1932 – Trovarsi – Commedia in tre atti

Ancora una volta, attraverso una storia che usa come paradigma una vicenda teatrale, Pirandello affronta temi che riguardano la società, il modo di relazionarsi tra gli uomini e in particolar modo la ricerca e l’espressione della verità di cui il palcoscenico può essere il più autentico testimone. 

STESURA luglio – agosto 1932
PRIMA RAPPRESENTAZIONE 4 novembre 1932 – Napoli, Teatro dei Fiorentini, Compagnia Marta Abba.

Approfondimenti nel sito:
Sezione Video – Trovarsi – 1975. Rossella Falk, Ugo Pagliai
Link esterni
Dicoseunpo.it – Introduzione e trama

Premessa
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

(Dedicata a Marta Abba)

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Trovarsi

Premessa

        Commedia in tre atti, scritta nel luglio-agosto 1932, dedicata a Marta Abba, che per prima la porterà in scena al Teatro dei Fiorentini di Napoli il 4 novembre 1932. Lo stesso anno fu pubblicata nella raccolta Maschere nude di Mondadori.

        Nella produzione finale di Luigi Pirandello – ispirata dall’amore tardivo ma intenso per Marta Abba – trova spazio una ricca galleria di figure femminili. “Trovarsi” è la cronaca del dramma di Donata Genzi, attrice che ha consacrato se stessa al palcoscenico, negandosi ogni legame sentimentale. La missione dell’attrice, il suo impulso a illuminare il pubblico ogni sera con la propria arte, è il prezzo che si chiede alla protagonista

        Il problema della propria identità, dolorosamente complesso per chiunque, si complica ulteriormente nell’attrice Donata Genzi, impegnata a dare tutta se stessa a personaggi che la sua professione le impone di impersonare sulla scena.

        Quando la giovane Nina l’accusa di non poter essere sincera perché rappresenta con lo stesso slancio e con la stessa bravura parti opposte, risponde: «Sono ogni volta come mi vuole la parte con la massima sincerità». Ma proprio perché vive nei suoi personaggi, ogni volta, in ciascuna parte, non è più lei. Vive dunque nella finzione? Lo nega animatamente: «E tutta vita in noi. Vita che si rivela a noi stessi. Vita che ha trovato la sua espressione. Non si finge più, quando ci siamo appropriati questa espressione fino a farla diventare febbre dei nostri polsi… lagrime dei nostri occhi, o riso della nostra bocca…».

        Ma dopo la recita, in cui si realizza un’identificazione così profondamente vissuta, viene il momento «veramente orribile»: rimane «sola a mani vuote» di fronte allo specchio del suo camerino, con la pena di «non trovarsi». Le manca una vita sua, un amore suo che la impegni nella vita quotidiana al di là del teatro e l’aiuti a sentirsi donna, a trovarsi.

        Il grave vuoto che avverte in sé a questa riflessione, nata dalla conversa­zione con gli ospiti della sua più cara amica, nella cui casa s’era recata per riposarsi, la induce a cercare la morte spingendo il giovane svedese Elj Nielsen a prendere con lei il mare in una notte di grande tempesta. Nonostante l’abilità di Elj, la barca fa naufragio e il giovane riesce a portare l’attrice in salvo a nuoto. Con lui Donata, presa dalla sua bellezza, tenta l’esperienza dell’amore, con lo slancio proprio della sua natura; ed Elj Nielsen, spirito avventuroso e anticonformista, sembra in grado d’assecondarla in pieno. Con lui dovrebbe vivere in libertà una vita intensa, lontana dal teatro al quale Donata non sa rinunciare; ma la causa del loro dissidio non si riduce banalmente al fatto che Donata vuol continuare nel suo lavoro di attrice: ha più profonde radici nella personalità di lei, nel suo modo d’essere attrice e donna, di amare sulla scena e di amare nella realtà del rapporto con Elj. Questi, quando assiste per la prima volta a una sua recita, finisce per fuggir via disgustato, senza nemmeno capire che Donata sta recitando male, perché è impacciata all’idea di ripetere gli atteggiamenti amorosi presi con lui, ora che per la prima volta ha una vita «sua». Egli ritiene che Donata si stia com­portando nella scena proprio come si comporta con lui nell’intimità; ne riconosce «ogni gesto, ogni mossa» e gli sembra un profanazione del loro amore. Donata, da parte sua, all’uscita di Elj dal teatro, recupera la sua sincerità e il suo slancio, recita con particolare passione e ottiene ed terzo atto un grande successo.

        Nella vita Donata non può essere diversa da come è sulla scena, non può essere snaturata. Non può rinunziare alla vita dell’arte che addiziona alla sua esperienza individuale una più vasta e più ricca esperienza. Elj avrebbe dovuto capirlo. Ora non le resta che continuare a vincere sulla scena ottenendo il consenso e il plauso degli spettatori, come in quella sera, per sé e per la sua arte. Non si riaccosterà più alla vita intesa egoisticamente come limitazione delle proprie possibilità d’essere. Chiede di rimanere sola, perché: «Non ci si trova alla fine che soli». La commedia si conclude con le parole, che Donata pronuncia, dopo essersi alzata in piedi di scatto, con le braccia aperte: «E questo è vero… E non è vero niente… Vero è soltanto che bisogna crearsi, creare! E allora soltanto, ci si trova».

        Chi recita e chi scrive, recita o scrive la vita degli altri, rinunciando in tutto o in parte a vivere la propria vita per aderire a un’esistenza di livello superiore. La fiera conquista di Donata è nell’accettazione di dedicarsi tutta alla vita dei suoi personaggi, trovando nella creatività di questa scelta la compensazione alla mancanza di una vita comune fuori dalle scene.

        È un atteggiamento titanico, che esalta i valori creativi dell’arte e suscita ammirazione: ma si intuisce chiaramente quanta sofferenza alla grande attrice sarà riservata, nei momenti di pausa che anche la più alta tensione morale reca con sé, quando sarà di nuovo in solitudine di fronte allo specchio.

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