La signora Morli, una e due – Personaggi, Atto primo

Premessa e trama
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

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La signora Morli, una e due - Atto I
Silvano Tranquilli, Giulio Bosetti, La signora Morli, una e due, 1972.

Personaggi

Evelina Morli
Ferrante Morli, suo marito
Lello Carpani, avvocato
Aldo Morli, figlio di Evelina e di Ferrante
Titti Carpani, figlia di Evelina e di Lello
Decio, amico di Aldo
L’avvocato Giorgio Armelli, socio del Carpani
Lucia Armelli, sua moglie
La Signora Tuzzi, amica di Evelina
Lisa, vecchia cameriera
Ferdinando, cameriere
Toto
Una giovane, la signora vedova, una vecchia zia, la nipote, Miss Write.

Il primo e il terzo atto si svolgono a Firenze, il secondo a Roma. Oggi.

1920
La signora Morli, una e due
Atto Primo

        Ricco salotto in casa dell’avvocato Carpani. La comune è nella parete di fondo, verso sinistra. Due usci laterali. Quello a destra dà nello studio del Carpani.

        Al levarsi della tela, la scena è vuota. Entrano dalla comune Lisa, vecchia domestica con la cuffia e gli occhiali, stupida e pedante, e Ferrante Morli, bell’uomo, forte, sui quarantacinque anni, sbarbato, con folti e ricci capelli, già tutti grigi, vestito con eleganza un po’ abbondante, all’ americana. È in preda a una viva ansietà, ma si sforza di dominarla. Questo sforzo lo fa appa­rire più d’un po’ strano e distratto.

        LISA (dando passo sulla soglia a Ferrante): Ecco, entri qua. Chi debbo annun­ziare?

        FERRANTE: Ah, sì… Pedretti, l’ingegner Pedretti. Sono tutti in casa?

        LISA: Dice anche la signora?

        FERRANTE (con foga): La signora, già! (Contenendosi:) Anche… anche la si­gnora.

        LISA: Sissignore. Credo che sia in casa. Ma lei, scusi, con chi vuol parlare pro­priamente?

        FERRANTE (in fretta): Con l’avvocato, con l’avvocato.

        LISA: Va bene. S’accomodi. Vado ad annunziarla. – Ha detto, mi pare…?

        FERRANTE: Che cosa? – Niente.

        LISA: No. Il nome, scusi. L’ingegnere, come ha detto?

        FERRANTE (senz’imbarazzo, cercando di ricordare): Ah, Pe… Pedretti mi pare d’aver detto.

        LISA (lo guarda stupita, come se domandasse: «Ma come! Non ne è sicuro?»).

        FERRANTE (notando lo stupore, con stizza): Non si confonda, per carità! Sono un po’ distratto.

        LISA: Ingegnere?

        FERRANTE (sbuffando): Dio mio, l’avvocato non mi conosce! (Poi, di scatto, come per darle una lezione:) Lei, scusi, come si chiama?

        LISA: Io? Lisa.

        FERRANTE: E che vuole che importi a me che non la conosco, che lei si chiami Lisa, o che si chiami, poniamo, Beatrice? – Dica che c’è un signore che vuol parlargli, e basta così!

        LISA: Eh, lo so; ma è che il signor avvocato mi rimprovera quando non so ripe­tergli con precisione i nomi dei signori clienti. – Pedretti… l’ingegner Pe­dretti…

        Così dicendo quasi tra sé, s’avvia verso l’uscio a destra; fa per picchiare con le nocche delle dita, ma se ne trattiene, perché dall’uscio a sinistra irrom­pono, gridando e ridendo, Aldo e Decio, entrambi sui diciott’anni, elegantis­simi; in maniche di camicia, con le racchette in mano.

        ALDO (tenendo in una mano dietro la schiena una palla di tennis, che Decio vorrebbe strappargli): No, no! Non te la do! non te la do!

        DECIO: Ma tocca a me ora, scusa!

        ALDO: No! Tu non l’hai ripresa! Non te la do!

        DECIO: Sfido, me l’hai buttata male! Dammela! dammela!

        LISA (che s’è turata le orecchie allo schiamazzo, alzando ora le braccia e fa­cendosi avanti): Per favore, non mi fanno sentire se il signor avvocato ri­sponde!

        FERRANTE (non riuscendo più a dominarsi fin dall’irruzione dei due giovanotti, facendosi avanti anche lui e dicendo quasi a se stesso, sospeso e sorridente, con gli occhi ora all’uno ora all’altro): Vorrei indovinare… vorrei indovi­nare…

        DECIO (con sorpresa, scorgendo ora soltanto il visitatore, rivolgendosi a Aldo): Oh! E chi è il signore?

        FERRANTE (c.s.): Vorrei indovinare…

        ALDO (stordito): Che cosa?

        Lisa approfitta di questa pausa per picchiare all’uscio a destra. Poco dopo lo aprirà e andrà via, richiudendolo.

        FERRANTE (ponendosi davanti l’uno e l’altro giovanotto e seguitando a guar­darli con ansietà sempre più viva e commossa): Ecco… mi permettano… così accanto… (Poi, dopo aver guardato ancora, bene, l’uno e l’altro negli occhi, posando una mano sulla spalla di Decio, gli domanda:) Aldo? sei tu?

        ALDO: No, scusi: Aldo sono io.

        FERRANTE (deluso, che la cosi detta «voce del sangue» lo abbia tradito): Ah – lei?

        ALDO (ridendo): Oh, bella! E perché, se Aldo era lui (indica Decio) gli dava del tu e, sapendo che sono io, mi da del lei? (Ma Decio all’improvviso, ap­profittando della distrazione di Aldo, gli strappa la palla di mano. Tutt’e due, allora, gridando, prendono a inseguirsi, girando attorno a Ferrante.)

        DECIO: Ah! Eccola, me la riprendo!

        ALDO: No! Questo è un tradimento!

        DECIO: Te l’ho fatta! Te l’ho fatta!

        ALDO: No! Ridammela! Ridammela!

        FERRANTE (sorridendo tra i due, sballottato): Signori miei… signori miei… A questo punto, l’uscio a destra si spalanca e ne vien fuori l’avvocato Lello Carpani, irritatissimo. E anche lui sui quarant’anni, molto posato, avvocato di grido, che sa come bisogna comportarsi per farsi valere. Sarebbe, o vor­rebbe essere ben altro, se non stimasse pericoloso abbandonarsi alle velleità letterarie della sua prima giovinezza piuttosto romantica. La quale s’intra­vede ancora da certi mezzi sorrisi, e da come si passa la mano sui capelli, ch’eran tanti e che sono pochini ormai, ma ben rassettati, con la scrimina­tura da un lato e un ciuffetto sulla fronte. La posizione. Tutte le apparenze da sostenere e da rispettare. E come si fa, Dio mio! È pur necessaria questa grande serietà, che contiene tanta segreta malinconia.

        LELLO: Ma Aldo, vergogna! A un signore in visita…

        ALDO (a Ferrante): Oh, già! Scusi. – M’ha strappato la palla, ha visto?

        FERRANTE: Ma io godo moltissimo…

        LELLO: No, la prego: non dica così, perché è una vera indecenza…

        ALDO: Hai ragione, papà. Torno a chiedere scusa al signore.

        LELLO: Ti prego di tacere. Basta a denunziare la tua sconvenienza il fatto che mi giuochi a tennis in camera!

        ALDO: No, permetti?

        LELLO: Basta così!

        ALDO: M’accusi di sconvenienza… Ti prego di guardare! (S’accosta d’un balzo a Decio e gli strappa di mano la racchetta per mostrarla a Lello insieme con la sua.) Di chi sono queste racchette?

        LELLO: Che vuoi che sappia di chi sono!

        ALDO: Questa, della mamma; e questa di Muci.

        LELLO (scattando): Ma che Muci! Si chiama Titti!

        ALDO: Titti, sì: muci-muci – Me le ha lasciate in camera; con la palla. Non c’è caso che a me sarebbe venuto in mente di giocarci, senza questo disordine. E di’ tu, Decio, dov’erano posate?

        DECIO (ipocrita): Ma… non so se debba dirlo…

        ALDO: No, dillo! dillo!

        DECIO: Eh… veramente… sul letto…

        ALDO: Hai capito? Con la palla! Cose che non dovrebbero essere ammissibili in una ragazza governata da Miss Write. Signore, la ossequio. – Vieni, Decio! Via tutti e due dall’uscio a sinistra. Lello resta male.

        FERRANTE: Eh, la gioventù!

        LELLO (pigiando sulla parola): D’oggi! Che vale quanto dire arroganza, impu­denza, petulanza!

        FERRANTE: Anche quella di jeri, là!

        LELLO: No, prego! Sono stato anch’io giovane, e mi sentirei, creda, d’esser tuttora giovanissimo; ma gli eccessi, proprii della gioventù, erano, almeno per me, di ben altro genere.

        FERRANTE: Secondo nature. Mi sa che quel giovanotto debba tener molto da suo padre.

        LELLO (impuntandosi): Ah, lei è a conoscenza che non è mio figlio?

        FERRANTE: Sì. So che…

        LELLO: Ha conosciuto forse il padre?

        FERRANTE: Sissignore. E vengo anzi, se permette, a nome di lui…

        LELLO (tirandosi indietro e quasi parando con la mano la notizia inattesa): Di lui? Che dice? Di Ferrante Morli?

        FERRANTE: Non s’allarmi, prego!

        LELLO: È ritornato?

        FERRANTE: Sissignore.

        LELLO: Ferrante Morli è ritornato? Ma come? dove? quando è ritornato?

        FERRANTE: Da sei giorni.

        LELLO: Da sei giorni? E dove? Qua?

        FERRANTE: Non qua. Ha mandato me. Si calmi, per carità; mi lasci dire.

        LELLO (senza dargli ascolto, indietreggiando e squadrandolo): Manda lei? E che vuole? Che cosa può pretendere dopo quattordici anni?

        FERRANTE: Ecco: niente! Vorrei che mi lasciasse dire…

        LELLO: Ma che mi vuol dire! che mi vuol dire! È uno scompiglio! Uno scon­quasso, ora… (casca a sedere.) Uno ch’era sparito, lei lo capisce? cancellato dalla memoria, come se fosse morto…

        FERRANTE (con strana espressione): Ecco, precisamente.

        LELLO (stordito, voltandosi a guardarlo): Che, precisamente?

        FERRANTE: Quand’uno parte (come partì lui) e ritorna dopo quattordici anni…

        LELLO (balzando di nuovo in piedi): Si ha tutto il diritto di considerarlo come morto!

        FERRANTE (con l’espressione di prima): Ecco, precisamente.

        LELLO: Lei sa come se ne partì? Saprà anche, allora, che fui io a cavarlo dal carcere!

        FERRANTE: Ah no, questo, scusi…

        LELLO: Sissignore! Minacciato d’arresto…

        FERRANTE: Se ne partì…

        LELLO (con forza): Se ne fuggì! E allora lo cavai io, qua, da tutto quel grovi­glio d’imprese spallate, per cui non aveva veduto altro scampo che nella fuga.

        FERRANTE (turbato, ritenuto, come sospeso in una costernata meraviglia): Ah, lei… lei riuscì a chiarire la situazione del Morli?

        LELLO: Io! sissignore!

        FERRANTE: Ma… so che c’era anche un forte ammanco – distorsione d’altri, lei lo saprà – ma di cui purtroppo il responsabile era lui.

        LELLO (mostrando di non volersi indugiare nella discussione risponde, seccato, come se per lui la cosa non abbia importanza): Per quell’ammanco inter­venne la moglie.

        FERRANTE (facendo un violentissimo sforzo su se stesso per dominare lo stu­pore e la commozione): La moglie? Come?

        LELLO (c.s.): Con la dote. Contro il mio parere, badiamo. Non avrei voluto a nessun costo.

        FERRANTE (non riuscendo a nascondere il dolore e la commozione): Ma sì! Fu male! Non doveva mai! (Con ansia:) E allora… allora la signora perdette la dote?

        LELLO (dopo averlo osservato un po’; con freddezza): No, non la perdette… Ma lei forse ha da comunicarmi qualche cosa, per cui questa notizia la turba tanto?

        FERRANTE (cercando di riprendersi per rimediare): No… è… è che lui ignora affatto che la moglie… Mi disse anzi, ch’era sicuro, allontanandosi forse per sempre, ch’ella – almeno materialmente – mercé la dote che le restava intatta e cospicua, non avrebbe patito di quella sua rovina. (Di nuovo con ansia:) Ma lei mi dice che non la perdette?

        LELLO: Grazie a me, non la perdette, caro signore. Se si fosse rivolta a un av­vocato meno scrupoloso…

        FERRANTE (con fervore di gratitudine): Ne sono convinto! ne sono convinto!

        LELLO (interpretando male quel fervore): Oh, sa? tanto per prevenire qualche sottintesa ironia…

        FERRANTE (subito): Ma no! Per carità!

        LELLO: No, dico, se mai! posso dichiararle senz’ambagi che m’interessai tanto alla sorte della signora, abbandonata a ventitré anni, con un bambino di quat­tro, sola, bella, inesperta…

        FERRANTE (con uno scatto inconsulto): Inesperta, no! (Poi subito, per rime­diare:) Per quanto io ne sappia!

        LELLO: Basta a dimostrarlo il fatto che voleva dar via, così senz’altro, la sua dote…

        FERRANTE: Ma potè anche essere per amore del marito…

        LELLO: Ah, sì… questo sì… difatti…

        FERRANTE: Mi duole – badi! – doverlo riconoscere, perché il Morli… – eh, lo conosco bene! «La vita, a chi resta; la morte, a chi tocca»! – era questo il suo motto; per significare che non dobbiamo più impacciarci di chi se ne va.

        LELLO: Precisamente! Ma non fu così per lui! E so io quel che dovetti penare per far valere – prima su quell’intenzione di sacrifizio; poi, a poco a poco, sui sentimenti della signora – quell’interesse che, come le dicevo, presi subito alla sua sorte (reciso con forza:) per amore, sì – non esito affatto, ripeto, a dichiararlo – per l’amore che mi nacque improvviso allora per lei – giovane anch’io… (Subito:) Badi, però; poteva essermi di vantaggio ch’ella sacrifi­casse al marito scomparso la sua dote, e si riducesse povera e bisognosa di ajuto e di sostegno. – Non volli! La difesi contro me stesso!

        FERRANTE: Ah, bello!

        LELLO: Le feci costituire la dote a garanzia dei creditori; domandai una dila­zione per dipanare tutta quella matassa arruffata d’affari; mettere in chiaro le spese, coprir quell’ammanco… – Un anno d’inferno! – Non certo – lei capirà – per salvare il signor Morli!

        FERRANTE: Ma giustissimo! Per salvare la dote!

        LELLO: La dote, sì, ma perché lei potesse disporre di sé, non solo liberata da ogni difficoltà materiale, ma anche secondo la sua elezione, senza più nessun ostacolo a ricongiungersi, se voleva, col marito, richiamandolo a sé, in patria, senza più pericolo che fosse arrestato.

        FERRANTE: Bello! Ah bello! Bello!

        LELLO: No – ecco… onesto; e – creda – non facile!

        FERRANTE: Se permette, io dico bello. – Onesto, mi scusi, se lei non avesse amato la signora.

        LELLO: Anzi perché l’amavo!

        FERRANTE: Lei, sì; ma la signora? la signora, è chiaro che doveva ancora amar molto, molto suo marito!

        LELLO (con stizza, subito): Gliel’ho già detto io stesso, mi pare!

        FERRANTE: Appunto. E perciò bello! Lei, mi perdoni, forse non sentì tanto il bi­sogno dell’onestà, quanto di farsene bello di fronte a quell’amore di lei, quasi per sfidarlo col paragone tra la viltà del marito che se n’era scappato e code­sta sua abnegazione che glielo ridava libero di ritornare a un suo richiamo.

        LELLO: Ebbene? Quand’anche fosse così?

        FERRANTE: Ah no, niente! Per chiarire la mia idea…

        LELLO: Ma nient’affatto! Perché non m’arrestai qua, io, caro signore! Dopo averlo cavato dagli imbrogli, fui ancora io ad avviar tutte le ricerche possibili e immaginabili presso i nostri consolati per rintracciarlo all’estero e fargli sa­pere che poteva ritornare tranquillo a casa sua! Le ho detto perciò che io, io più di tutti, ho il diritto di considerarlo come morto!

        FERRANTE: Già! Ma veda, non era possibile, ch’egli avesse notizia di codeste ricerche…

        LELLO: Voglio essere franco in tutto. Contai su questa… non dirò impossibi­lità…

        FERRANTE: Ma sì, impossibile! E del resto, quand’anche codeste ricerche lo avessero raggiunto, lui non sarebbe ritornato lo stesso. Perduto ogni credito, rovinato per colpa d’altri più che sua, non si sarebbe mai acconciato a vivere qua sulla dote della moglie.

        LELLO: Ma se ora è ritornato, scusi, prima della prescrizione di quella con­danna che s’aspettava e per cui era fuggito?

        FERRANTE: È segno, lei dice, che deve aver saputo che nessuna condanna più pendeva su lui?

        LELLO: Mi pare!

        FERRANTE: Lo seppe, difatti, pochi mesi or sono; e s’affrettò a liquidare i suoi affari per il ritorno.

        LELLO: Ma sperando che cosa? Dopo…

        FERRANTE (interrompendolo subito): Ecco… mi lasci dire! Dopo quattordici anni, vuol farmi osservare; spezzato ogni vincolo…

        LELLO (con impeto): Non si sarà mica aspettato che la moglie stesse ancora in attesa di lui! Da pazzo – una simile speranza! Perché morta tutt’al più – ecco, morta – avrebbe potuto trovarla, se contava ch’ella fosse innamorata di lui fino al punto di poterlo aspettare per quattordici anni, così, senza saperne più nulla!

        FERRANTE (dopo aver tentato parecchie volte d’interromperlo, invano): Quel che dico io! Quel che dico io!

        LELLO (c.s.y. Ma no, caro signore! Bisogna non aver niente qua (si picchia sul petto) per non immaginare che il cuore d’una donna innamorata, d’una mo­glie giovane, che si vede abbandonata da un momento all’altro, col suo bam­bino, avrebbe potuto schiantarsi, schiantarsi – come difatti rischiò di schian­tarsi! – Questo lei non lo sa, caro signore, e che io mi dibattei nella dispera­zione per più di tre anni, a vedermela morire per un altro, che – spassi, estri, follie; uh! cinque anni di vita in comune, tutt’un giuoco d’artifizio: pim! pam! – Si fa presto così a prendersi tutta l’anima d’una donna! E ora lei viene a dirmi, calmo calmo, che quest’uomo non vuol niente!

        FERRANTE: Ha ragione! ha ragione, avvocato! Ma scusi, quando uno dice niente! Meno di così?

        LELLO: No, io rispondo a ciò che m’ha detto lei: che il signor Morli s’è affret­tato a ritornare. – Ricco di nuovo, eh?

        FERRANTE: Sì, ricco…

        LELLO: È pronto, è vero, a riprendersi, come se non fosse avvenuto nulla, la moglie, il figliuolo…

        FERRANTE: Ma no, santo Dio! Pronto ad accettare, ritornando, tutto ciò che la sorte, i casi della vita gli avrebbero fatto trovare.

        LELLO: Glielo dico io che cosa gli hanno fatto trovare!

        FERRANTE: Ne è già informato… (Si presenta a questo punto sulla soglia della comune Lisa.)

        LISA: Permesso, signor avvocato?

        LELLO ’(voltandosi di scatto): Che cos’è?

        LISA: C’è un signore…

        LELLO: Non posso, non posso dare ascolto a nessuno in questo momento. Chi è?

        LISA (smarrita): Il signor Filo… Filoni…

        LELLO: Finali! Finali! Ditegli che torni più tardi. Via! (Lisa si ritira. -A Fer­rante, con forza, riattaccando:) Da undici anni la signora convive con me!

        FERRANTE: Sì sì, va bene.

        LELLO: No, aspetti! Trattata, considerata, rispettata da tutti come una legittima moglie!

        FERRANTE: E madre anche…

        LELLO: Sissignore, d’una ragazza che ha ora sette anni: mia figlia!

        FERRANTE: Va benissimo. Dunque…

        LELLO: No. Aspetti. Ho fatto da padre in tutto questo tempo al suo figliolo – quel giovinotto che lei ha veduto e riconosciuto anche… eccessivamente vi­vace come il padre – sì, purtroppo!

        FERRANTE: Tutte queste cose, le dico…

        LELLO: Aggiungo, no, aggiungo che profittando delle ricerche riuscite vane, trascorso il tempo che la legge prescrive per la ricomparsa del coniuge, avrei potuto anche regolare legalmente col matrimonio la situazione mia e della si­gnora…

        FERRANTE: Ecco, già. E sarebbe stato bene, io credo, che lei lo avesse fatto.

        LELLO: Perché? Per dare al signor Morli adesso la soddisfazione di farlo annul­lare?

        FERRANTE: Ma no, scusi, avvocato. Se sono qua per farle sapere che il signor Morli, informato di tutto al suo arrivo, vuole che tanto lei quanto la signora stiano tranquilli e sicuri ch’egli non darà la minima ombra e non farà nulla, da parte sua, per alterare le condizioni di vita che si sono stabilite durante la sua assenza…

        LELLO: Ah, per questo vorrebbe che io avessi anche legalizzato la mia unione? Le dico che, per il solo fatto del suo ritorno, il mio matrimonio, adesso, sa­rebbe annullato.

        FERRANTE: Già, ma io dico, veda, per la sua figliuola, avvocato. Non m’intendo di legge; ma ritengo che, annullato il secondo matrimonio, contratto in buona fede per la scomparsa, come lei dice, del primo coniuge, i figli di questo se­condo matrimonio, non perdono, è vero?, il diritto della loro legittimità.

        LELLO: No, no!

        FERRANTE: Sarebbe iniquo! Ora, non avendolo lei fatto, la sua figliuola…

        LELLO (prevenendo, dopo avere stentato a comprendere): Già! È naturale… Ora non potrei più farlo… Ma questo importa fino a un certo punto. La mia figliuola è riconosciuta, e basta così. È donna; troverà marito… Se fosse stato un maschio, forse, non mi sarei fatto scrupolo di richiamar la madre a consi­derare una condizione di fatto, su cui, capirà, per mia delicatezza, ho rifug­gito sempre dal richiamarla… – Non perché non fossi sicuro di lei! Ma per­ché… fare il nome di quell’uomo… venire a un atto che importava, da parte di lei, così nell’incertezza, doversi considerare come vedova di colui… – m’era odioso.

        FERRANTE: Ah, ecco…

        LELLO: Tanto più che non ne abbiamo sentito proprio bisogno per la stima ch’ella, grazie a Dio, gode intera, accanto a me, presso tutti. (Riscaldandosi:) È questo, è questo ora lo scompiglio vero, che mi porta il signor Morli col suo ritorno! Mi manda a dire che non vuol niente; che non darà la minima ombra! Ma come vuole che non dia ombra? – Col suo ritorno cangia tutto.

        FERRANTE: No, perché? Non cangia nulla.

        LELLO: Cangia tutto! Per forza! Finché lui non c’era – passati ormai tanti anni – sparito – forse morto – la situazione della signora qua con me era divenuta agli occhi di tutti quasi normale.

        FERRANTE: Già! Ma non vedo…

        LELLO: Come non vede? Ora diventa falsa, col marito di nuovo qua!

        FERRANTE: No, dico, scusi, non vedo che cosa possa farci lui… il Morli…

        LELLO: E non la mette lui, adesso, in questa falsa situazione?

        FERRANTE: Non lui, scusi…

        LELLO: Lui, lui! Perché avrebbe potuto ritornar subito! Questa situazione è stata determinata, provocata dal suo abbandono!

        FERRANTE: Già… ma per impedirlo non credo che lei possa pretendere ch’egli arrivi fino al punto di sopprimersi!

        LELLO: Non pretendo questo! Penso alla reputazione della signora!

        FERRANTE: Capisco! capisco!

        LELLO: Non negherà che ora ella si troverà a convivere, davanti a tutti, con un uomo che, legalmente, non è suo marito.

        FERRANTE: Ma questo è di fatto, scusi!

        LELLO: Nossignore! Di fatto, finora, questo marito non esisteva; nessuno ci pensava più! Ero io per tutti, di fatto, il marito! Ora invece, con lui di nuovo qua…

        FERRANTE (stringendosi nelle spalle): Che vuole che le dica… Mi dispiace…

        LELLO (non riuscendo a darsi pace): È stata da anni, da anni, la mia cura più assidua… Tutta la mia passione per questa donna… (Andando innanzi a Fer­rante quasi aggredendolo:) Sa! avrei saputo farle anch’io, le follie, quelle che forse a lei un tempo piacevano, nel marito! – Nossignori: frenarla, comporla, questa passione, per guadagnarle con la correttezza di tutte le forme, il rispetto della società. – Ora viene lui, e addio! – lo divento l’amante. – Que­sta donna, ha il marito, e convive con l’amante!

        FERRANTE: Lei se n’ha per male, scusi, come se l’amante, intanto, non fosse lei!

        LELLO: Nossignori! Perché per me, ormai è come una moglie!

        FERRANTE: Appunto… Ma mi pare che tra lei e il marito, questo fatto dovrebbe dispiacere più al marito, che a lei.

        LELLO: Ma che vuole che dispiaccia a lui, se mi manda qua uno a dirmi che non glien’importa nulla!

        FERRANTE: Ah no! no! che non glien’importi nulla, signore, io non gliel’ho detto! Il Morli è disposto…

        LELLO: A ripartirsene?

        FERRANTE: No! Ah, no! Basta! Quanto a ripartirsene, stia sicuro che non se ne riparte più!’

        LELLO: E allora? – Disposto a che cosa? – Ma dunque vede che è vero, lei che mi diceva di no?

        FERRANTE: Io? Che cosa?

        LELLO: È pazzo! È pazzo! Ah, è venuto anche sul serio con l’intenzione di ri­prendersi la moglie?

        FERRANTE: Ma no!

        LELLO (senza dargli tempo): Aspetti! aspetti! Abbia pazienza un momento, caro signore!

        Esce concitatamente per l’uscio a sinistra. Ferrante Morli resta interdetto e sospeso su quello che ora avverrà. – Poco dopo, dalla comune, si precipita la Titti – bella ragazzetto di sette anni – vestita di bianco come una farfalla – seguita dalla sua governante inglese Miss Write, giovane e bella, ma asside­rata in una dolente rigidezza.

        TITTI (accorrendo e abbracciando per di dietro Ferrante): Buon giorno, papà, buon giorno! (Poi, tirandosi indietro, e irrigidendosi anche lei, come la sua governante, appena Ferrante le si mostra:) Oh, prego, scusi!

        MISS WRITE: Ma Titti!

        FERRANTE:  Niente – bella bambina!  (Ammirandola:) Ah, deliziosa… – Ma guarda! Sai che somigli molto – molto (volgendosi a Miss Write:) – curioso! (riguardando la ragazza:) ma sì, a quel birbante che ti chiama muci-muciì

        TITTI (alzando una mano come una bambola inorridita): Ah!

        MISS WRITE: Shocking. Non retto dire così, signore. (Rivolgendosi alla Titti:) Make your compliments and let us retire.

        FERRANTE (comprendendo molte cose sulle condizioni del figlio in quella casa, dice con ironia): Ah, bene… – Non credevo, scusi…

        Rientra dall’uscio a destra Lello, seguito da Evelina. La signora Morli ha circa trentasette anni. E quale i casi della vita e la compagnia d’un uomo malinconico, posato e scrupoloso come Lello Carpani l’hanno ridotta: vale a dire seria, contegnosa, compresa del rispetto che una donna e una madre co­sciente dei suoi doveri verso la società e la famiglia, deve ispirare con la sua dignità inappuntabile, temperata però da un misurato languore nello sguardo, nella voce, nei sorrisi, di nobile compatimento, ispirato da non si sa quale soave rimpianto lontano. Tutto questo, si badi, senza la minima ombra di af­fettazione, come una necessità naturale della sua convivenza col Carpani, la quale, senza concorso di volontà o di studio, abbia determinato istintiva­mente in lei questo suo modo d’essere, quasi che, volendo piacere all’uomo con cui convive, ella non abbia mai pensato di poter essere altrimenti. Pe­nerà molto, però, in questo momento, a serbare questo suo naturale contegno, agitata com’è dalla notizia del ritorno del marito, ch’ella del resto riconosce subito nella persona di quel sedicente amico.

        TITTI (accorrendo per abbracciare Lello): Oh, eccoti finalmente!

        LELLO (arrestandola): No, Titti; vai, vai… (Poi, mostrando la ragazza a Fer­rante, con intenzione:) Ecco la mia (indica Evelina) la nostra figliuola.

        FERRANTE (turbatissimo, guardando invece Evelina): Ho avuto… ho avuto il piacere d’ammirarla.

        TITTI (accorrendo verso la madre): Mamma, sai? ho visto la signora Armelli. Ha detto che verrà con l’avvocato. Senti, mamma?

        LELLO (a Titti): Vai, vai, cara! (Ma vedendo che Titti, andata verso la madre, resta smarrita di fronte al turbamento di lei, esclama sorpreso, guardando Evelina:) Che cos’è?

        EVELINA (quasi per venir meno; tra sé, guardando e non volendo guardare Ferrante, dice, convulsa): Ma… la voce… gli occhi… (Poi, risolutamente, ar­rossendo, impallidendo, quasi con un grido:) Ferrante?

        FERRANTE (in un sussulto): Eva!

        (con la smania di chi non vorrebbe smarrirsi, e si smarrisce; portan­dosi le mani alla faccia): Oh Dio… Dio mio… (casca a sedere.)

        LELLO (a Ferrante): Ah, come! E lei? Ferrante Morli?

        FERRANTE: Chiedo scusa… (accostandosi a Evelina:) no, Eva… Sii! sii! Me ne vado subito… Non ho saputo resistere alla tentazione di venire a vedere…

        EVELINA (levandosi con franca fierezza): Venire a vedere che cosa?

        FERRANTE (quasi sorridendo, nel vederla così): Ma no! Niente, Eva…

        LELLO: Qua bisogna venir subito, Lina, a una spiegazione!

        EVELINA (combattuta, fremente, vedendo il marito così pallido): No! Basta! Che spiegazione? Non… non c’è bisogno di nessuna spiegazione! (Accorgen­dosi che Titti è ancora lì, stupita, smarrita:) Ma vai, vai, figliuola mia… – (Volgendosi a Miss Write:) Mi pare che lei, signorina, avrebbe potuto portar­sela anche di là! (Titti e Miss Write si ritirano per la comune.)

        EVELINA (a Lello): Nessuno ha diritto di chiedere a me spiegazioni.

        FERRANTE: Ma io non ne ho chieste. È stato lui, Eva…

        EVELINA: Non so con quale ardire tu abbia potuto così all’improvviso, dopo tanti anni, presentarti qua…

        LELLO: Sotto veste d’un amico, sai!

        FERRANTE (ancor sorridente, ma già cominciando a seccarsi sul serio): Ma per non fare scene, Dio mio, come questa a cui tutt’a un tratto, senza ch’io po­tessi impedirglielo, ha voluto trarre qua te, Eva, e me… – Ho rifuggito sem­pre dal farne! Tu lo sai!

        EVELINA: E perché allora… perché allora sei venuto?

        FERRANTE: Ma l’ho detto a lui… gliel’avevo già detto…

        LELLO: No, no, scusi, lei ha manifestato anche l’intenzione…

        FERRANTE: Nessuna intenzione, no! (Con scatto d’impazienza:) Maledetto il momento che a uno viene l’ispirazione di fare un piacere agli altri!

        LELLO: Ah per lei è un piacere questo?

        FERRANTE: Ma sì, perché mi sono preoccupato che v’arrivasse di sorpresa la notizia del mio ritorno, senza sapere con quali intenzioni fossi ritornato!

        EVELINA: Ma io ancora non le so, le tue intenzioni!

        FERRANTE: Nessuna, Eva! Nessuna, ti dico!

        EVELINA: Sarebbe inconcepibile, difatti, che tu potessi averne ancora qualcuna!

        FERRANTE: Avrei voluto, veramente, o scriverti, o mandare qualcuno. Decisi al­l’ultimo di venire io stesso, fidandomi che tu – anche se mi avessi visto – ormai, dopo tant’anni, così… tutto grigio, senza barba… Mi hai invece rico­nosciuto subito!

        LELLO (seccato di questo tentativo d’approccio familiare): Aspetti, aspetti, scusi! Non è possibile! Se è venuto in persona… qualche speranza, per lo meno…

        FERRANTE: Ma no, le dico! Nessuna speranza! Un desiderio, al massimo, di ve­dere… Oh, perdio! mi sembra naturale infine…

        EVELINA (subito, intuendo, con uno scatto quasi ferino): Aldo, tu dici?

        FERRANTE: Mio figlio!

        EVELINA (c.s. tutta vibrante d’ira e di sdegno): Ma che tuo figlio! Tuo figlio? Tu lo abbandonasti, lo lasciasti a me bambino, senza più curarti di lui…

        FERRANTE (gridando più di lei, per interrompere la scena che lo secca enor­memente): Ma sì! ma sì! Va bene! Basta! Ora l’ho visto e me ne vado!

        EVELINA (restando): L’hai visto? Dove? Qua?

        FERRANTE: Poco fa; ma non temere! Non sa d’aver parlato con suo padre!

        LELLO: Ma lo saprà, verrà a saperlo! Non sarà possibile tenerglielo nascosto! – Ah, eccolo qua..

        Entrano dall’uscio a sinistra Aldo e Decio. Aldo ha il cappello in capo, per uscire; Decio lo tiene in mano. Subito Evelina si lancia incontro al figlio, come per ripararlo.

        EVELINA (frenetica): No, no, Aldo! no! mio! mio soltanto! (Volgendosi come una belva a Ferrante:) Se sei ritornato per questo, puoi andartene, perché non hai, non hai più nessun diritto su lui!

        ALDO (sbalordito): Mamma, ma che cos’è? che dici?

        EVELINA (seguitando, con foga crescente): No! Nessuno! nessuno! perché tu sei rimasto a me; t’ho cresciuto io, Aldo; io soltanto ho sofferto per te, e sol­tanto la tua mamma tu ti sei trovata accanto!

        ALDO (comprendendo e guardando l’estraneo): Ma che… che forse… lui?

        EVELINA (abbracciandolo, riparandolo): No! Tu non devi neanche guardarlo!

        FERRANTE (ad Aldo; impaziente e imperioso, vedendo ch’egli accenna di scio­gliersi dal cieco abbraccio della madre): Stai, stai lì!

        EVELINA (voltandosi di nuovo contro di lui, senza lasciare il figlio): Non c’è bisogno che glielo dica tu di stare qui!

        ALDO: Ma no, mamma, aspetta! Non sono un bambino!

        EVELINA (atterrita): Come!… Che dici, Aldo?

        ALDO: Dico che… preso così, scusami… – Ho diritto anch’io di sapere…

        EVELINA (subito): No, niente, Aldo! niente! Perché lo riconosce lui stesso di non avere nessun diritto su te! Ha detto che non vuole niente, e che se ne va! È vero?

        FERRANTE (ridendo dell’agitazione di lei e della fretta di mandarlo via): Masi! Calmati! Calmati! Non voglio niente!

        EVELINA (subito): Te ne puoi dunque andare!

        FERRANTE: Ecco, me ne vado…

        ALDO (risolutamente, staccandosi): Aspetta, mamma! Ti dico che io voglio sa­pere!

        LELLO (a Ferrante): Ecco, vede? vede? lei che non vuol niente!

        FERRANTE (a Lello): Io? Ma no! È lui! (Indica Aldo.)

        EVELINA (al figlio): Che vuoi sapere? Non ti basta quello che sai?

        ALDO: Sì: quello che m’hai detto tu. Ma forse egli avrà ora esposto qua le ra­gioni per cui, per tanti anni, non s’è fatto vivo!

        FERRANTE: Ah no, caro, nessuna ragione! nessuna!

        ALDO: Ne avrai avute!

        FERRANTE: Nessuna, davanti a tua madre che grida, giustamente, perché l’ab­bandonai con te, bambino.

        EVELINA (interrompendolo): E non è forse vero?

        FERRANTE: Sì, e dico infatti «giustamente»!

        ALDO: Ma davanti a me!

        EVELINA: Ah no, nient’affatto! Ci devo esser io!

        FERRANTE (ridendo): Temi che inventi? – Ma no! Perché tu stia tranquilla, ec­cole qua a mio figlio, spicce spicce, le mie ragioni. Volli abbandonarvi tutt’e due. Te e lei! Per andare a divertirmi! Va bene così?

        EVELINA: Ah no! Perché così tu vuoi fargli supporre…

        FERRANTE (con scatto d’impazienza): Ma se non voglio averne per lui! non lo capisci? Prima di tutto perché credo con te, che per lui debbano valere sol­tanto le tue; e poi perché non ammetto che debba giudicarmi mio figlio!

        LELLO: Ma egli ha pure tutto il diritto di sapere…

        FERRANTE (subito, interrompendo): Nossignore! Perché io non gì’impongo, né gli chiedo di venirsene con me! – Potrei dirle a lei (indica Evelina) se mai, le mie ragioni; ma me ne guardo bene! – lo posso riconoscere le sue e accettarle in pace, – lei, le mie, no – per forza! (Volgendosi subito a Evelina:) Perché tu, Eva, hai ora – qua, lui (indica Lello) – e di là, tua figlia! – Due fatti, con­tro cui non potrebbero mai valere le mie ragioni, fossero pure le più giuste e le più vere! – Dunque, basta! – Me ne vado.

        ALDO: E non pensi che queste che sono ragioni per lei…

        EVELINA (cercando d’interromperlo): Ma che dici?

        ALDO (forte, reciso): Lasciami dire, ti prego, mamma! Tra te e lui, ci sono pure io! – Dovete pure tener conto di me! (A Ferrante:) Tu non dovevi più ritor­nare, se volevi riconoscere e tener ferme soltanto queste ragioni di lei, nelle quali io non entro affatto!

        EVELINA (con un grido): Come non entri? Che dici!

        ALDO (pronto, con forza): Ma sì, mamma, scusa! Se son lui (indica Lello) e la Titti le tue ragioni, quelle ch’egli accetta, – io non c’entro, io ne son fuori!

        EVELINA (subito, con forza): E che forse la Titti m’ha impedito d’esser mamma anche per te?

        ALDO (tentando d’arginare quella foga, dolcemente): No no, mamma!

        EVELINA (c.s.y. Quando? quando mai? Sono stata tutta per te; tutte per te le mie cure!

        ALDO (c.s.): Sì, sì…

        LELLO: Questa è ingratitudine!

        EVELINA: E anche lui (indica Lello) è stato per te un padre affettuoso!

        ALDO: Ma sì! va benissimo! E gliene sono grato! – Ma considera la mia situa­zione, ora, con lui qua! (Indica Ferrante.)

        LELLO: Ah, questo sì, è giusto. Gliel’ho detto anch’io! Giustissimo!

        EVELINA (stordita, non aspettandosi quest’approvazione da parte di Lello): Come? Che dici, giustissimo?

        ALDO: Ma sì, mamma: se mio padre è tornato, ti par giusto ch’io stia qua an­cora con lui? (Indica Lello; poi, scorgendo per caso Decio di cui s’era scor­dato): È vero, Decio? Non ti pare? Su, su, di’! tu puoi giudicarne meglio d’ogni altro, da estraneo…

        DECIO: Ma no… io… chiedo scusa…

        ALDO: No, no. – Di’, di’ francamente.

        DECIO: Ma io non so…

        LELLO: È inutile! è inutile! Perché è proprio così, Lina, tuo figlio ha ragione!

        ALDO: Finché mio padre non c’era…

        LELLO: Anche la nostra situazione, adesso, gliel’ho fatto notare (indica Fer­rante) diventa falsa, con lui qua, agli occhi di tutti. – E tuo figlio natural­mente…

        EVELINA: Ma se finora c’è stato, qua con noi!

        LELLO: Sì; finché non si sapeva nulla di lui, neppure se fosse in vita!

        EVELINA (ad Aldo): Ma se lui, Dio mio, lui stesso te lo dice, di rimanere con me!

        FERRANTE: O se no, me ne riparto…

        LELLO (con uno scatto di sincerità): Ecco! Bene! Dovrebbe far questo, lei!

        ALDO (subito): Sarebbe inutile! (Voltandosi a Ferrante:) Te ne riparti? Vengo con te; e sarà peggio per lei!

        EVELINA: Ma allora sei tu, Aldo?

        ALDO: No, mamma! Dio mio, non so come tu non te ne persuada! Tu te ne stai con lui (indica Lello) e con la Titti – com’è giusto. Ma è giusto allora che an­ch’io me ne vada con mio padre…

        FERRANTE: Volete lasciarmi dire due parole?

        EVELINA: Ecco che parla lui, adesso!

        FERRANTE: No, Eva, – con calma! con calma!

        EVELINA: Lo so che cosa vuoi dire! Che non essendomi bastato lui bambino, è vero?, e avendo io ora un’altra figlia e lui… (indica Lello.)

        FERRANTE: Ma non te ne fo un rimprovero!

        EVELINA: E intanto mi porti via il figlio, senz’aver mai fatto nulla per lui! (Vol­tandosi verso Aldo e abbracciandolo e stringendolo a sé con furia di dispe­razione:) Non è possibile! Non è possibile, Aldo! Io non ti lascio andar via! Io non potrei più vivere; non potrei più vivere senza di te, figlio mio! Come puoi pensare d’abbandonarmi, d’abbandonar la tua mamma?

        ALDO: Ma no… vedi…

        EVELINA: Che vedo? Non capisci che viene a essere una condanna per me, se tu te ne vai con lui, se mi lasci qua senza di te? E ti pare ch’io me la meriti, se lui stesso ti dice di no?

        ALDO: Ma perché condanna, mamma?

        EVELINA: Condanna! condanna!

        ALDO: Ma nient’affatto! T’ho detto che è giusto! E se tu non pensassi soltanto alla tua situazione…

        LELLO: È certo che tu la renderai più falsa, andandotene.

        EVELINA (con subitaneo contrasto, rivolgendosi contro Lello): No, no! – Ha ragione! – Dice che io non penso alla sua! – Che penso alla mia, e non penso alla sua! – Ha ragione! – (Ad Aldo:) No, non me n’importa, della mia – è che io non voglio perderti, Aldo!

        ALDO: Ma perché perdermi? Chi ti dice che mi perderai?

        EVELINA: Non starai più con me!

        ALDO: Ma ci vedremo sempre…

        EVELINA: Come? dove? sei stato con me sempre, da piccino; e non lo sai, non lo sai tutto quello che ho sofferto; tutto quello che io feci anche per lui… (In­dica Ferrante.)

        LELLO (con fermezza, turbandosi): Gliel’ho già detto, Lina!

        EVELINA (subito): Io non lo dico per lui; lo dico per mio figlio!

        FERRANTE: Ma Eva, scusa…

        EVELINA (di scatto, dura, aggrottata): Che vuoi tu?

        FERRANTE: Non per mio figlio; ma per te…

        EVELINA: Non voglio saper più nulla, io!

        FERRANTE: Ma non intendo parlare di te, come sei ora!

        EVELINA: Di quella che fui, in me, non c’è più traccia!

        FERRANTE: Non è vero! Ah! non è vero! Lo so per prova! Lo credetti anch’io, quando volli troncar tutto, di nettò, fuggendo come un pazzo, senza lasciare più, apposta, nessuna traccia di me! – Scusa, tant’è vero, che t’è bastato ri­sentir la mia voce, e sei cascata lì a sedere…

        EVELINA: Ma sfido!

        LELLO: Mi sembra perfettamente inutile…

        FERRANTE: Inutilissimo! inutilissimo! Ma per mandare così una voce – a quat­tordici anni di distanza – a una certa piccola Eva folle…

        EVELINA: Folle, sì! folle! folle!

        FERRANTE: Non rimpiangere, saresti ingrata!

        EVELINA: Ma lo scontai!

        FERRANTE: Questo sì! Ma anch’io! È peggio di te! Non rimpiangere! Per questo, capisci?, volli sparire. Quando una vita, come quella che vivemmo tu e io, per cinque anni, crolla – è tale il crollo, che: basta! serrare i denti! sparire! – So quello che volesti fare per me! Una pazzia… Se il mio unico pensiero era stato quello di salvare almeno te e lui (indica Aido) –così, proprio come ho fatto – sparendo! – Vedi che, sì – avrai sofferto – ma non t’è finita male… Con me, se fossi ritornato, sapendo a tempo dell’opera sua (indica Lello) – immagina che vita sarebbe stata… Diversi, non si può essere se non con gli altri. – Tu, con lui… (indica di nuovo Lello) – ma diversi noi due, Eva – dopo essere stati com’eravamo – no, ah! sarebbe stato per me una cosa impossibile! meglio niente!

        ALDO: Avresti potuto pensare che c’ero io, anche.

        FERRANTE: No! Anche per te, anche per te – meglio! Dopo quanto avvenne, per colpa d’altri, ma certo anche per il disordine mio – t’avrei fatto male e non bene, restando! (Subito cangiando tono, calmo, arguto, sorridente, per ri­chiamare ai fatti:) – Signori miei, insomma, io v’ho trovati qua in perfettis­sima pace. Mi pare che voi adesso rimpiangiate, non la mia fuga di tanti anni fa, ma ch’io sia ritornato!

        LELLO: Appunto! appunto! – guastando tutto, con questo ritorno!

        FERRANTE: Vediamo di guastare il meno possibile! Sono qua per questo.

        EVELINA (ad Aldo): Dunque, tu vuoi andartene con tuo padre? Bada che io non so… non so come farò… quello che farò, se tu te ne vai…

        ALDO: Ma se ti dico che ci vedremo sempre…

        EVELINA: Voglio sapere dove!

        LELLO: Già, perché… (rivolgendosi a Ferrante:) spero che lei non penserà di domiciliarsi qua, nella stessa città…

        FERRANTE: Ah, no… certo…

        LELLO: Sarebbe una condizione per me, per lei (indica Evelina) intollerabile!

        FERRANTE: Stia tranquillo. Non mi domicilierò qua certamente.

        EVELINA: E dunque, come sarà questo sempre?

        ALDO: Ma si vedrà, mamma… Combineremo…

        EVELINA: No, no! – Ora! – Lo voglio sapere ora! lo voglio sapere prima! – Non verrà fuori che tu non potrai più venire qua perché io sto con lui! (Indica Lello, guardando come a sfida Ferrante).

        FERRANTE (sorridendo): Ma non ti rivolgere a me. Io non dico niente! Fate voi! Fate voi!

        LELLO (schizzando stizza; irritato, non si sa se dalla gelosia, o dal dispetto di vedersi tutto scombinato): Comoda, ah, comoda, la sua parte!

        FERRANTE: E dalli! Ma non me lo dica lei, almeno, scusi!

        LELLO: Glielo dico io, sissignore, glielo dico io!

        FERRANTE: Oh bella! Ma abbia pazienza, si rende un po’ conto perché la cosa le sembra così?

        LELLO: Ma perché è così! Non crede che sia comodo lasciar fare agli altri dopo aver messo tutto sossopra?

        FERRANTE: Nient’affatto. Guardi. Le sembra così, perché io proprio non voglio nulla, neanche mio figlio; di fronte a lei che invece vorrebbe tutto.

        LELLO:Io?

        FERRANTE: Sissignore. Tutto. Come se io non solo non ci fossi, ma non fossi mai stato nessuno né per questa donna, né per questo ragazzo. Bene. Io fac­cio come vuol lei, cioè appunto come se non ci fossi; ed ecco che lei se n’ir­rita e se la piglia con me. – Se la pigliasse almeno con lui! (Indica Aldo.) – Quantunque, per esser logico, lei dovrebbe riconoscere che mio figlio, qua, non dovrebbe metter più piede.

        LELLO (stordito): Come per esser logico?

        FERRANTE: Ma sissignore! Perché lei si dà pensiero delle false situazioni e della buona reputazione, solo quando fanno comodo a lei. Bene. Voglio darmene pensiero anch’io. E posso pretendere – poiché il marito sono io, infine, io e non lei – posso pretendere che mio figlio, qua, non metta più piede!

        EVELINA (subito, costematissima): Ah, vedi? vedi?

        FERRANTE (scoppiando a ridere): Ma no! ma no! Stai tranquilla, cara! Non pre­tendo nulla, io! – Non posso soffrire la pedanteria, lo sai! – Povera piccola Eva, sei diventata accanto a lui una brava saggia mammina feroce. Ti ricordi? IViù! (Farà questo grido, che evidentemente era il modo con cui un tempo la chiamava, con una strana luce negli occhi e alzando tutte e due le braccia.) E tu mi saltavi al collo.

        Evelina, che durante tutta la scena ha cercato di nascondere il vivo e pro­fondo turbamento richiamandosi di continuo alla sua malinconica e austera dignità, tanto più soffusa d’una cert’aria di comicità, quanto più in lei vuol essere sincera, e che nella difesa del figlio ha messo tanta aggressività con­tro la sorridente remissione del marito, perché in questa aggressività trovava anche una difesa contro il suo proprio turbamento, ora a quel grido di lui, per nascondere ancora una volta questo turbamento, ricorre a un fiero atto di sdegno.

        FERRANTE (subito, notando quest’atto): No! Basta… Scusami… Mi pare impos­sibile che, pur essendo all’aspetto quasi la stessa, tu sia divenuta un’altra, così…

        EVELINA (non potendone più): Ma insomma!

        FERRANTE: Basta, basta, sì. Me ne vado. Non c’è da far tragedie, come vedete, disposto come sono alla massima condiscendenza. Tuo figlio se ne starà con te, con me, come vorrà. E standosene con me non soffrirà, perché ho pensato per lui, credi, più che non paja. Da questo bel giovanotto (posa una mano sulla spalla di Decio) mi farete sapere quello che stabilirete fra voi due: dove, come e quando vi volete vedere; e non ne parliamo più… (Fa per av­viarsi, con Decio, quando sulla comune si presenta la Signora Armelli, sui trent’anni, molto ritinta e riccamente abbigliata.)

        SIGNORA ARMELLI: Permesso?

        EVELINA: Oh, Lucia. Vieni, vieni.

        FERRANTE (piano a Decio): Su, su, andiamo, andiamocene, noi due! (Saluta con la mano Aldo, e inosservato dagli altri esce con Decio approfittando della visita sopravvenuta.)

        SIGNORA ARMELLI (a Lello): C’è mio marito in automobile che la aspetta giù, avvocato, per andare… non so, al convegno per la causa…

        LELLO (imbarazzatissimo): Già! Ma non è possibile, vede? (Voltandosi a cer­car nella stanza Ferrante:) Dov’è? Se n’è andato?

        SIGNORA ARMELLI (stordita): Chi?

        LELLO: Niente niente. Scenderò io stesso giù a portare a Giorgio le carte e a dirgli che faccia lui perché per oggi io non posso… non posso… (Esce di fretta per l’uscio a destra.)

        SIGNORA ARMELLI: Oh Dio, ma che cos’è accaduto?

        EVELINA: Ah Lucia, che cosa! che cosa! Vedi questo ingrato? (indica Aldo. – Poi volgendosi a lui:) Perché non te ne sei andato via subito con lui?

        ALDO: Ma per carità, mamma.

        EVELINA (alla signora Armelli): Lo abbiamo cresciuto insieme, è vero, Lucia? E ora…

        SIGNORA ARMELLI: E ora?

        EVELINA: Hai veduto quel signore che si disponeva a uscire quando tu sei en­trata?

        SIGNORA ARMELLI: Sì, col signor Decio…

        EVELINA: È mio marito!

        SIGNORA ARMELLI (sbalordita): Tuo marito? tuo marito?

        EVELINA: Sì, che si porterà via con sé Aldo!

        SIGNORA ARMELLI (con un grido represso): Ah!

        EVELINA: E lui è felicissimo d’andarsene!

        SIGNORA ARMELLI (sentendosi vacillare e accennando di portarsi le mani al volto, esclama quasi sotto voce): Oh Dio… Oh Dio… (E mentre Evelina e Aldo accorrono a sorreggerla, casca su una sedia, svenuta.)

        EVELINA (guardando quasi impaurita il figlio): Che cos’è?

        ALDO (confuso, premuroso, chinandosi sulla svenuta): Signora Armelli… Dio mio… signora Lucia… (Poi alla madre con un gesto espressivo delle mani:) Mamma… mamma… va’, corri pei sali…

        EVELINA (trasecolata): Ma come, tu… con lei? (E si porta le mani alle tempie, come a reggersi la testa che le va via davanti alla rivelazione d’una cosa così enorme e incredibile.)

        ALDO (piano, con una certa stizza): Anche per questo, vedi?, è bene che io me ne vada… – Su, corri, corri…

        Evelina, con la bocca aperta, le mani per aria, fa per avvicinarsi, ma come se non sapesse più dove andare; poi si volge ancora una volta verso il figlio come impaurita, ma Aldo con le mani le fa un atto iroso d’andare.

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1920 – La signora Morli, una e due – Commedia in tre atti
Premessa e trama
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

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