Video – Il giuoco delle parti – 1970

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RAI. 1970 

ROMOLO VALLILeone Gala 
ROSSELLA FALKSilia sua moglie 
CARLO GIUFFRÈGuido Venanzi 
SALVATORE SPUNTILLO – Il dottor Spiga

Regia: GIORGIO DE LULLO 

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FONTE  Novella «Quando s’è capito il giuoco» (1913)
STESURA luglio – settembre 1918
PRIMA RAPPRESENTAZIONE 6 dicembre 1918 – Roma, Teatro Quirino, Compagnia di Ruggero Ruggeri, con la prim’attrice Vera Vergani

È una commedia in tre atti tratta dalla novella Quando si è capito il giuoco del 1913. La stesura risale al luglio-settembre 1918. Fu messa in scena per la prima volta da Ruggero Ruggeri e Vera Vergani al Teatro Quirino di Roma, il 16 dicembre 1918. Fu pubblicata su la Nuova Antologia nel 1919 e nello stesso anno dai Fratelli Treves a Milano.

        Il protagonista è Leone Gala, che dall’alto della sua superiorità intellettuale, alimentata da un costante abito filosofico, osserva con insistita ironia i comportamenti della moglie, Silia (capricciosa e tormentata, che ha in odio il raziocinante eloquio del marito) e l’acquiescenza dell’amante di lei Guido Venanzi, personaggio piuttosto insignificante, dominato dagli altri due. Il classico triangolo amoroso è tutto percorso dalla problematica pirandelliana che interiorizza i personaggi e li rende spettatori consapevoli del giuoco della vita, capovolge le situazioni e inverte le parti, distende sulla sofferenza un velo d’umorismo che invece di nasconderla la esaspera e la mette in evidenza.

        Silia «si vede vivere» fin quasi all’alienazione: «Questo maledetto specchio, che sono gli occhi degli altri, e i nostri stessi, quando non ci servono per guardare gli altri, ma per vederci, come si conviene vìvere… come dobbiamo vivere… lo non ne posso più!».

Il giuoco delle parti - Video
Romolo Valli, Rossella Falk, Carlo Giuffrè, Il giuoco delle parti, 1964

        Leone ritiene di aver conquistato un superiore equilibrio interiore armonizzando su un «pernio» ideale, da una parte, il vuoto che è riuscito a creare in sé dominando «il torbido» dei sentimenti, dall’altra un pieno scelto con giudizio, una specie di «zavorra» che ti tiene ancorato alla realtà e ti consente di star ritto, come certi buffi giocattoli vuoti con il loro contrappeso di piombo. Il vuoto l’ha ottenuto con il dominio dei sentimenti, il contrappeso l’ha trovato nel gusto per la filosofia esercitato in lunghi dialoghi su Socrate e Berg­son con il suo cameriere e nell’esplicazione delle sue qualità di cuoco che si delìzia a passare il tempo in cucina.

        Silia si sente «paralizzata» dal marito che «guarda e capisce tutto punto per punto, ogni mossa, ogni gesto, facendoti prevedere con lo sguardo l’atto che or ora farai, così che tu, sapendolo, non provi più nessun gusto a farlo». Ed è assillata dal pensiero di liberarsene, di ucciderlo.

        Ma il piano da lei concepito per farlo uccidere fallisce per l’intelligente mossa di Leone: Silia lo spinge a sfidare a duello un giovane e spensierato marchese, celebre spadaccino, dal quale si ritiene offesa. Leone non batte ciglio e invia il Venanzi a sfidarlo. Come marito ufficiale ha fatto il suo dovere; ma a combattere dovrà andare Guido Venanzi, colui che, come amante pos­siede veramente Silia e vive con lei. Le condizioni dettate da Venanzi, pen­sando che Leone si sarebbe battuto sono dure: sfida all’ultimo sangue. E finiscono per ricadere su di lui che è costretto a farsi carico della parte assegnatagli nel giuoco della vita. L’esperto marchese lo uccide.

        L’atteggiamento di immobile, «cupa gravità» che Leone assume alla fine della commedia alla notizia della morte del Venanzi rivela tutta la sua pena. Non è stata un’allegra vendetta. I sentimenti non possono essere vinti dalla fredda ragione, finiscono sempre per prendere il sopravvento nelle commedie di Pirandello, anche quando esteriormente si celebra il trionfo della ragione, che è sempre un amaro, illusorio trionfo.

        Del resto era illusorio in Leone anche il superamento del dolore per la sepa­razione che la moglie gli ha imposto. Egli, suo malgrado, continua ad amarla; lo svela quando teneramente confida a Guido che Silia ignora che in lei vive una bambina, «Una bimba che vive un minuto e canta, quando lei è assente da sé»; Guido ne rimarrà contagiato, tanto l’osservazione lo colpisce e ripeterà a Silia che in lei c’è una bambina.

        L’arte dell’autore di creare una situazione di singolari equilibri (Leone marito ufficiale che visita solo mezz’ora al giorno la moglie e se ne sente filosoficamente distaccato, che le permette di avere un amante sfidando le convenzioni borghesi) per poi demolirla facendone cadere le macerie su tutti i personaggi; il «verbalismo filosofico» di cui Gramsci accusava Pirandello in questa commedia (Avanti!, 6 febbraio 1919) appaiono come vani, tragici tentativi di porre argini e contrasto dei sentimenti che in fine straripano e inchiodano ciascun personaggio alla propria infelicità.

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