Appunto su Pirandello e il fascismo

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Di Elio Providenti

Il 3 dicembre 1931 Pirandello celebra all’Accademia d’Italia il cinquantenario dei Malavoglia e scrive la sua involontaria più importante pagina d’antifascismo mentre crede di parlare da fascista ortodosso.

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Appunto su Pirandello e il fascismo
Pirandello all’Accademia d’Italia,1934. Banchi di destra, il primo seconda fila a sinistra.

Appunto su Pirandello e il fascismo

da Academia.edu

  • Adriano Tilgher e il saggio del 1921 sui Relativisti contemporanei, pp. 66-67: è la chiave di volta della scoperta del fascismo da parte di Pirandello, che ancora nella primavera del 1924 dichiarava ‹‹sono apolitico…mi sento soltanto uomo sulla terra››.
  • Udienza di Mussolini il 22 ottobre 1923, nella imminenza del primo viaggio di Pirandello negli Stati Uniti. Dichiarazione di qualche giorno dopo, per la prima celebrazione della marcia su Roma: ‹‹Non può non essere benedetto Mussolini da uno che ha sempre sentito questa immanente tragedia della vita, la quale per consistere in qualche modo, ha bisogno d’una forma; ma subito, nella forma in cui consiste sente la morte… Mussolini mostra di sentire questa doppia e tragica necessità della forma e del movimento e con tanta potenza vuole che il movimento trovi in una forma ordinata il suo freno e che la forma non sia mai vuota›› . Se questo non è ermetismo poco ci manca! Comunque si risente qui l’eco delle teoriche di provenienza tilgheriana e filiale (cfr. la prefazione ai Sei personaggi scritta a quattro mani col figlio Stefano) in un  guazzabuglio in cui si riconosce solo  la volontà adulatoria di contribuire alla celebrazione di quel primo anniversario.
  • L’adesione, il 17 settembre 1924, a un mese dalla scoperta dei resti di Matteotti; atto di sfida e di sdegno anarcoide e solitario, se si considera quel che Mussolini aveva detto il 7 agosto in una riunione riservata: ‹‹Io ho avuto in quei giorni il senso dell’isolamento, perché i saloni di palazzo Chigi, così frequentati negli altri giorni, erano deserti come una raffica, una bufera ci fosse passata››.
  • L’idillio tra Pirandello e il fascismo dura fino all’inaugurazione del Teatro d’Arte: le difficoltà economiche, prima; le accoglienze ostili da parte della stampa antifascista durante il viaggio della compagnia in Argentina, poi, lo inducono a una serie di errori politici rinfacciatigli al rientro in Italia; gli odii, le invidie e la sensazione d’isolamento nella quale si viene a trovare, lo spingono a lasciare l’Italia alla fine del 1928 per un esilio che avrà le sue tappe a Berlino e a Parigi, quasi ininterrottamente fino alla fine del 1932. Nel 1929 Mussolini lo inserisce nei primi trenta accademici della costituita Accademia d’Italia, cercando così di non interrompere del tutto i legami con lo scrittore, il quale, pur risiedendo all’estero, alterna anche soggiorni in Italia.
  • Il 3 dicembre 1931 Pirandello celebra all’Accademia d’Italia il cinquantenario dei Malavoglia e scrive la sua involontaria più importante pagina d’antifascismo mentre crede di parlare da fascista ortodosso. L’esordio è bruciante nella contrapposizione tra due tipi umani che ogni popolo esprime dal suo ceppo: i costruttori e i riadattatori, gli spiriti necessari e gli esseri di lusso, gli uni dotati d’uno stile di cose, gli altri d’uno stile di parole. La grande lezione antiletteraria di Giovanni Verga contrapposta ‹‹al lussuoso paludamento di una continua letteratura›› rappresentata da D’Annunzio. Lo scandalo nell’ambiente accademico è grande, e un riflesso se ne avrà quando Mussolini ricevendo in udienza Marta Abba due mesi dopo (3 febbraio 1932) dirà: ‹‹Io gli ho reso tutti gli onori perché lo stimo un genio, ma ha un brutto carattere››.
  • Comunque proprio per addolcire questo brutto carattere, Mussolini si dimostra condiscendente verso di lui quando il 13 marzo ’32 lo riceve per ascoltare le sue opinioni sul teatro nell’ambito di quel processo di rinnovamento costituito dalle Corporazioni dello spettacolo, primo avvio allo Stato corporativo. In realtà proprio in quell’estate del 1932 il più fervido fautore di quel rinnovamento, Bottai, spintosi pericolosamente troppo avanti in un convegno corporativo svoltosi a Ferrara (maggio di quello stesso anno), verrà rimosso dall’incarico di ministro delle corporazioni e sostituito dallo stesso Mussolini (20 luglio 1932). La controprova di questo giro di boa nella politica del fascismo la potrà constatare lo stesso Pirandello quando, ricevuto a distanza di nove mesi, il 3 dicembre 1932, trova un Mussolini ‹‹ingrigito, scavato, quasi spento››, il quale gli distrugge tutte le residue speranze nutrite sul teatro e quasi lo atterrisce con una prospettiva tragica di guerra imminente. La chiusura di Mussolini sarà definitiva, anche se allo scrittore sarà comunque riservata la possibilità di predisporre progetti teatrali, di presentarli e di discuterli con le massime autorità. Ma i frutti saranno sempre deludenti per le attese sue e dell’interprete prediletta Marta Abba.
  • Un’altra situazione d’imprevista difficoltà sarà per Pirandello la rappresentazione teatrale della Favola del figlio cambiato, musicata da Gian Francesco Malipiero. La vecchia ruggine clericale nei confronti di Pirandello esploderà in quell’occasione, mentre le gerarchie ecclesiastiche progettano la messa all’indice delle opere. Ma ciò che particolarmente lo ferì, fu la solitudine in cui fu lasciato da Mussolini che, dinnanzi alla gazzarra scatenata al Teatro dell’Opera, abbandonò la sala e vietò le repliche. Come scriverà anni dopo Sedita in conclusione di un suo saggio dedicato all’argomento ‹‹uomini di Chiesa integralisti uniti alle frange sempre presenti dei fanatici del Partito fascista si ritrovarono concordi nella condanna di un’arte relativistica, negatrice della verità della fede o dell’etica del regime››. ( vedi gli scritti di Luigi Sedita in ‹‹Belfagor››, n. 361 (31 gennaio 2006), Pirandello, l’apolitico spiato; e n. 375 (31 maggio 2008), Pirandello tra fascisti e gesuiti.
  • Per concludere sui rapporti di Pirandello col fascismo, si può affermare che egli ebbe la sorte di vivere nel periodo di maggior fulgore del regime. Si spense infatti nel dicembre 1936, quando la fortuna di Mussolini, dopo la vittoriosa campagna africana, era al suo apice. E Pirandello, con quella generosità aperta e disinteressata che già in altre occasioni aveva dimostrato, anche in questo grave e difficile frangente di politica estera, durante un viaggio negli Stati Uniti, seppe trovare un’efficace uscita propagandistica (suggeritagli dall’ufficio stampa di Ciano) quando ricordò ai giornalisti che lo interrogavano che anche gli americani avevano imposto la loro civiltà alle popolazioni primitive e aborigene del nuovo continente, e che quindi all’Italia non c’era proprio nulla da rimproverare per la sua impresa africana.

Elio Providenti

Inizialmente preparato per un’intervista filmata da Giano Accame per la RAI, realizzata nell’ultima dimora dello scrittore in via Bosio a Roma, il 1° febbraio 2002 (mai trasmessa in TV) e dedicata al mio Pirandello impolitico dal radicalismo al fascismo, Salerno ed., Roma 2000.

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