Creditor galante – Audio lettura 3

Legge Valter Zanardi
«– Se non fu un capriccio, lo pagaste troppo caro… Poco dopo, il timore o il rimorso (diciamo il rimorso), uccise in voi… quel che sentivate per me. Oh, vedete! da quel tempo – è un bel pezzo ormai! – io ho chiuso veramente il mio conto con la vita…»

Prime pubblicazioni: La Tribuna, Roma, anno XV, n. 110, 21 aprile 1897, II edizione (a sei pagine).

Creditor galante
Guy Pène du Bois (1884-1958), Portrait of Joan Karges Hogg, 1942

Creditor galante

Legge Valter Zanardi

Da Youtube

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             Appena uscita dal salotto la ragazza, Maurizio Gueli si levò in piedi, guardò l’orologio, poi si abbottonò lentamente l’abito e con la mano tesa si avvicinò a Fulvia Corsani, sdrajata su la poltrona con un libro su le ginocchia, la testa appoggiata su la spalliera e la bellissima gola provocante tutta in vista dalla fossetta all’attaccatura del collo su su fino all’ovale del mento. Senza moversi né levar gli occhi dal soffitto ella domandò:

             – Le undici?

             – Quasi – rispose il Gueli turbato nel vedersi sotto gli occhi il volto di lei così giacente. – Non andate a letto anche voi?

             Fulvia scosse negativamente il capo senza levarlo da la spalliera.

             – Rimango? – domandò il Gueli.

             – No no, andate pure… – fece ella quasi in uno sbuffo, scotendosi.

             – Andrei a casa: non m’incomodereste affatto… – aggiunse il Gueli guardan­dosi sott’occhi e stirandosi le punte dei baffetti rimasti neri, mentre i capelli fittissimi su la fronte eran già tutti bianchi.

             – Grazie. Io aspetto ancora un po’!…

             – Vostro marito? Sarà al circolo…

             – No. Da un amico, non so…

             – Siamo tutti amici al circolo!

             Fulvia lo guardò con indolenza quasi sprezzante, e portando le braccia su la poltrona e reclinando la testa tra le spalle alzate:

             – Perché mi avrebbe mentito? – disse.

             – Per causa vostra: gli fate troppe domande – rispose pronto Maurizio.

             Si guardarono tutti e due ad un tratto. Il Gueli, aggrottando le ciglia, rispose:

             – Sarebbe forse necessario che attendessimo insieme. Fulvia, vostro marito giuoca da tre sere come un disperato e finisce di rovinarsi e di rovinarvi…

             Ella chinò gli occhi sul libro aperto in grembo, svoltando una pagina delle già lette come per riprendere il filo della narrazione.

             – Che libro leggete? – domandò Maurizio cangiando tono di voce ed espressione.

             – Non leggo – rispose Fulvia chiudendo il libro e levandosi in piedi.

             – Basta – fece il Gueli – io passo dal circolo, e se trovo Aldo, ve lo mando subito. Addio, eh!

             Dalla soglia si volse:

             – Non mi salutate neppure?

             – Addio. Grazie – sospirò Fulvia. Egli le si riappressò lentamente:

             – Proprio non potete più soffrirmi?

             – Rimanete…

             – No vado. Ma rispondetemi.

             – Che cosa?… Ve ne siete accorto?

             – Uh, da tanto tempo!

             – E allora… perché venite?

             – Seriamente? – domandò il Gueli guardandola fiso negli occhi. – Scusate; non avreste ragione, mi sembra, di dir così…

             – Ah sì? – esclamò Fulvia battendosi leggermente la fronte col segnalibro d’avorio. – Vantate per giunta diritti alla mia gratitudine?

             – Nessun diritto! – s’affrettò a rispondere il Gueli. – La vostra gratitudine? E perché? Solo…

             Fulvia lo interruppe con uno sguardo altero e fermo.

             – Oh non temete, so fin dove debbo dire… – rispose egli. – Storie vecchie, lo so! Ma, perché vengo, via! Lo sapete… Abbiate ancora un po’ di pazienza, che diavolo! Tra due o tre anni, sperabilmente, non verrò più a importunarvi con la mia presenza… Adele ha già quindici anni… Ma in fondo poi di che po­tete lagnarvi? Dopo tant’anni: son quindici? quanti sono? – anche il mio amor proprio, vedete, s’è quietato… Eh sì, eh sì… Ormai son vecchio, Fulvia! Tutta la mia mon-da-ni-tà sapete a che si riduce? Pago l’abbonamento al circolo…

             – Perché mentite adesso? – gli domandò argutamente Fulvia. – V’ho domandato forse quel che fate?

             Il Gueli s’inchinò portandosi una mano sul petto:

             – Toccato! E in cambio, guardate, non vi farò il torto di credervi gelosa. Fulvia scoppiò a ridere:

             – Di voi?

             – Perché no? – fece Maurizio sorridendo anche lui. – Suol per altro avve­nire… Mi son consolato? Oh, e tanto meglio per me! Mi fa molto piacere che lo crediate. La strana, mia cara, siete voi, perché…

             – Io? – interruppe Fulvia.

             – Certo! Come no? Franco, eh? Tanto, ci siamo…

             – Oh, dite pure!

             – No. Lo farò dire a voi stessa. Così anzi inganneremo l’attesa. Fulvia tornò a sdrajarsi su la poltrona e indicò una seggiola al Gueli.

             – No, – disse questi – resto in piedi. Un interrogatorio, breve breve, mia cara. Permettete? E lo farò dire a voi stessa. Sposaste a vent’anni, è vero?, mio cugino Aldo.

             – Interrogatorio in tutte le forme! – fece ella. – Ma voi non potete esser giu­dice!

             – Perché no? Nessuna passione mi fa più velo…

             – E allora, a diciannove anni, se non vi dispiace – corresse Fulvia.

             – Amavate allora Aldo? – No.

             – Naturalmente! Né lui vi amava. Fin qui, nulla di strano. Fulvia rise di nuovo.

             – Come no? Se non mi amava, perché m’ha sposata?

             – Oh bella! e voi?

             – Io non sono andata a cercarlo.

             – Parliamo di voi – troncò Maurizio.

             Fulvia lo arrestò con un gesto della mano, protestando:

             – Non ho voluto scusarmi.

             – Bene, – riprese il Gueli – a ogni modo, dopo circa due anni… Se non fu un capriccio, lo pagaste troppo caro… Poco dopo, il timore o il rimorso (diciamo il rimorso), uccise in voi… quel che sentivate per me. Oh, vedete! da quel tempo – è un bel pezzo ormai! – io ho chiuso veramente il mio conto con la vita: pagai allora a lei, in una volta sola, quel tanto di dolori e di noje che le dovevo in cambio delle scarse gioje che m’ha concesso, così, alla spicciolata, da quella trista usuraja ch’essa è; e son rimasto, mia cara, in credito: grosso credito, a cui non intendo affatto rinunziare. Mi sentivo legato a voi da un nodo ormai indissolubile… Ero pazzo, ne convengo. Non intendevo, per esempio, che a voi… – uh, non intendevo tante cose, allora…

             – E ora? – domandò Fulvia con fredda ironia.

             – Piano! – fece Maurizio. – Mi respingeste; io m’ammalai sul serio; viaggiai per distrarmi (sciocca medicina!)… basta; dopo un anno circa, tornai a voi. Come m’accoglieste! Vi ricordate? «Non temete», vi dissi, «io son guarito. Concedetemi di venir di tanto in tanto…» E voi lo concedeste… per vostra fi­glia…

             – Non l’avessi mai fatto! – esclamò Fulvia.

             – Oh, non l’avreste fatto, lo so: – riprese calmo il Gueli – ma proprio in quel tempo, vedete, Aldo ebbe, per mia fortuna, bisogno di me per la prima vo’7dta.

             Fulvia strinse i denti, contrasse il volto e scosse il capo rabbiosamente.

             – Perché fate così? – continuò Maurizio. – V’ho io forse pregata di qualche cosa, oltre la vostra concessione? Ho chiesto forse la vostra amicizia? Eh, lo so: vi avrei insultata, chiedendovela! E non l’ho fatto… Ho continuato a venir qui…

             – E vi par poco? – gli domandò Fulvia guardandolo acutamente.

             – Ma non per voi… Via Fulvia, state pur contenta, che avete fatto bene, am­messo anche che vi sia costato un sacrifizio, benché io non intenda perché poi vi debba pesar tanto qualche mio… sì qualche mio favoruccio, il più disinte­ressato che si possa immaginare! State tranquilla: non è fatto a voi, né a vo­stro marito, e forma l’unica mia felicità, perché posso dire d’aver fatto anch’io qualcosa per la vostra bambina… Guardate: – disgraziatamente Aldo è ancora per una triste china… Il pericolo dunque dura tuttavia: chi meglio di me, con meno disinteresse di me potrebbe difendervi? A chi potreste rivolgervi? Fulvia scattò in piedi.

             – Io? Oh, io, se mai, a chiunque altro, ve l’assicuro, e a qualsiasi patto, tranne che a voi, guardate!

             Maurizio Gueli la guardò come compiacendosi dell’accensione del volto di lei per quello scatto d’ira; poi con calma osservò:

             – Ho torto io nel dirvi strana?

             – Ah, strana per questo? – incalzò Fulvia. – Vi sembra strano…

             – Che sentiate siffattamente per me? – terminò Maurizio la frase. – No davvero! Mi sembra anzi naturalissimo…

             – E dunque?

             – Sebbene ormai… via! Ma agli occhi vostri, si sa, io sono il solo qui, che non soffre nulla, è vero? Anzi, anzi di tanto in tanto vengo a tórmi come in premio i sorrisi d’una dolce creatura… Son la prova vivente d’un vostro… delitto, è vero? Adesso lo chiamate forse così… Già! prima per voi delitto era invece il legame che vi accompagnava per forza a un uomo che non vi amava e che non amavate. Ma anche questo è naturale… Strano, mia cara, è quest’al­tro fenomeno: che voi, ora, siate – lasciatemelo dire – così perdutamente innamorata di vostro marito, anzi – per dir meglio – malata di lui… Com’è av­venuto? Più ci penso, meno riesco a spiegarmelo…

             – Come! Eppure – fece Fulvia con beffardo stupore – siete così gran conoscitore di donne voi!

             – Voi, invece, mi credete uno sciocco – rispose Maurizio. – E sia! Opinioni… Io vi stimavo così insuscettibile d’amore…

             – Ah sì? E ora?

             – Ah, lo stesso! Ma…

             – C’è un mal

             – Vostro marito.

             – Non l’amo? – domandò Fulvia, mostrando con dolcissima grazia quasi paura che il Gueli le rispondesse di no.

             – Come? – fece questi un po’ imbarazzato. – No… ecco… prima… bisogna distinguere. Io per dir la verità, mi ci perdo. Perché, sì, questo vostro amore – scusate veh! – mi fa pensare a un pasticcio. Mi spiego: c’entra un po’ di tutto… Ecco, vediamo: Pentimento prima, va bene? Del resto, è naturale, per la gravità del caso… Segreto bisogno di perdono, va da sé. Poi, anche bisogno d’un legame, è vero? la gioventù! e allora: vanità offesa, puntiglio, dispetto… un fermento insomma d’impressioni e di sentimenti, ai quali sa esser campo soltanto il cuore d’una donna…

             – L’amo o non l’amo? – domandò Fulvia, passando sopra, dispettosamente, allo sforzo d’analisi del Gueli.

             – L’amerete! – rispose Maurizio. – Ma io vorrei spiegarmi il come e il perché…

             – A che prò e a che scopo?

             – Per amore dell’arte.

             – A mezzanotte?

             Maurizio tornò a guardar l’orologio, poi con grande serietà disse:

             – Non ancora. Mancano venti minuti. Volete sentire la verità? Com’io la pensi? Vi siete trovata innanzi a un uomo…

             – A voi? – interruppe Fulvia.

             – No: a vostro marito, che non s’è curato mai di voi… lasciatemi dire – né di voi, né della casa, né prima né poi – mai! Accecato da un’altra passione che l’ha quasi tratto alla rovina; fiero, però e sprezzante, ah! quasi orgoglioso del suo delitto – questo sì, delitto: chi spoglia sé, la moglie, la… figlia, la casa, come ha fatto lui, per me, scusate, è un delinquente!

             – Un pazzo! – sospirò Fulvia.

             – Già, già, benissimo! Dimenticavo infatti che nel pasticcio entra finanche un sentimento di pietà incomprensibile. Sicuro! Per voi è soltanto un pazzo, un povero pazzo… Cercaste di ricondurlo sulla via della ragione? Non v’intese neppure! Andaste a lui, offrendovi, passione contro passione? Fu più forte la sua: vi respinse! Lo minacciaste? Restò indifferente, quasi lasciandovi pa­drona di fare a piacer vostro, pur di non esser molestato… Ah, c’era veramente, in questo modo d’agire, di che tentare una donna come voi! Ecco alfine un uomo che non è di pasta frolla! Un uomo che finalmente sa essere qualche cosa – anche un pessimo arnese, se vogliamo! E frattanto, vi mettete a odiar me, perché non riuscivate a farvi amare da lui! Graziosissimo!… Vi ha egli la­sciata oltrepassar mai, in tanti anni che state insieme, il limitare della più lieve confidenza? Mai! V’ha tenuta sempre, diciamo così, fuori la porta. Vi siete messa a picchiare; ma sì! lui era occupato a buttar tutto giù dalle finestre… Quando ha badato a voi? È finanche sfuggito al vostro assedio! E ora, siete rimasti fuori tutti e due… Quasi quasi, qui, il padrone di casa sono rimasto io… Ah, ne combina la sorte! Come una mendicante dietro la porta chiusa, voi aspettate ch’egli ritorni…

             Maurizio Gueli cavò dalla tasca posteriore un elegantissimo portasigarette, ne trasse una, l’accese, poi tese di nuovo la mano a Fulvia e salutò:

             – Buona notte, Fulvia, e buona attesa. Sapete? Ci sarebbe forse un solo mezzo per mettermi alla porta…

             – Quale? – domandò Fulvia con ansia affettata. Maurizio sorrise freddamente.

             – Dategli a intendere che vi faccio la corte.

             – Temete che lo faccia? – domandò Fulvia e si morse il labbro inferiore. Maurizio, continuando a sorridere, agitò più volte una mano con l’indice teso; poi disse inchinandosi:

             – Son quasi sicuro che non vi crederebbe. Basta. Buona notte. Passo dal circolo, e ve lo mando subito… Buonanotte.

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