Di Ferdinando Morabito.
La fama dell’autore siciliano diventa in breve travolgente, fino a condurlo al massimo riconoscimento nel campo letterario, cioè l’assegnazione del Premio Nobel nel 1934: la motivazione che si legge è: “Per il suo coraggio e l’ingegnosa ripresentazione dell’arte drammatica e teatrale”.
Il “caos” creativo: la rivoluzione teatrale di Pirandello
Siamo nel 1921, al Teatro Valle di Roma, in data 9 maggio: il pubblico in sala non sa ancora cosa sta per accadere, né di quale enorme portata sia l’opera che verrà messa in scena quella sera. Fatto sta che, davanti ai loro occhi increduli, molte persone assistono al dramma principale firmato da Luigi Pirandello, una delle figure più importanti in campo letterario, in Italia e nel mondo: “Sei personaggi in cerca d’autore”. Questo straordinario artista, nato nei pressi dell’attuale Agrigento (chiamata all’epoca Girgenti), viene alla luce in una casa situata nella contrada “Caos”, curiosità che è stata da sempre ricondotta al caos creativo di Pirandello, secondo la convinzione di un destino stabilito. E la grandissima energia creativa porta l’autore a scrivere opere destinate a rivoluzionare i canoni letterari del tempo e ad incidere in maniera profonda sul pensiero e sulla società; titoli come “Uno, nessuno e Centomila” o “Il fu Mattia Pascal”, unitamente ad una produzione infinita di novelle e di romanzi, capaci di dipingere con grande maestria vizi e virtù dell’epoca e di aprire nuovi orizzonti alla riflessione, attraverso un’incredibile analisi psicologica dei personaggi, fanno di questo scrittore un mostro sacro della letteratura di sempre.
Ma a questa straordinaria e smisurata produzione narrativa, Pirandello ha aggiunto un intenso e appassionato lavoro nel settore che lo ha consacrato definitivamente, vale a dire il teatro: e in quella che viene definita la “terza fase” del teatro pirandelliano, si impone il lavoro “Sei personaggi in cerca d’autore”, un dramma che incarna al massimo grado la volontà di abbattere la “quarta parete”, vale a dire la separazione invisibile, meramente concettuale, che separa il pubblico dal palcoscenico. L’opera in questione, infatti, è talmente rivoluzionaria da sconcertare la gente in sala, la quale reagisce al tutto con bordate di fischi e gridando “Manicomio! Manicomio!”.
La trama è caratterizzata dalla presenza di una compagnia teatrale intenta a rappresentare un altro lavoro di Pirandello, “Il Giuoco delle parti”, ma che è interrotta dall’entrata in scena di sei personaggi, i quali chiedono agli attori di rappresentare un’altra storia, quella che riguarda loro: essi infatti raccontano di essere stati creati e poi abbandonati da un autore. Si tratta della prima opera della trilogia “Il teatro nel teatro”, e sebbene il dramma non sia stato un successo come consenso da parte del pubblico alla sua prima uscita, lo è invece stato riguardo l’obiettivo di coinvolgere le persone in sala, chiamate a partecipare allo spettacolo senza limitarsi a fruirlo passivamente. Solo con l’edizione del 1925, in cui Pirandello si serve di una premessa per spiegare tematiche e intenti dell’opera, questo lavoro diventa anche un grande successo di pubblico.
La fama dell’autore siciliano diventa in breve travolgente, fino a condurlo al massimo riconoscimento nel campo letterario, cioè l’assegnazione del Premio Nobel nel 1934: la motivazione che si legge è: “Per il suo coraggio e l’ingegnosa ripresentazione dell’arte drammatica e teatrale”.
“Sei personaggi in cerca d’autore” è la sua opera teatrale più rappresentativa, la “summa” della sua arte, una sorta di manifesto della sua infinita creatività: è ciò che lo proietta di forza tra i grandi maestri del ‘900, originando quella coscienza della scomposizione e quella visione “teatrale” (e a volte paradossale) della vita che, ancora oggi, nel linguaggio comune, si chiama “pirandelliana”, e che sa tanto di Caos.
Ferdinando Morabito
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