sente sonare il campanello del cancello.

        TOTO (alla donna, tirandola via con sé): Vieni via! vieni via!

        FERDINANDO (accorrendo verso il cancello): Un momento… aspettate un mo­mento. (Ferdinando apre il cancello. Entrano la Vecchia zia, grassa, ciabattona, e la Nipote, sui trent’anni, molto formosa ma finta modesta.)

        LA VECCHIA ZIA: È qua che cercano la donna per un signore solo?

        FERDINANDO: Qua, entrate.

        TOTO (subito alle due nuove arrivate): Ma non date retta!

        LA GIOVANE (sulle mosse d’andar via con Toto): Questo si chiama ingannare la gente. Dicono «signore solo», e poi viene fuori che c’è pure la signora!

        FERDINANDO: Ma no!

        LA VECCHIA ZIA: Come? La signora?

        LA GIOVANE (rispondendo a Ferdinando): L’avete detto voi!

        FERDINANDO: Se non mi lasciate spiegare! – La signora c’è e non c’è.

        TOTO: E che solo e solo allora, me lo dici? se ci ha l’amante che va e viene?

        FERDINANDO: Ma non è l’amante, è la moglie!

        LA GIOVANE: La moglie che va e viene?

        FERDINANDO: È venuta per qualche giorno, e ora se ne riparte.

        LA VECCHIA ZIA: Perché non sta con lui?

        FERDINANDO: Sta fuori.

        LA GIOVANE (con un riso sguajato): Ho capito! Ce l’avrà lei allora, l’amante.

        LA VECCHIA ZIA: E come? e lui, il marito?

        FERDINANDO: Io non so niente. So che la signora, prima di partire, vorrebbe la­sciar qua per il governo della casa una donna… ma…

        LA GIOVANE (subito, facendogli il verso): Ineccepibile! (E scoppia di nuovo a ridere, c.s.)

        FERDINANDO: Posata… anziana…

        TOTO (afferrando con una mano e tirando a Ferdinando il bavero dalla mar­sina): Per tua regola, quando sull’avviso si mette come ci sta scritto qua… (S’interrompe e lo guarda negli occhi.) Ci siamo intesi! (Poi, subito, rivol­gendosi alla Giovane e tirandosela via con sé:) Andiamo via! Escono tutt’e due per il cancello.

        LA VECCHIA ZIA: Eh già. Se prima mettono una cosa, e poi ne vien fuori un’al­tra…

        FERDINANDO: Ma no ! (Piano, con uno sguardo d’intelligenza:) Si capisce che cosa cercavano quei due là, lei per un verso e lui per l’altro. Ma voi entrate. La signora starà poco a venire. Voi mi sembrate adatta.

        LA VECCHIA ZIA: Io? Ma che! Non mi metto mica a servizio io…

        FERDINANDO (squadrando la Nipote): Ah, è allora per…

        LA VECCHIA ZIA: Per questa mia nipote qua, buona come il pane.

        LA NIPOTE (con gli occhi bassi): Già… ma se c’è la signora…

        FERDINANDO (spazientito): Oh, insomma, entrate, se volete, e come verrà la si­gnora, ve l’intenderete con lei. (Suona di nuovo il campanello del cancello.)

        FERDINANDO (accorrendo ad aprire e indicando l’entrata della villa alle due donne): Di là, di là…

        LA VECCHIA ZIA (alla Nipote): Vediamo prima che signora è… Si dirigono verso il portone aperto della villa, a sinistra, ed escono. Ferdi­nando intanto apre il cancello, ed entra l’avvocato Giorgio Arme!li: media statura, piuttosto grasso; sessant’anni; capelli bianchi, corti, tagliati rigoro­samente a spazzola; viso acceso, occhietti acuti, baffi neri, insegati e ritinti, ritinte anche le sopracciglia; tiene sempre rigida la nuca, come per un torci­collo fisso; è compitissimo, elegantissimo, parla piano, spiccando tutte le sil­labe e porgendo quasi a una a una le parole con l’accompagnamento d’un gesto delle dita a chiocciolino.

        FERDINANDO: Scusi, il signore?

        ARMELLI: Sono l’avvocato Giorgio Armelli. Vengo da Firenze. Vorrei parlare con la signora Lina.

        FERDINANDO: La signora Lina? Non sta mica qui.

        ARMELLI: Come non sta qui?

        FERDINANDO: Qui non ci sta nessuna signora Lina.

        ARMELLI: Ma come? Non è la casa del signor Morli, questa?

        FERDINANDO: Sissignore.

        ARMELLI: E dunque! La signora si chiama Lina.

        FERDINANDO: No, sa. La signora qua si chiama Eva.

        ARMELLI: Lina! Lina! Volete insegnarlo a me?

        FERDINANDO: Potrei giurare, signore, d’averla sentita chiamare sempre Eva dal marito.

        ARMELLI: Ah! Ho capito. Perché veramente… sì sì… Evelina, ecco, si chiama Evelina… Si vede che il marito ne avrà presa la prima parte, e la chiama Eva. Noi a Firenze la chiamiamo signora Lina.

        FERDINANDO: Scusi; io non sapevo…

        ARMELLI: Chiarito l’equivoco – basta! – E così, dunque?

        FERDINANDO: Per il momento la signora non è in casa.

        ARMELLI (meravigliato): Ah no? E come? Col figlio… (Rimane in sospeso e costernato.)

        FERDINANDO (interpretando a suo modo la sospensione): Sissignore, col figlio e il marito; sono usciti per una passeggiata a cavallo.

        ARMELLI (strabiliando, a due riprese): Una passeggiata? – A cavallo?

        FERDINANDO: Sissignore.

        ARMELLI (c.s., a tre riprese): La signora Lina? – A cavallo? – E col figlio?

        FERDINANDO (col viso di chi non capisce il perché di tanto stupore risponde na­turalmente): E il marito, sissignore.

        ARMELLI: Ma dunque, perfettamente guarito?

        FERDINANDO: Scusi, chi, guarito?

        ARMELLI: Come, chi? Il figlio!

        FERDINANDO: Ma non è stato mai malato, ch’io sappia.

        ARMELLI (cascando dalle nuvole): Come come? Non è stato mai malato, il fi­glio? anzi, gravissimo? quasi per morire?

        FERDINANDO: Da che ci sto io, no, signore; e sono a momenti due mesi. Vispo come un grillo.

        ARMELLI: Ah, ma dunque? Dio mio… Arrivò, otto giorni or sono, a Firenze un telegramma che dava il figlio quasi per ispacciato dai medici; per cui la madre è accorsa qua… – E noi che s’è stati in tanta costernazione, senza nes­suna risposta ai nostri telegrammi…

        FERDINANDO: Ah, ecco, per questo! Sissignore: ne sono arrivati tanti, di questi giorni! Un diluvio!

        ARMELLI: Ma sì, Dio mio, costernatissimi! Vi dico che voleva venir con me perfino mia moglie! – Ma allora… allora hanno fatto finta… per attirare qua la madre? Non so… non capisco però, come la signora Lina…

        FERDINANDO: Eh, caro signore…

        ARMELLI: Indignatissima, mi figuro! Sfido! Se sono scherzi da fare a una madre! (Voltandosi di scatto, come se Ferdinando avesse parlato:) Che?

        FERDINANDO: Mah! Ne combinano! Ne combinano!

        ARMELLI: Padre e figlio?

        FERDINANDO: Mai fermi un momento!

        ARMELLI: E la signora?

        FERDINANDO: Eh… sa, direi che… anche lei…

        ARMELLI: Ah sì? Sbalordisco… Perché… (E resta tutt’a un tratto in tronco.)

        FERDINANDO (per rimediare): Ma fa piacere, sa, vederli così, sempre allegri…

        ARMELLI: Ah; lo credo, lo credo. – E allora… allora non dite niente, mi racco­mando, di questa mia visita: per non guastar la loro allegria. Corro io, adesso, a spedire un telegramma d’urgenza per tranquillar tutti a Firenze; e ritornerò più tardi per parlare con la signora.

        FERDINANDO (esitante): Non debbo avvertire…?

        ARMELLI: No, no. Anche nel vostro interesse, perché forse la signora non vo­leva si sapesse che il figlio non è stato mai malato, essendosi trattenuta qua una settimana…

        FERDINANDO: Già; ma io non sapevo…

        ARMELLI (Per troncare, accomodante): Lasciamo le cose come sono; come se io non fossi venuto. Ritornerò più tardi, nuovo di tutto. Fidatevi. Entra a questo punto dal cancello rimasto aperto la Signora vedova, sui tren­tacinque anni, in gramaglie.

        SIGNORA VEDOVA: Permesso?

        ARMELLI (avviandosi, a Ferdinando): Siamo intesi, eh? Addio. (Salutando Ferdinando con la mano, esce dal cancello.)

        FERDINANDO (secccitissimo, quasi sgarbato): Viene per l’avviso del giornale, signora?

        SIGNORA VEDOVA: Sono una povera vedova…

        FERDINANDO: Va bene, scusi. Favorisca dentro. (Indica il portone della villa.) Ce n’è altre quattro che aspettano. Creda che io non ne posso più!

        SIGNORA VEDOVA: Ma è solo, veda, per la mia sventura che io…

        FERDINANDO (sbrigativo): Lo credo, lo credo. Parlerà con la signora. S’acco­modi di là.

        SIGNORA VEDOVA (si porta invece il fazzoletto listato di nero agli occhi e si mette a piangere con impeto, ma silenziosamente; poi dice): Da appena un mese…

        FERDINANDO (un po’ pentito per lo sgarbo usatole): Il marito?

        SIGNORA VEDOVA: Che mi voleva tanto bene!

        FERDINANDO: Eh, disgrazie… – Sa però, se lei piange così, signora, non credo che questa sia una casa per lei. GliePavverto.

        SIGNORA VEDOVA: Ecco, volevo appunto qualche notizia. Il signore è forse ve­dovo anche lui?

        FERDINANDO: Che! Ha moglie. Moglie e un figliuolo. Ma la moglie sta a Fi­renze. (Piano in confidenza:) Sa… pasticci!

        SIGNORA VEDOVA: E che età ha?

        FERDINANDO: La signora?

        SIGNORA VEDOVA: No, lui.

        FERDINANDO: Mah… tra i quaranta e i cinquanta…

        SIGNORA VEDOVA: Ah, dunque… ancora…

        FERDINANDO: Che cosa?

        SIGNORA VEDOVA: Non tanto vecchio…

        FERDINANDO (che ha capito l’antifona): Signora, io debbo apparecchiare qua per il tè. (Vengono dal fondo a sinistra le voci e le risate di Ferrante Morli, d’Evelina e di Aldo che ritornano dalla passeggiata a cavedio, e sono entrati nel giardino dalla parte della rimessa.) Vada, vada. Ecco che giungono. – (Indicando la villa:) Di là, dove aspettano le altre…

        Ferrante Morli e Aldo, che hanno intrecciato le mani a seggiolino per sor­reggervi su Evelina, entrano rumorosamente dal fondo a sinistra, tutti e tre in costume da cavalcare. A Evelina, da tanti anni non più abituata a montare a cavallo, s’è intorpidita una gamba. Ella ha una amazzone nuova, con re­dingote di panno marrone molto scia/lata a un sol bottone, alta fin sopra il ginocchio, calzoncini aderenti di stoffa scozzese, abbottonati da un lato e gambali. Durante la scena seguente Ferdinando uscirà parecchie volte dalla scena e vi rientrerà, sempre attraverso il portone della villa, intento ad appa­recchiare in giardino il tavolino per il tè.

        EVELINA (sorretta a sedere sulle mani di Ferrante e di Aldo, tenendosi con le braccia appoggiata a entrambi): Ma no! Giù! Che fate! Giù! giù!

        ALDO: No! così, così!

        FERRANTE: In trionfo! in trionfo!

        EVELINA: Qua! qua! basta! giù! Fatemi scendere! (Scende e si prova a poggiare a terra il piede.)

        FERRANTE: È passato?

        EVELINA (subito): Ah! (E solleva il piede.).No… Dio! mi formicola… mi formi­cola…

        ALDO: Siedi; siedi…

        FERRANTE: No, meglio in piedi… Così, guarda: alzati, alzati e premi sulla punta dei piedi!

        EVELINA: Ma no, non posso! non me lo sento più, il piede!

        FERRANTE: Da’ ascolto a me! Ti reggo io… (La regge. Evelina prova a rizzarsi sulla punta dei piedi.) Così… così…

        ALDO: Ti passa? – ti passa?

        EVELINA (ridendo nervosamente): Sì… sì…

        FERRANTE: Vedi? – Ah, il mio caubòil A che siamo ridotti!

        EVELINA: Sfido! dopo tant’anni che non monto più a cavallo!

        FERRANTE (ad Aldo): L’avessi vista sul suo «jumper» (pronunziare giùmpeur): Tutt’una con esso! Che salti!

        EVELINA: Basta, basta! Per carità, basta, Dio mio! Sono come ubriaca… Basta, di pazzie, ora!

        ALDO: Ma che basta!

        EVELINA: No, no, basta! basta!

        FERRANTE: Lasciamola dire! Diceva così anche prima! E sai in che modo buffo, venendomi avanti con certi occhi da bambina spaventata e scotendo il dito… Come dicevi?

        EVELINA (ripetendo con grazia fuggevole l’antico modo, quasi bambinesco, ma con aria di volerne subito profittare richiamandosi a un proposito serio): «Non ci faccio più!» – Ah, ma davvero sai! Ora basta, ora basta: «non ci fac­cio più» davvero! – E prima di tutto, via quest’abito! (Accenna d’avviarsi.)

        ALDO (subito, trattenendola): No, no! Resta così, mammina!

        EVELINA (cercando di svincolarsi): Ma no – via – lasciami!

        ALDO (c.s.): No, così..-, come un maschietto in mezzo a noi…

        EVELINA (impostandosi severamente): Aldo! Impertinente! (Ma come Ferrante scoppia a ridere forte, vedendole assumere quell’aria di severità, subito smettendola e fingendo d’esser seccata:) Sì, bravo, ridi…

        FERRANTE (seguitando a ridere): Ma sì, abbi pazienza, Iviù! T’ho visto far con la testa… (Le rifa il gesto con cui ha accompagnato il rimprovero del figlio, come se questo gesto gli ricordasse le mossene di lei per i rimproveri che un tempo soleva rivolgere a lui, ed esclama:) Tu non sai come sei tutta, sempre, la stessa!

        EVELINA: Sfido!

        FERRANTE (subito, rifacendole anche il modo con cui ha detto «Sfido!»): Ecco: «Sfido!» – E l’ha ripetuto già due volte! (Ad Aldo:) – Non sapeva far altro che dirmi «Sfido!».

        EVELINA (involontariamente, tirata dal discorso, ripete): Sfido! (Ma subito l’avverte e s’arresta: basta questo, per far prorompere naturalmente quei due in una gran risata; e allora subito ella, per ripigliarsi:) Sì, sì, perché prima era lui a farmi commettere tutte le pazzie, e poi aveva il coraggio di farmele notare, sissignori: che erano pazzie! Io allora, mortificata, gli dicevo: – Non lo faremo più! – E lui: – Che? Queste sono niente! Vedrai quelle che faremo domani! – (Abbassa gli occhi e aggiunge:) E le facevamo davvero.

        ALDO (dopo averla contemplata un pezzo, beato): Ma sai che per me sei tutta, tutta nuova, mammina? Io ti sto conoscendo adesso! Non t’ho mai veduta così!

        EVELINA (con comico dispetto, facendo gli occhiacci): Me l’immagino bene, conciata poi in questo modo… – No, via, lasciate che vada a levarmi di così… Peccato! Per una volta sola, una spesa così forte… (Sale i cinque gradini d’invito davanti al portone della villa.)

        ALDO (con un sobbalzo): Che!

        FERRANTE (c.S.): Per una volta sola?

        EVELINA: Ah sì! Se aspettate di riprendermici un’altra volta!

        FERRANTE: E il bajo che resta di là?

        EVELINA: Potete cominciare a rivenderlo… (Poi con tono d’ammonimento a Ferrante, per richiamarlo alle spese pazze d’una volta, che determinarono la sua rovina:) E ti prego… e ti prego… (Fa per ritirarsi.)

        FERDINANDO (dal giardino): Ci sono di là, signora, parecchie donne venute a profferirsi per governanti…

        ALDO (aprecipizio, protestando): Nononononò! Niente, mammina, governanti!

        FERRANTE: Abbasso le governanti!

        ALDO: Non vogliamo saperne!

        FERRANTE: Muffa! Muffa da signora Lina!

        ALDO: Pensieri da mamma Lina! Via! via! via!

        EVELINA: Ohe, ragazzo! Ma sai che tu m’hai conosciuta sempre da mamma Lina?

        ALDO: Eh, scusa, l’ho dettolo stesso, or ora… Ma a Firenze, non qua, mammina! Qua non ci sta mica, di casa, mamma Lina, né presumerai d’esser quella, ora – vestita così…

        EVELINA: E perciò vado subito a spogliarmi, e me ne riparto stasera, cari miei! (Scappa via per il portone della villa.)

        FERRANTE (a Ferdinando, seccato e risoluto): Vai, vai a cacciar via tutte quelle donne, e senza farle uscire di qua: non voglio neanche vederle!

        FERDINANDO: Sapesse che roba! (Fa per avviarsi a eseguire l’ordine.)

        FERRANTE: Via! via! (E come Ferdinando esce:) Senti, Aldo. Seriamente. Bi­sogna ch’ella rimanga qua, con noi!

        ALDO (angustiato di quell’aria risoluta del padre, con un sospiro): Eh…

        FERRANTE (con forza): No, Bisogna! bisogna!

        ALDO: Figurati se lo vorrei anch’io! Ma capirai…

        FERRANTE (subito, fosco e duro): Capisco solo una cosa io, adesso: che non posso più tollerare, assolutamente, ch’ella ritorni là. Bisogna impedirglielo a ogni costo!

        ALDO: Ammalandomi di colpo per davvero?

        FERRANTE (con pronta e aspra severità): Aldo, t’ho detto «seriamente»!

        ALDO: Ma, papà, se dici seriamente…

        FERRANTE: Seriissimamente!

        ALDO: E allora temo, purtroppo, che non verrai a capo di nulla.

        FERRANTE: Perché ti sembro fatto soltanto per scherzare, io?

        ALDO: No, papà! – Perché vedo che ti rivolgi a me.

        FERRANTE: Come a dire, a uno che sa soltanto scherzare?

        ALDO: Ma no, Dio mio! Ti parlo anch’io adesso seriamente. Vedo… vedo con tanta pena, che tu…

        FERRANTE (interrompendolo, smaniando): Non dovevo, non dovevo farla ve­nire! – Ma sei stato anche tu! «Per farle prendere una boccata d’aria!»

        ALDO: Eh già… Per questo soltanto! Credendo che tu ormai…

        FERRANTE: Ma non vedi, con l’aria che ha preso, con l’aria che ha respirato su­bito, di nuovo accanto a me…

        ALDO: Già, sì, è un’altra!

        FERRANTE: Ma che un’altra! L’ho ritrovata, s’è ritrovata lei stessa, subito, tutta, qua – lei, lei – quella che era prima! Pare a te un’altra! Come era parsa a me là, quando la rividi come una mummia… Fosse venuta quella, mi sarei an­ch’io divertito «a farle prendere un po’ d’aria!». Ma che! S’è avuta per male, lì per lì, di trovarti qua sano; ha fatto un po’ l’indignata per la crudeltà dello scherzo; se n’è voluta andare prima all’albergo, ma poi, nel vederci andar via mogi mogi, s’è messa a ridere…

        ALDO: E io, quando ha riso…

        FERRANTE: Tu, sì; ma io mi son sentito lacerare tutto, subito, dentro, a quel riso! – Tu non lo sai, come ha riso!

        ALDO: Ha riso… e poi… ce la siamo portata via.

        FERRANTE: Ah, caro mio… Ho riso anch’io, guardandoti, come ti ha guardato lei. Ma poi i nostri occhi si sono incontrati; ed è stato uno sgomento (un at­timo!) – Sono sicuro, guarda, che tu come sei ora, cresciuto, un giovanotto, non sei stato più niente per lei; come per me – niente; perché, per noi, pic­colo, così soltanto, potevi essere in quell’attimo, e non questo che sei. Ho visto nel suo sorriso, dopo che mi guardò, quella stessa momentanea fred­dezza ch’era nel mio, impacciata, come se tu, così grande, non fossi… non fossi nostro (oh, per un momento, bada!) e noi due, io e lei… – non so dirtelo – divisi – presenti e divisi – come divisi, sì, in due vite distanti e contempo­ranee, vere tutt’e due e vane tutt’e due nello stesso tempo! – Ora, in questi otto giorni, tu l’hai vista: quella che è stata per tant’anni la tua mamma là, è sparita. Qua è vera quella che conosco io. E questa è mia, è mia; dev’esser mia; non può più ritornare là!

        ALDO (quasi sgomento): Ma papà, tu così…

        FERRANTE (forte, non ammettendo repliche): Non posso più tollerarlo!

        ALDO: Già; ma vuoi…

        FERRANTE (pronto, interrompendo c.s.): Che rimanga qua assolutamente!

        ALDO: E l’altra?

        FERRANTE (stordito dalla subita e placida domanda del figlio, che lo arresta): Che altra?

        ALDO: Quella di là! Come la conoscevo io; come la conoscono tutti gli altri, là, a Firenze. È vera anche quella, sai, papà!

        FERRANTE (c.s.): Come, vera? No! Ormai no! Non può, non deve più esser quella!

        ALDO: E come, papà, se ha pure quell’altra sua vita, là, che tu non puoi cancel­lare?

        FERRANTE (scrollando furiosamente le spalle): Ma che vita! che vita!

        ALDO: Bene o male. Quella che è. Come ha potuto fargliela quel…

        FERRANTE (subito, voltandosi di scatto, furibondo): Non me lo nominare!

        ALDO: Oh, papà: un uomo che s’è fumato tutto da sé, piano piano, come un si­garo dolce. È rimasto intero, ma di cenere; che guaj se lo scrolli un po’ o se ci soffii sopra, appena appena!

        FERRANTE: Ah, se lo scrollo! Lo scrollo! lo scrollo! – Ci soffio! ci soffio! (E si mette a passeggiare sulle furie.)

        ALDO (quasi tra sé): Sarà un bel guajo…

        FERRANTE (vedendolo, si ferma un po’, per poi riprendere a passeggiare): Sì; contentati di dire così, tu, e basta…

        ALDO: Ma che vuoi che ci faccia io? Non ci ho mica colpa io, papà…

        FERRANTE: Lo so! Ma è tempo, sai, che lei su, la signora, cominci, cominci a riconoscere che la colpa fu anche sua, sua, allora!

        ALDO: Ma no, papà, io dico colpa, se lei se ne vuol ripartire. Ti rivolgi a me. Io ho potuto farla venire, e avrò fatto male; ho fatto male certamente. Non posso mica trattenerla… Si ode a questo punto dall’interno del portone la voce di Evelina.

        VOCE DI EVELINA: Ferdinando, il tè.

        FERRANTE: Eccola! Non posso farmi vedere da lei così agitato. (S’avvia conci­tatamente verso il fondo e scompare tra gli alberi. Rientra in iscena poco dopo Evelina, in abito grigio, da viaggio.)

        EVELINA (vedendo Aldo ancora in abito da cavaliere): Come, e tu ancora così?

        ALDO (confuso, guardandosi l’abito addosso): Ah, sì… Mi sono trattenuto a parlare con papà.

        EVELINA: E dove… dov’è andato?

        ALDO: Mah… non so, di là…

        EVELINA: E non viene a prendere il tè?

        ALDO: Credo che… che ne abbia poca voglia, oggi, papà. Pausa. Evelina lascia cadere, apposta, il discorso. Entra Ferdinando con la tejera e con le paste.

        EVELINA: Oh, bravo Ferdinando. Posa qua, posa qua. (Indica il tavolino appa­recchiato.)

        FERDINANDO: Comanda altro?

        EVELINA: Nient’altro, grazie. (E come Ferdinando va via, si mette a versare il tè e il latte, prima per Aldo, poi per sé. Dura ancora un po’ la pausa. Poi, ri­volgendosi ad Aldo, domanda:) Non sarà cambiato, è vero, l’orario delle fer­rovie?

        ALDO: Te ne vuoi dunque, proprio, ripartire stasera? No, mammina!

        EVELINA: Sì, sì, sì!

        ALDO: No; almeno stasera, no!

        EVELINA: Stasera, stasera…

        ALDO: Domani, senti…

        EVELINA: Stasera. Basta!

        ALDO: Tutto domani, qui; e poi doman l’altro mattina…

        EVELINA: Basta, basta ti dico! È ormai deciso… Ma come sono buone queste paste! Prendine una.

        ALDO (rifiutando, ingrugnato): Grazie. (Poi:) Qua, per tua regola, è tutto buono.

        EVELINA: Sì. Tranne te.

        ALDO: No. Tranne te. Sono appena otto giorni, e…

        EVELINA: Avrei dovuto ripartirmene il giorno stesso dell’arrivo, appena sco­perta la vostra bella birbonata!

        ALDO (con le mani congiunte e aria e voce di preghiera bambinesca e biri­china): Mammina!

        EVELINA: Smettila, Aldo!

        ALDO: Mi sono tanto strapazzato, oggi, a cavallo.

        EVELINA: Peggio per te!

        ALDO: Mi fa tanto male il capo!

        EVELINA: Smettila, ti dico!

        ALDO: E va bene, vattene! Se poi, appena montata in treno, io mi metto a letto per davvero con la febbre…

        EVELINA: Oh sai, impostore, ricordati la favola di quello che gridava al lupo! Io non vengo più, bada, neanche se sei davvero ammalato. Ci hai fatto que­sto bel guadagno!

        ALDO (con la più tranquilla impudenza): Eh sì… Tu scherzi…

        EVELINA (voltandosi sbalordita): Io scherzo? Io dico sul serio!

        ALDO: E intanto questo accadrà sicuramente prestissimo, con la vitaccia ameri­cana che facciamo qua, io e papà. Io non ci sono abituato… Senza le cure di nessuno…

        EVELINA: Ma va’ là, impostore, che non sei stato mai così bene come adesso!

        ALDO: Sì; ma anche tu, sai, mammina! Vedessi come stai bene, tu!

        EVELINA: Via, basta ti dico, Aldo.

        ALDO: No, via, confessa, confessa, mammina, che tu ti sentiresti maledetta­mente più felice, qua, con papà!

        EVELINA (balzando in piedi): Insomma, vuoi che me ne risalga su?

        ALDO: Ma non devi neanche credere, sai, come quando sei arrivata, che io abbia’ancora quattro anni, oh!

        EVELINA (lo guarda come se cascasse dalle nuvole): Ma che dici? io? io ho creduto che…? (Siede di nuovo e si mette a ridere.)

        ALDO: Tu, tu, sì, me l’ha detto papà! – Lo sgomento! Un attimo!

        EVELINA: Io? Ma che dici? Sei impazzito?

        ALDO (caricando burlescamente l’espressione): Vi siete guardati e niente! come se io, così cresciuto, un bel giovanotto, non fossi più vostro. Più niente per te; come per lui – più niente!

        EVELINA (un po’ smorendo, stupita ma pur sorridente, riconoscendo la verità di quel che realmente, al suo arrivo, guardando il marito, aveva anche lei avvertito in confuso, nel turbamento): Ma che pazzie…

        ALDO (subito, intuendo): Mammina, come lo dici! Deve essere stato vero!

        EVELINA (reagendo al suo sentimento): Follie, follie di tuo padre! – Non è stato vero nient’affatto!

        ALDO (sognante, dopo una breve pausa): Potessi andare a nascondermi là, die­tro quell’albero, e ricomparirvi davanti un cosino… così, col cerchio e la bacchetta…

        EVELINA (profondamente turbata, sconvolta; non potendone più): Aldo, Aldo, per carità, basta! basta! Non posso più sentirti parlare! (E sì mette a piangere, nascondendosi il volto.) Pausa. Rientra dal fondo Ferrante. Fa segno ad Aldo d’andar via in silenzio:

        Aldo va via. E allora egli, piano, s’accosta a Evelina. A poco a poco, lentis­simamente, a cominciar da questa scena la luce andrà scemando per modo che, alla fine dell’atto, resti soltanto come un ultimo barlume di crepuscolo.

        EVELINA (rialzando il capo, e credendo di parlare ancora a Aldo): Tu dovresti piuttosto… (vedendo Ferrante, e arrestandosi:) Ah – dov’è andato?

        FERRANTE (in apparenza calmo, sorridente): T’ha visto piangere, e se n’è an­dato.

        EVELINA (confusa, imbarazzata dalla presenza di lui, perché non più sicura di sé): E tu… di dove sei venuto?

        FERRANTE: Se volevi darmi un po’ di tè…

        EVELINA: Ah… il.tè… ma sarà freddo… (E si volta a chiamar verso il portone della villa:) Aldo!

        FERRANTE: Lo prendo anche freddo… – lascia!

        EVELINA (nell’imbarazzo, volendo dare a intendere che ha chiamato il figlio per un’altra ragione): No… E, perché… Sono un po’ nervosa… Diceva tante sciocchezze… Ma tu dov’eri?

        FERRANTE (freddo, senza dar la minima importanza alla cosa): Di là. Ho sen­tito…

        EVELINA (che ha versato il tè nella tazza, porgendolo senza guardarlo): È pro­prio freddo, sai…

        FERRANTE: Non importa… (All’atto di Evelina di prendere il bricco del latte:) No, senza, senza latte… (E dal taschino in alto del panciotto trae una fialetta oblunga e versa alcune gocce del liquido che vi è contenuto premendo col pollice la piccola leva del turacciolo d’argento automatico.)

        EVELINA (che è stata a guardare): E che è?

        FERRANTE: Gin.

        EVELINA: Lo porti con te?

        FERRANTE: L’America! (E accompagna l’esclamazione con un gesto vago della mano.)

        EVELINA: No… Non sta bene… – ti… ti… (Vorrebbe esprimere il suo dispiacere, ma si trattiene.)

        FERRANTE: Non mi fa niente… Un sorso ogni tanto…

        EVELINA: Ma… Dio mio, ad Aldo… ad Aldo no, non lasciar prendere codesto vizio!

        FERRANTE: Stai tranquilla. Del resto, non è vizio neanche per me, perché, se voglio…

        EVELINA (con impeto di premura, subito di nuovo trattenuto): Ecco sì… non… non lo fare…

        FERRANTE: Davanti ad Aldo?

        EVELINA: No, per te stesso.

        FERRANTE: E allora, non perché non voglia più io, ma perché non vuoi tu?

        EVELINA (sempre più imbarazzata): Dico per te… È proprio un brutto vizio… E ad Aldo, anzi, volevo raccomandare appunto…

        FERRANTE: Che invece di dir «quelle sciocchezze», pensasse a farmi un po’ da papà?

        EVELINA: Ma sì, perché tu spendi, tu spendi enormemente, all’impazzata, di nuovo!

        FERRANTE (sorridendo): No, no.

        EVELINA: Come no! T’ho visto buttar via il danaro… come prima, Dio mio!

        FERRANTE: No. Un po’ in questi giorni, perché ci sei tu. – «Come prima», dici? – Ma tu, prima, non te ne accorgevi!

        EVELINA: È vero, sì! cieca! cieca! – Ma pensa che tu hai ora Aldo con te!

        FERRANTE: Oh, se fosse per questo, no! Non pensai che avevo accanto te, allora! Figurati, se potrebbe trattenermi Aldo adesso! – Ma non dubitare che ora ci penso…

        EVELINA: Sul serio?

        FERRANTE: Sì, ci penso… – ci penserò, via, se non oggi, domani – ma sai per­ché? Perché sono di nuovo qua; e mi ci sento, qua, di nuovo… non so, come… – come dovresti sentire anche tu! – come se non fossi mai partito, ecco – e lo avessi, ah perdio, ancora e senza fine, quel danaro – non questo d’ora! – quello, quello! – quello che, per non averlo allora calcolato, mi di­strusse, spezzò la nostra vita… – Ah, ma ora l’ho di nuovo e lo tengo, lo terrò perché mi par di riaverla in pugno con esso, la mia vita – quella, quella di prima! L’ho sentito in questi otto giorni, con te qua… – Stai sicura che non me lo lascerò più sfuggire.

        EVELINA (timida dolente): Già; ma io… io…

        FERRANTE (scartando, fosco, estroso): Te ne vai? E allora che vuoi che me ne importi più?

        EVELINA: No! Come? E Aldo?

        FERRANTE (con un riso cattivo, e finto sdegno e finta indifferenza): Aldo?… Aldo, se mai… – In America!

        EVELINA: Ah, no! Mai! Mai! Questo non devi neanche pensarlo!

        FERRANTE: Ma no, via, non temere!

        EVELINA: Me lo dici per spaventarmi?

        FERRANTE: No, cara. Sarebbe un ricatto, lo non ne faccio. Sai bene che volevo lasciartelo là… Ha voluto venir via lui. – Ripigliarti, trattenerti qua per mezzo del figlio, non lo farò mai. – Sei stata qua otto giorni. Sei venuta per lui. Hai visto come (a bassa voce per la delicatezza del sottinteso:) come ho mante­nuto la promessa.

        EVELINA (piano anche lei, senz’ombra di ribellione, come per obbedienza a una necessità): Me ne sarei ripartita subito!

        FERRANTE: Sì, e per farti rimanere, dopo questa minaccia, mi sono trattenuto con tutte le forze dell’anima e del corpo! Ma non è possibile, non è possibile, Eva, che tu…

        EVELINA (interrompe, di nuovo timida, su le spine): No, no… basta… Che dici, ora?… basta…

        FERRANTE: Dico che, dopo questi otto giorni di festa, di… di quella nostra an­tica festa, non è possibile che tu, chiudendoti la notte, nella tua stanza, sola – Pigia su la parola «sola» e le battute seguenti saranno intercalate da tutti e due nel discorso, rapidamente; come per non toccarsi.

        EVELINA (subito a occhi bassi): – ma certo! –

        FERRANTE (pigiando): – e a chiave! –

        EVELINA (c.s.): – a chiave, sì –

        FERRANTE: – non abbia pensato, che ti era accanto –

        EVELINA: – no, no –

        FERRANTE: – eh via, sii sincera! – Fui tuo marito! – E tu tremi tutta –

        EVELINA (subito): No!

        FERRANTE: Come no?

        EVELINA: No… scostati… smetti, Dio mio! non mi tormentare!

        FERRANTE: Ma dunque vedi che è vero?

        EVELINA: E che pretendi, se è vero? Ragione di più per ripartirmene, se mai – per me e per te!

        FERRANTE: Per me? No! Come?

        EVELINA: Ma sì! Anche per te… Perché io… (e non sa più come proseguire.)

        FERRANTE (incalzandola): Perché tu? Che vuoi dire?

        EVELINA (con grazia da innamorata, ma un po’ ambigua, da potersi anche in­terpretare come un espediente di estrema difesa): Vorrei poter venire ancora qua…

        FERRANTE: E come? Così?

        EVELINA (subito): Ah, per Aldo!

        FERRANTE: Per Aldo! – Grazie! – Non per me!

        EVELINA (con la grazia di prima): Anche per te; ma… così…

        FERRANTE: Grazie tante! Ah, grazie tante, così! Che vuoi che mi importi di mio figlio, se vieni per lui? Verrà lui da te! – Così non voglio più io allora!

        EVELINA (sempre con quel suo giuoco di grazia): Dovresti capire, che non sa­rebbe possibile altrimenti.

        FERRANTE: Ma perché? Se è vero che tu mi vuoi ancora bene?

        EVELINA (pronta, interrompendo): Appunto perché è vero!

        FERRANTE: E vuoi che ti lasci ripartire, che ti lasci ritornare là, se mi dici che è vero? No! no! (fa per abbracciarla.)

        EVELINA: No, lasciami… lasciami… Qua con te potrei esser di nuovo soltanto una folle!

        FERRANTE: Ma sì! ma sì! Com’io ti voglio! La mia piccola folle d’allora!

        EVELINA: E ti par possibile?

        FERRANTE: Perché no?

        EVELINA: Perché non sono più quella, da tanti anni…

        FERRANTE: E in questi otto giorni qua, come sei stata?

        EVELINA: Ah così… per otto giorni… Può sempre, in qualche momento, a una donna non brutta capitare… (e lascia il discorso in sospeso.)

        FERRANTE (spingendola a dire): Capitare, che cosa?

        EVELINA: Che so! Di vedersi guardata da qualcuno con una strana insistenza… e, colta all’improvviso, turbarsene; sentendosi ancora bella, compiacersene… Si può, senza che paja di commettere una colpa, in quell’istante di turba­mento o di compiacenza, carezzar col pensiero dentro di sé quel desiderio su­scitato; immaginare… così, come in sogno, un’altra vita, un altro amore… Ma poi… basta! La vista delle cose attorno, un minimo richiamo della realtà…

        FERRANTE: Ma non è anche questa, non è anche questa una realtà per te?

        EVELINA: No… sono come… non so…

        FERRANTE: Perché non vuoi toccarlo qua, in me, in te stessa, il tuo sentimento…

        EVELINA: Sono come lontana… lontana…

        FERRANTE: No! Tu devi essere qua!

        EVELINA: Non posso… non posso…

        FERRANTE: Mia! Mia! Mia!

        EVELINA: No, Ferrante – via! Basta… Ajutami, Dio mio! Intendendo che io debbo pure – debbo – poter tornare là!

        FERRANTE: E perché, là, sì? – Tu hai pure qua tuo figlio! E io sono tuo marito!

        EVELINA: Ah, ma non è la stessa cosa…

        FERRANTE: Come non è?

        EVELINA: Non è! Prima di tutto perché… guarda! – se io restassi qua con te – (e dovrei per forza restare, perché certo non potrei più, allora, ritornare là – tu lo intendi!) – ebbene, perderei per sempre ogni diritto di rivedere mia figlia. E sarebbe per me impossibile! – Poi, per me stessa…

        FERRANTE: Per lui, vuoi dire!

        EVELINA (subito, con forza): Ma non per lui! – Per te, anzi!

        FERRANTE (scrollando le spalle): Ma via… ma via…

        EVELINA (c.s.): Sì, sì, per te! per te e per me! Perché non potrei più dire – lo capisci – che vengo qua per Aldo, perché verrei, invece, realmente, per te! Mentre tu puoi esser sicuro che là vado solo perché c’è mia figlia…

        FERRANTE: Bello! Ah, un bellissimo ragionamento codesto! Grazie! Là dove andresti soltanto per poter rivedere tua figlia, là, sì! E qua, invece, dove ver­resti…

        EVELINA (subito, ostinata): Per te…

        FERRANTE (compiendo la frase): No!

        EVELINA (c.s.): No! – precisamente: – no! E non deve sembrarti soltanto un ragionamento, perché credi che è anche il mio sentimento, ed è sincero! Pensa che c’è pure mia figlia là!

        FERRANTE: Va bene; e Aldo, qua.

        EVELINA: Aldo… – Tu non puoi intenderlo, non puoi intenderlo, perché soltanto una donna – questo – lo può intendere. – Io sento che ci sei tu, in Aldo, nel mio amore per Aldo; mentre mia figlia, là, la sento sola! Ecco.

        FERRANTE: E perché è così, vuoi ora ritornare da quell’altro?

        EVELINA: Ma non che voglia! debbo! – È una necessità, che non è dipesa solo da me. L’hai riconosciuta tu stesso, santo Dio, ritornando; e anche accettata.

        FERRANTE: Finché non sapevo…

        EVELINA (subito troncando): Che cosa? Non mi forzerai a dire… Non posso mica dirti che cosa io sento là… Io debbo più, più che la gratitudine a chi m’ha difesa, protetta, salvata dalla disperazione in cui ero caduta per te, senza mai approfittare del mio stato, con una devozione…

        FERRANTE: Basta! basta! basta!

        EVELINA: No! È bene che tu lo sappia!

        FERRANTE: Ma me le ha decantate lui, non dubitare, tutte le sue benemerenze! – Non capisco però, come avendo tanta… tanta vita, quanta in questi giorni hai saputo ritrovarne in te – ti sia potuta acconciare a vivere là… con quello…

        EVELINA: Ma no, che c’entra! – Qua, con te… con questa vita senza né capo né coda… sfido! – Là, una vita tranquilla… Non ho mai neppur pensato di po­terne avere un’altra. Ho tanto da fare, da badare… Qua dai tu, tutto. Là do io; e ho la soddisfazione di farla io, agli altri, la vita…

        FERRANTE: Negandola a me! Perché a chi la darò più, io, la vita, se tu te ne vai.

        EVELINA (con slancio, posandogli le mani sulle spalle): Ma a me, a me, come l’hai data sempre anche quando non c’eri! – Sì… Tutta la vita – tutta la vita, che mi veniva da Aldo, perché era tuo – la tua vita! – Seguita a darla a lui, qua, e sarà come se la dessi anche a me! (Troncando, perché vede Aldo sulla soglia del portone della villa. Dalla soglia della villa Aldo, spòrgendo il capo, domanda:)

        ALDO: Pace?

        EVELINA: Pace, pace… sì.

        ALDO (balzando sulla scena e correndo a Evelina): Ah! Dunque resti? Viva la mammina!

        EVELINA: No… Parto…

        ALDO: Ma che partire più! Come parti, se hai fatto pace?

        EVELINA: Ma parto anzi per questo; perché ci siamo intesi!

        ALDO: No, no, senti, almeno fino a domani!

        EVELINA: Ma se ho tutto pronto su per la partenza!

        ALDO: E tu lascialo pronto! – Via, sì – concesso! concesso!

        FERRANTE: Niente affatto. Non ci siamo intesi. Non è vero! – Parte. E se vuoi partire anche tu con lei… Sono stato un pazzo, un pazzo a ritornare. Ero riu­scito così bene a strapparmelo dal petto il cuore e a calpestarlo, così, sotto il piede. Nossignori! Sono ritornato… (Con esasperazione, quasi gridando;) Non posso vedervi insieme! Ecco – eravate voi due… C’ero anch’io con voi, quando tu eri, così, piccino… Ora voi potete stare insieme – e io no, ne sono fuori! Perché lei deve poter ritornare là! Ebbene, ritorni là! ritorni là! (Silen­zio – lunga pausa. – Ma a questo scatto di disperata passione, Evelina, sen­tendosi tutta sconvolgere, reclina il capo e si mette a piangere. – Aldo le si accosta, le pone una mano sulla spalla, si china verso lei e non osa dir nulla. Ferrante – che s’è allontanato un po’ in fondo al giardino passeggiando – riesce a riprendersi, a dominarsi, s’accolta anche lui ad Evelina e le dice:) No, Eva… su, non voglio che tu pianga qua… Basta… Io, capisco, capisco… Ma alla vita che puoi avere qua, che hai ancora in te – e l’hai dimostrato, l’hai dimostrato in questi giorni, – bada che io non voglio rinunziare.

        EVELINA: Ah no! Non più! non più, adesso!

        FERRANTE: Come non più? io voglio!

        EVELINA: Ma io lo dico per te.

        FERRANTE: Non pensare a me. Ci stordiremo!

        EVELINA: No… no.

        FERRANTE: Sono gli unici istanti di vita che posso ancora darti… Figurati se ci rinunzio! Su via, su Aldo, a noi! (Prendono l’uno e l’altro Evelina per le braccia.)

        EVELINA: No, lasciatemi…

        FERRANTE: Qua, Eva non deve pensare. E quando tu sarai stanca là, d’essere mamma Lina: voglio, voglio, intendi, che ritorni ad essere qua la mia piccola, la mia piccola Eva folle. – Non per me, per te sola… – Basta… su… su…

        EVELINA: Ma no… dove?

        FERRANTE: Ma al solito…

        ALDO: Già! La volata, mammina! (Indica l’altalena:) Non abbiamo fatto oggi la volata. Ma resta inteso che tu non parti più per stasera – almeno questo sì! concesso… concesso!… Tutto domani e poi basta!

        EVELINA: E poi basta! Badate!

        ALDO: Sì, sì grazie, grazie, mammina: tutto domani, e poi basta! – Concer­tiamo subito subito una bella pazzia per stasera? – Sì!, mammina, vieni, vieni! (La tira col padre per la mano verso l’altalena infondo.)

        EVELINA: Ma no! ma no…

        ALDO: Qua, sull’altalena…

        EVELINA: Ma no…

        ALDO: Sì, sì… (La fa montare.) Perché ti venga una bella idea volante, mam­mina! (La spinge.) Su… oplà… là…

        Suona il campanello al cancello. Ferrante, rimasto fosco e taciturno sul da­vanti della scena, si volta al suono, e poiché è lì presso, e vede davanti al cancello un signore, si reca ad aprire. Si fa avanti l’avvocato Giorgio Armelli.

        FERRANTE: Desidera?

        ARMELLI: Sono l’avvocato Giorgio Armelli… Vengo da Firenze.

        EVELINA (voltandosi dall’altalena e scorgendolo): Ah, Dio… Ferma, ferma, Aldo… – C’è l’avvocato!

        ARMELLI (vedendola andare sull’altalena): Uh… Dio mio… Signora Lina!

        ALDO: Oh guarda, l’avvocato!

        EVELINA: Ma, Aldo, ti dico ferma!

        ALDO: Ecco, mamma… Tieni conto che m’alzo adesso dal letto… (Fingendosi convalescente, debolissimo, riesce a fermar l’altalena.) Ecco, scendi…

        EVELINA (riassumendo, come può, tutta la sua aria di dignitosa signora): Mi scusi tanto, avvocato!

        ARMELLI: Ma no… di che?

        EVELINA (indicando Aldo): Lei sa com’è matto… Ha voluto farmi provare… (indica l’altalena.)

        ALDO: E metta che sono ancora debolissimo! Posso ben dire d’averla scampata bella, caro avvocato!

        ARMELLI: Mi… mi congratulo…

        EVELINA: Segga, segga, avvocato.

        ARMELLI: No, grazie. Ho di là la carrozza… (indica fuori del cancello.) Me ne riparto tra un’ora per Firenze. (Poi imbarazzato, perché non è stato ancora presentato a Ferrante:) Ma io… veramente…

        EVELINA: Ah, già, scusi… (Presentando:) L’avvocato Giorgio Armelli – mio… mio marito, Ferrante Morli.

        FERRANTE (con un riso poco invitante): Il socio?

        ARMELLI: Sissignore… Da tanti anni, socio dell’avvocato Lello Carpani. – For­tunatissimo, signor Morli.

        EVELINA: E sarà venuto per affari professionali, m’immagino, avvocato…

        ARMELLI: No, ecco… No, e sì – veramente… Avevo un affaruccio da sbrigare e l’ho sbrigato. Venivo per prendere notizie e anche per darne, perché – lei può immaginarsi – siamo stati tutti, là, in gran pensiero.

        FERRANTE: E si figuri noi qua, caro signore!

        ARMELLI: Ah, lo credo, lo credo… Ma vedo che, grazie a Dio, Aldino, adesso…

        ALDO: Ah no, sa! Non sto mica ancora bene, io…

        ARMELLI: Eh, ma, via – puoi contentarti… Mentre… ecco, a Firenze… a Firenze, corrono anche là per i ragazzi certe malattie…

        ALDO (scoppia in una gran risata).

        EVELINA (in tono di rimprovero): Ma, Aldo!

        ALDO (ridendo sempre): E non capisci, mamma, che cosa viene a dirti? Che s’è ammalata la Titti, adesso, a Firenze!

        E seguita a ridere, a ridere, comunicando il riso a Ferrante e poi anche ad Evelina, per quanto lei forse non voglia.

        EVELINA (mentre la risata involontaria le muore sulle labbra): Anche la Titti là adesso?

        ARMELLI (rimasto imbarazzato, mortificato, tentando di sostenersi): No ecco… veramente…

        EVELINA (per scusare il figlio): Lei vede bene, avvocato, che questo briccone qua… (indica Aldo, sottintendendo «Non è stato mai malato».)

        ARMELLI: Già, ma io, ecco… posso assicurare…

        ALDO (subito sopraffacendolo con voce goffa): Ma sì! Malattiacce, malattiacce, caro avvocato, che sogliono venire ai figli, quando la mamma è lontana.

        ARMELLI: Già, sì…

        ALDO: E sa come si chiamano? «Mammanconìe».

        EVELINA: Vede che bel tipo, avvocato?

        ALDO: No, scusa! Un bel tipo anche lui, allora, se si serve dello stesso mezzo!

        FERRANTE: Eh, mi pare!

        ARMELLI: Ma no, scusi… E che propriamente…

        EVELINA (subito): Dio mio, avvocato, lei non mi vuol dire che la Titti è amma­lata davvero?

        ARMELLI: No, no… E che chiede, chiede molto di lei, ecco! Si sa, la mamma…

        ALDO: Ecco, dunque, vede? «Mammanconìa». Dica così.

        EVELINA: Sì, Aldo, ma per concludere allora, ch’io me ne debbo ripartire subito – ora stesso!

        ALDO: No!

        EVELINA: Sì!

        ALDO: Se la Titti non ha niente…

        EVELINA (rivolgendosi recisamente all’Armelli:) Ha detto che ha fuori la vet­tura, avvocato?

        ALDO: Avevi promesso…

        EVELINA: Basta, Aldo. (Ad Armelli): Vengo subito con lei. Avevo già deciso di partire questa sera. Ho tutto pronto su. M’aspetti un momento. (Via di fretta per il portone della villa.)

        ARMELLI: Ecco… veramente la ragazza…

        ALDO: Ammalata?

        ARMELLI: Ha avuto una febbretta due giorni fa.

        ALDO: Ma passata adesso?

        ARMELLI: Sì, passata… Ma mia moglie la tiene a letto per precauzione.

        FERRANTE: Per carità, non la turbino senza ragione… Non le dica nulla durante il viaggio, la prego, di questa febbretta già passata…

        ARMELLI: No, no, stia sicuro… nulla!

        ALDO: Scommetto, avvocato, che non è neanche vero che la Titti la chiede così molto, come ha detto lei.

        ARMELLI: Ah, no! per questo ti posso assicurare…

        ALDO: Ma non fino al punto che la mamma non possa star qui neanche per un altro giorno… Guardi, avvocato, andremo tutti e quattro a cena questa sera. Venga, venga con noi!

        ARMELLI: Ma che! No, non è possibile!

        Sopravviene Evelina pronta per partire, seguita da Ferdinando che attraver­sando la scena recherà la borsa da viaggio alla carrozza che si suppone fuori del cancello.

        EVELINA: Che cos’è?

        ALDO: Senti, mamma, l’avvocato dice che non c’è da avere tanta fretta, e che vorrebbe venire, dice, a cena con noi, fuori, questa sera…

        ARMELLI: Ma no! io?

        ALDO: Come no! Lei…

        ARMELLI: Ma se ho preso finanche il biglietto per partire, figliuolo mio! Impos­sibile!

        EVELINA: Non gli dia retta. Non dia retta a questo matto, avvocato. Andiamo, andiamo… (A un pensiero che le sovviene improvviso: E tirandosi Aldo in di­sparte:) Ho visto nella valigia una gran confusione… certe… sì, pazzie… che tuo padre ha voluto comperare per forza… Non posso portarmele là… A le­varle non facevo a tempo. Lascio tutto. Le leverai tu, e mi spedirai la valigia domani. Mi porto solo la borsa da viaggio.

        ALDO: Sì, sì. Brava! Così resta qua la roba ad aspettarti, mammina!

        EVELINA: Ah, no, caro! Adesso t’aspetto io a Firenze.

        ALDO: Che! Non finisce il mese che sono di nuovo ammalato.

        EVELINA: Eh, no – basta… Con questo gancio non mi tiri più, sai!

        ALDO: Eh, ma ne abbiamo tanti altri! Guarda! (rivolgendosi a Ferrante:) Papà, tu quando hai detto che partirai?

        FERRANTE: Io?

        ALDO: Ma sì, per quel viaggio che mi hai detto che devi fare in Spagna… per le piriti… non so…

        FERRANTE: Ah sì! Ai primi del mese venturo forse…

        ALDO: Capisci, mamma? Resterò solo per una ventina di giorni. E tu verrai a tenermi compagnia almeno per una settimana! Ecco fatto!

        EVELINA: Sì, sì… va bene, va bene. Dammi un bacio per ora e lasciami andare, che l’avvocato ha fretta. (Lo abbraccia e lo bacia.)

        ALDO: L’avrei fatto divertire tanto io stasera, avvocato!

        ARMELLI: Eh, caro… Tu sei giovane. Addio, addio.

        EVELINA (accostandosi a Ferrante): Addio, anche a te…

        FERRANTE (piano): No, a rivederci!

        EVELINA: Andiamo, avvocato! Addio, Aldo.

        ALDO: T’accompagno fino alla carrozza.

        ARMELLI (saluta Ferrante che inclina appena il capo): Tanti ossequii. (Via con Aldo ed Evelina.)

        Ferrante resta solo nel giardino. Si ode fuori del cancello una cara allegra risata di Evelina, certo per qualche cosa che le avrà detto Aldo. Nel giardino è già quasi sera. Rientra dal cancello prima Ferdinando, che attraversa la scena per riuscire dal portone della villa, poi Aldo.

        ALDO: Partita…

        I due uomini, soli, non sanno più né che cosa dirsi, né che cosa fare. Nella tristezza del barlume crepuscolare, come una bolla che assommi silenziosa­mente, s’accende il globo di luce elettrica in cima al portone.

Tela

1920 – La signora Morli, una e due – Commedia in tre atti
Premessa e trama
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

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