«DEINE JENNY». La lettera di Jenny Schulz Lander a Luigi Pirandello (Con audio lettura)

Di Elio Providenti

Tra tutte le donne di Pirandello, Jenny fu l’unica ad occuparne il cuore con la serena spensieratezza della gioventù, offrendogli le gioie dell’amore senz’altro domandare, un dono che nella vita a lui non toccherà più.

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La lettera di Jenny Schulz Lander a Luigi Pirandello
Jenny Schulz Lander. Immagine dal Web.

«DEINE JENNY».
La lettera di Jenny Schulz Lander a Luigi Pirandello

da Academia.edu

Leggi e ascolta. Voce di Giuseppe Tizza. 

Mein lieber Luigi!

Bonn d. 13. 6. 91 

Also nochmals bitte lieber Luigi schreibe bald und wenn Du wirklich noch krank bist so wünsche ich herzlich daß Du bald recht bald wieder gesund bist.

Deine Jenny

 ******

Leggi e ascolta. Voce di Giuseppe Tizza. 

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Mio caro Luigi,

Bonn, 13. 6. 91

rientro in questo momento da un viaggio, stanca e triste del risultato. Se ora avessi trovato una tua lettera, sarei di nuovo più lieta; ma no, nient’affatto. Sono quasi tre settimane e la mia testa non sa che pensare del perché il mio Gigante non scrive più. Non voglio e non posso credere che tu sia così senza cuore da non scrivere più; sicuramente sarai ancora malato. Dimmi, ti prego, che cos’hai, oppure lascia scrivere qualche parola a tua sorella: come puoi farmi rimanere in tanta ansia?

Aspetterò ancora una settimana, ma, in nome di Dio, se allora sarò senza tue notizie, scriverò a tuo padre, perché non so nemmeno dove sei.

Ancora una volta, caro Luigi, scrivi subito, e se fossi ancora malato ti auguro di cuore di guarire presto, molto presto.

Tua Jenny

 ******

Riemerge dalle latebre familiari questa letterina di Jenny Schulz Lander che riproduco nel testo tedesco e nella traduzione italiana. Ritrovata dopo oltre cento anni tra le carte di Anna, la sorella dello scrittore, fu messa a mia disposizione dalla di lei figlia Concettina, due longeve generazioni pirandelliane: Anna scomparsa nel 1958 a ottantanove anni, Concettina nel 1996 a novantasei. Io che le ho conosciute entrambe nutrendo per loro sentimenti di affetto e di devozione, voglio qui ricordarle associandole al ricordo dolente di mia madre Amelia, scomparsa volontariamente nel 1965, figlia di Anna e sorella minore di Concettina.

Rara fortuna delle carte è quella di apparire quando i tempi sono maturi. Per lo più esse sono destinate alla distruzione o alla dispersione, secondo quanto impone l’economia della memoria, selettiva di tutto ciò che l’uomo, inestinguibile nella sua feracità, produce. Dunque una sola lettera, superstite della corrispondenza più numerosa che Jenny tenne con Luigi.

Le lettere di Luigi, invece, la fanciulla renana le conservò diligentemente. Dopo la morte di Emily, la figlia che ne era stata anch’essa attenta custode, furono messe in vendita e acquistate in un’asta newyorchese del 28 settembre 1967 dal Centro Harry Ransom Humanities Research dell’università del Texas (Austin, U.S.A), dove ora sono tutte conservate e consultabili.  Ma, attenzione, le lettere di Luigi Pirandello acquisite dal Centro Harry Ransom erano 17. Due altre, di diversa provenienza, forse sottratte o perse da Jenny, apparvero in Germania: la prima, datata Rom, 17 Oct. 1891, messa in vendita a Stoccarda nel 1979 e acquistata dallo Stadtarchiv di Bonn; l’altra, datata Villa Caos, d. 4 Mai 1891, acquistata a Berlino nel 1995 dalla Biblioteca universitaria di Bonn.

Leggendo la lettera di Jenny noi ben comprendiamo come la giovane renana sia ormai dominata dal dubbio sul sentimento amoroso di Luigi. Il compimento degli studi e il ritorno in patria furono segnati per l’esordiente poeta non soltanto dall’addio alla filia hospitalis di Bonn, ma anche dalla decisione di sciogliere la promessa di matrimonio avventatamente scambiata anni prima con la cugina palermitana: un legame che ormai gli si materializzava soltanto nella frustrante fantasticheria d’una vita coniugale come annichilimento d’ogni vocazione artistica. All’inizio del secondo semestre del 1891, dopo il rientro da Bonn, avviene quindi la più importante scelta di vita di Luigi Pirandello, quando il giovane laureato in scienze filologiche trovò il coraggio di rescindere ogni legame affettivo così con la Jenny come con la Lina, per dedicarsi tutto al suo amore maggiore, l’Arte.

Ma nel momento stesso in cui egli avrà spezzato l’un dopo l’altro i legami che la sua giovinezza gli aveva pur prepotentemente imposto, ne nasce una condizione di depressione sentimentale che troverà un surrettizio compenso negli affetti familiari. In questa desertificazione delle passioni, il dominio oscuro e noumenico dell’arte si acuisce come una devianza amorosa, ben individuabile nell’epistolario di questi anni:

Io ho sciaguratamente, come un buon poeta del decimoquarto secolo, un’amante ideale, l’Arte! E l’amo come fosse persona viva, spasimo per lei, la chiamo, la supplico, la sento quando Ella dopo avermi umiliato mi concede le sue grazie. Questa, se intendi bene, al secol nostro pratico e positivo, è una sciagura! Io vedo di giorno in giorno che mi vien meno e si raffredda l’ambiente in cui Ella ama vivere, e ciò mi rende immensamente triste. Per lei, io, avrei caro sagrificar tutto, e prima me stesso! (da Palermo, 6 nov. 1887).

E tre anni dopo, con identico stato d’animo:

È il mio amore e la mia morte; sì, miei Cari, è per me una morte il vedere qual misero conto si faccia oggi di lei, e di chi a lei ha passionatamente sacrificato i suoi giorni migliori. Ora questo sentire, che nell’unico affetto mio, io mi trovi quasi fuori del tempo, se veramente non mi avvilisce, mi dà bene un ineffabile schifo di vivere, uno sdegnoso disamore di tutto (da Roma, 19 dic. 1890).

Trascorrerà altro tempo e la situazione, pur immutata, mostrerà infine le prime crepe per l’ormai constatata impossibilità di rapida affermazione e di successo in campo artistico. Insomma, a ventisei anni e a due dal completamento degli studi, sul punto di doversi confrontare da solo con la vita, la dipendenza economica dal padre e l’assenza di concrete prospettive gli pongono interrogativi e dubbi dilaceranti:

Intanto, è vero, io non so più scoraggiarmi. La passione dell’arte mi ha preso tutto e mi possiede tutto. Dell’avvilimento in cui l’arte è caduta oggidì; degli stenti, che a chi l’ama e le resta fedele, tocca durare; io non mi lamenterei neppure, se non venisse ad amareggiarmi un altro pensiero, sto per dire una visione. È vero, mi sarebbe lieve, anzi mi è lieve rinunziare per questa mia unica passione, ai possibili agi della vita, alla pace d’una casa tranquilla e ritirata, all’amore, a tutto insomma; ma non mi sa esser lieve, né mi può, il pensiero che c’è un altro che lavora per me, e che mi rende sopportabili i disagi di queste mie rinunzie. Nessuno può dirmi: tu non lavori! Ma chiunque può schiacciarmi sotto la domanda: – A che approda il tuo lavoro? A nulla! Io non ho neppure la soddisfazione morale del mio lavoro, nulla, nulla; e ciò non per tanto non chiedo, non bramo che lavorare, che distruggermi nel mio lavoro, morir della febbre che esso mi dà e che ad esso io dò, in questa sublime e tremenda comunione di due fiamme divoratrici; così, senza uno scopo determinato, per amore soltanto (da Roma, febbr. 1893).

Maturerà così una nuova situazione esistenziale, del tutto peculiare, e con qualcosa di astrusamente costruito, proprio come in una delle novelle della prima raccolta Amori senza amore.

“Se tanto mi dà tanto – ragionerà con buonsenso commerciale il padre di Luigi – bisognerà trovare per mio figlio una soluzione che soddisfi le due esigenze, quella della sua vocazione e contemporaneamente quella di una sistemazione che possa dargli benefici economici tali che, se ben amministrati, ne scaturiscano anche di ulteriori, in compenso dei sacrifici finora fatti per lui”. – L’uovo di Colombo! Passivo acquiescente e connivente il figlio, tutto consisterà in un matrimonio di convenienza che assicuri, con la ricca dote della sposa investita nelle imprese paterne, una rendita sufficiente sia al decoroso mantenimento a Roma della nuova famiglia che a rimpinguare la cassa sociale in un momento non certo favorevole al commercio degli zolfi. Si ordiranno così i primi fili di una trama sempre più ingarbugliata che, annodandosi coi sentimenti e con gli affetti, confondendosi con il siciliano senso della roba, generando ed esacerbando malintesi odii ed egoismi, esploderà infine in una miscela di sofferenze, di disperazione e di follia.

Ma ritornando alla Jenny, già nell’estate del 1890 la ragazza renana s’era lasciata irretire nella commedia wertheriana di Luigi, che aveva operato la spudorata conversione del nome della fidanzata siciliana Lina, gelosa e inquieta, in quello medesimo dell’inconsapevole sua sorella maggiore, spacciata per malata e invocante dalla lontana isola nativa la presenza dell’amato fratello. Anche in questa lettera vediamo come la Jenny sia pronta a chiedere che almeno la sorella le faccia avere qualche notizia, e se non lei, il padre! – È evidente che per lei, a quasi tre mesi dalla partenza dell’amato, il legame comporti ancora un forte coinvolgimento sentimentale. Per Luigi, invece, la consapevolezza della fine del rapporto si mescola al rimpianto della felice stagione studentesca sul Reno e a una punta agro-dolce di rimorso. Un sentimento che si stratificherà per dar frutti, in prosa e in versi, anche a grande distanza di tempo.

Ora, nella risposta che le indirizza il 19 giugno 1891 da Villa Caos, egli spiega a Jenny perché non ha più scritto: il cuore malato, l’impossibilità di dormire già da quattro notti… – tutte scuse, naturalmente, che mascherano la volontà di voler operare un graduale, indolore distacco. E divaga poeticamente sul canto notturno di due cùculi che appollaiati sugli ulivi sotto le sue finestre sospirano e piangono d’amore, quando potrebbero unirsi e porre così fine alle loro pene. E soggiunge: «Ah, com’è stupido, com’è stupido! Sospirano così, piangono così, perché si amano; e quando penso che possono unirsi così facilmente, povere bestie!, io devo ridere – veramente, e ridere; ma ho, non so perché, gli occhi pieni di lacrime».

Che d’altronde anche Jenny cominciasse a presentire ormai vicina la fine della loro relazione, lo si intuisce, in mancanza di altre sue lettere, da quella successiva di Luigi, da Napoli, del luglio: «La tua ultima lettera – dice – mi ha fatto male. Io non ho dimenticato né te né Bonn, tu sei addirittura l’unico dolce ricordo della mia vita. Ah, ti prego, Jenny! non pensare male di me… Se non ti scrivo tanto spesso, tu devi pensare che ho ragione a fare così. Io non posso scrivere più una lettera – tanta è la sofferenza chiusa nel mio cuore. E poi – perché devo render triste anche te? È già troppo che sono tanto triste io». Nella stessa lettera c’è un riferimento all’anniversario della nascita di Jenny, il 26 giugno, quasi coincidente col suo, di due giorni dopo. Jenny gli aveva rimproverato di non essersene ricordato, mentre lei, che gli aveva scritto per tempo, non aveva voluto mancare d’inviargli un calendario in regalo. Luigi infatti soggiunge: «Oh come spesso sono venuto col pensiero da Te di giorno e di notte e Ti ho cercato nella Tua camera e Ti ho chiesto scusa! Non mi hai sentito vicino a Te? Il 26 giugno sono stato accanto a Te tutto il giorno, ma a causa della mia malattia non potei mandarti in tempo i miei auguri».

Un’altra illusione, coltivata nell’estate di quell’anno, di un ritorno a Bonn come lettore d’italiano e «solo come insegnante onorario, altrimenti mio padre non lo permetterebbe», cadrà nel vuoto; ma non, come dice alla Jenny, per il mancato riscontro del prof. Foerster, o non soltanto per quello, quanto piuttosto perché l’accettazione dell’incarico ormai non lo interessava più, costituendo un ostacolo alla via dell’arte così strenuamente perseguita.

Dopo un’altra lunga pausa di silenzio da agosto ad ottobre, le ultime tre lettere di Luigi insistono ancora sull’improbabilità d’un suo ritorno a Bonn (17 ottobre ’91), riprendono i temi del distacco e del rimorso («io sono veramente un poco di buono», novembre ’91) e concludono con un velato addio: «ah no, no, mia dolce Gigantessa, a che scopo illuderci? io non posso più ritornare» (ultima lettera, novembre ’91).

Quando, come racconta Nardelli, nel corso del primo viaggio nordamericano dell’ormai celebre drammaturgo (inverno 1923-24), Jenny, che era emigrata negli Stati Uniti, gli scrisse per chiedergli di rivederlo, Luigi rifiutò l’incontro perché – come le fece sapere – voleva che l’immagine di entrambi, e soprattutto quella di lei, rimanesse legata per sempre al ricordo della primavera renana e della loro ormai lontana giovinezza.

Che cosa dunque, dopo l’addio del 1891, era avvenuto di Jenny? La filia hospitalis era riuscita a superare la delusione dell’abbandono e a soffocare il suo dolore?

Anche per lei il ritorno alla vita ordinaria non era stato né lieto né facile. Triste e stanca si dichiarava all’inizio della sua lettera a Luigi: l’avvenire anche per lei si presentava incerto. A Bonn, nella piccola città renana, la vita si svolgeva tutta attorno all’università che, con il suo grande prestigio, attirava studenti non soltanto dall’Europa ma da ogni parte del mondo, costituendo la principale risorsa per gli abitanti. E ricordiamo che Alwine Lange Lander, la madre di Jenny, affittava per l’appunto camere agli studenti. Non c’è quindi da meravigliarsi se nella stessa stanza occupata da Luigi subentrasse, qualche giorno dopo la sua partenza, un altro giovane, questa volta originario di Mansfield (Ohio, U.S.A.), che arrivava per completare gli studi giuridici in Europa dopo aver frequentato i corsi della Sorbona a Parigi. William Hervey Blymyer, così si chiamava, era di cospicue condizioni economiche ed alla facoltà giuridica bonnense veniva a perfezionarsi in diritto internazionale e in scienze sociali. Appartenente a una famiglia dell’alta società statunitense, era destinato a diventare uno degli avvocati più in vista di New York, tra i migliori specialisti di diritto internazionale marittimo. Visse dal 1865 al 1939 ed è sepolto a Mansfield, dove nacque. Per via della piccola Jenny, il suo destino si è intrecciato a quello di Pirandello e perfino nei coevi annuari degli avvocati della città di New York, che recano le biografie dei più illustri appartenenti alla professione, è ricordato l’episodio:

«The room his occuped had been lived in the term before by a popular italian student named Luigi, who left behind him some very beautiful poems, dedicated to the young lady of the house. The young poet was to become the famous Luigi Pirandello».

«La stanza da lui occupata era stata abitata nel semestre prima da un popolare studente italiano di nome Luigi, che ha lasciato dietro di sé delle bellissime poesie, dedicate alla giovane padrona di casa. Il giovane poeta sarebbe diventato il famoso Luigi Pirandello».

Subentrò William H. Blymyer oltre che nella stanza di Luigi anche nel cuore di Jenny? Quel che è certo è che la giovane tedesca non fu dimenticata quando il futuro avvocato rientrò in patria nel 1892. Grazie alle relazioni della sua famiglia, William fece ottenere a Jenny il visto d’immigrazione negli Stati Uniti; e così, quando nel novembre 1892 ella arrivò, i Blymyer poterono segnalarla come giovane di lingua madre tedesca e adattissima a ricoprire il posto di bonne d’enfants a Stephen Grover Cleveland, il primo presidente democratico eletto dopo la guerra civile nel quadriennio 1885-89, che si stava preparando per la nuova vincente sfida elettorale del 1893. E fu così che la piccola Jenny si trovò a risiedere alla Casa Bianca come persona addetta alla famiglia presidenziale negli anni del secondo mandato Cleveland (1893-97). Fu lì che ella conobbe anche colui che sarebbe divenuto suo marito, John J. Nolan, un irlandese che svolgeva mansioni di addetto alle caldaie e di staffiere responsabile delle carrozze.

D’altra parte non è improbabile che attraverso qualche amico di Bonn (William Madden, Karl Arzt o Fritz Wichmann) Luigi avesse qualche sentore dell’interessamento del Blymyer, ragione di più per chiudere definitivamente la liaison. Ed infatti Nardelli, con una punta di malignità, riferisce che la Jenny americana era divenuta «una donna coltissima lungo un’esistenza assai mossa» e che «aveva composto le proprie memorie», delle quali naturalmente un capitolo, vero e proprio intermezzo poetico, era dedicato al poeta siciliano. Ma, e qui viene il bello: Jenny – prosegue Nardelli – «ha avuto l’inarrivabile grazia di non scriverlo da sé, codesto intermezzo poetico, bensì d’affidarne la stesura allo studente che prese il posto, diciamo proprio che occupò le stanze tenute da Pirandello quando partì. Un confidente postumo racconta l’idillio. Dunque: ricordi di ricordi. Può esservi una dolcezza più vaga?».

C’è un’evidente perfidia in queste righe, perché è del tutto chiara l’assurdità di una giovane donna che confidi i suoi ricordi a un nuovo venuto, violando la propria intimità, ancor più da salvaguardare, oltretutto, se col confidente aveva imbastito un nuovo rapporto. Aggiungasi che se nel suo cuore c’era ancora la ferita lasciatale dallo studente siciliano, ciò a maggior ragione era e doveva rimanere un fatto suo privato: a che scopo parlarne? E proprio da parte di colei cui la dedica di un libriccino di versi era già un segno di per sé eloquente? D’altronde – come ci testimonia Faustini – i nipoti di Jenny nell’effettuare la vendita del 1967 esclusero dall’asta proprio le memorie tedesche della nonna, Erinnerungen, che la figlia Emily negli ultimi tempi della vita di Jenny aveva anche tradotto in inglese col titolo When I remember, aggiornandole secondo le indicazioni che sua madre le veniva dettando. La presenza stessa delle Erinnerungen smentirebbe quindi le insinuazioni sul modo come furono stese, mentre si può supporre che il drammaturgo ne sia venuto a conoscenza quando Jenny, nel chiedergli di rivederlo, abbia fatto appello ai comuni ricordi e alle memorie che conservava.

Non è neppure difficile capire perché Jenny tenesse tanto a quelle sue memorie: sentiva di esser stata più d’una volta toccata dal destino: prima, per aver conosciuto e fatto innamorare di sé quello studente siciliano divenuto il celebre drammaturgo applaudito e conosciuto in tutto il mondo. Poi, appena emigrata negli Stati Uniti, per aver avuto in sorte d’esser prescelta dal presidente Cleveland a far da governante alla sua prole. E infine per essere passata, questa volta in coppia col marito, alle dipendenze di un altro personaggio, la famosa (per il mondo nordamericano) Emily Post, che, negli anni tra le due guerre mondiali, fu la regina e la despota del bon ton e dell’etichetta, regolatrice autorevole, inflessibile e attivissima con libri, articoli, trasmissioni radiofoniche, del comportamento yankee in società e nella vita di tutti i giorni. Nulla di strano, quindi, se a Jenny fosse venuta voglia di raccontare in che modo entrassero nella sua vita tutti questi personaggi, le vicende che l’avevano portata ad avvicinarli, e talvolta, in gioventù, anche ad amarli.

Jenny, l’abbiamo visto, era nata il 26 giugno a Braunschweig, due giorni prima di Luigi, nello stesso anno 1867 (come testimonia l’indagine anagrafica svolta da G. Bussino presso lo Stadtarchiv di Bonn), e morì il 6 gennaio 1938 esattamente un anno e ventisette giorni dopo del suo poeta siciliano. Anche in questo c’è qualcosa che li avvicina: una vita che si compie per entrambi quasi nello stesso arco temporale.

Tra tutte le donne di Pirandello, Jenny fu l’unica ad occuparne il cuore con la serena spensieratezza della gioventù, offrendogli le gioie dell’amore senz’altro domandare, un dono che nella vita a lui non toccherà più.

Elio Providenti

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