La fortuna di Pirandello nella civiltà araba

Di Carla De Fusco

La fortuna di un autore, nella universalistica civiltà contemporanea, passa attraverso la traduzione, che ne definisce la ricezione nei vari e diversi contesti letterari di ogni paese del mondo. Si intreccia con le culture nazionali, le modifica e ne è modificata, in un rinnovato e continuo processo di interpretazione che è il profilo concreto della classicità.

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Pirandello nella civiltà araba

La fortuna di Pirandello nella civiltà araba

da LIBRAweb

Pirandello è uno degli scrittori italiani più tradotti, egli stesso del resto ha contribuito a diffondere la sua opera in Europa e negli Stati Uniti, ma la diffusione dei suoi scritti ha oltrepassato i confini di una cultura occidentale, che ha facilmente riconosciuto in lui un esponente di una tradizione letteraria comune, sedimentata e consolidata da millenni, ed è approdata anche nel mondo islamico, interpretando e assecondando, come solo i grandi autori sanno fare, le tendenze nuove del nostro tempo.
Nella civiltà islamica, il cui universalismo ha anticipato la globalizzazione, le grandi letterature francese, inglese, tedesca e russa si diffondono già dai primi decenni dell’ ’800, ma fino alla prima metà del ’900, per la mancata conoscenza della lingua, gli autori italiani non hanno traduzioni in lingua araba e la ricezione è affidata alle traduzioni francesi e inglesi di pochi scrittori, fra i quali emerge Pirandello, che sono diffusi e letti quindi in una seconda lingua.
Del resto la lingua italiana ha sempre costituito una barriera non facilmente superabile anche in Europa. Negli anni ’30 la Svezia e tutti i paesi scandinavi, per esempio, pretendevano per la pubblicazione o la rappresentazione delle opere di Pirandello una versione francese, inglese o tedesca, mancando competenti traduttori italianisti. Ne è testimonianza una lettera inedita del ’33 di Stefano Pirandello a Umberto Mauri, responsabile della “Segreteria milanese”, che curava per Pirandello i diritti di autore. Stefano si preoccupa di avere la disponibilità delle opere dei traduttori francesi per soddisfare le richieste svedesi:

Il Linden vuol subito accaparrarsi il “Quando si è qualcuno”, di cui Papà gli ha lasciato una copia. Occorre […] provvedere sollecitamente all’invio di traduzioni in francese o tedesco o inglese delle commedie in cui non ci sia già l’edizione svedese. A questo proposito Lei farà bene a scrivere al Colin che si procuri da Benjamin Crémieux una copia dattiloscritta delle sue traduzioni di “Come tu mi vuoi”, “Lazzaro”,” La vita che ti diedi” già fatte, ma non pubblicate. [1]

 [1] Stefano Pirandello, Lettera inedita a Umberto Mauri, 6 dicembre 1933, Archivio pirandelliano, Studio Legale Cau, Roma. Nei numeri successivi di questa rivista farà seguito la pubblicazione delle lettere inedite dell’Archivio pirandelliano.

Ma nel mondo arabo, nonostante la lingua, la civiltà italiana non è stata ‘muta’, e già dalla fine dell’ ’800 la sua testimonianza diretta fu affidata al teatro, anzi al melodramma che ha rivestito un ruolo importante nella nascita del teatro arabo moderno.
Fino al 1870 la tradizione drammaturgica araba era incentrata sul cosiddetto Teatro delle ombre, un teatro popolare, in dialetto, basato sull’improvvisazione e coloro che promossero la creazione di teatri di modello occidentale, diedero vita di fatto ad un genere nuovo, operando il difficile passaggio dall’oralità alla scrittura, dalla provvisorietà scenotecnica di un teatro di strada alla complessità architettonica di un teatro stabile e non a caso i protagonisti di questo nuovo teatro avevano viaggiato a lungo in Francia e anche in Italia. Marun al Naqquas, mercante libanese, soggiornò a lungo a Parigi e in Italia, dove fu assiduo spettatore di rappresentazioni teatrali che suscitarono in lui profondo interesse. Tornato a Beirut nel 1847 mise in scena nella sua abitazione L’avaro di Molière e il nipote, Salim al-Naqqas, continuò l’opera e fondò varie compagnie teatrali, rappresentando Molière, Racine, Voltaire, Shakespeare. È imperante la tradizione drammaturgica francese ma, quando al Cairo fu fondato nel 1868 il primo teatro stabile “La commedia”, fu Il rigoletto di Verdi ad essere rappresentato,replicato l’anno successivo al Teatro dell’Opera, appena inaugurato.

Negli anni che vanno dall’inizio del ’900 allo scoppio della prima guerra mondiale, quando ancora non esistono produzioni arabe di autori italiani, gli egiziani Aziz Id e Yusuf Wahbi soggiornano a lungo in Italia per studiare recitazione. Yusuf Wahbi è allievo di Chiantoni e, tornato in Egitto, fonda una sua scuola destinata a formare le nuove generazioni di attori e attrici. Ad Alessandria nel 1912 Gurg Abyad, con studi di recitazione a Parigi, fonda una propria compagnia e mette in scena l’Edipo e l’Otello.
La cultura italiana si è presentata così con la ricchezza architettonica dei suoi teatri, con le sue scuole di recitazione, con l’opera di Verdi e si potrebbe dire che il melodramma ha costruito nell’immaginario arabo un carattere fondante del popolo italiano, destinato a rimanere a lungo radicato se anche il maggior traduttore di Pirandello nel 1973 ne farà un indicatore importante della fortuna dello scrittore agrigentino.
Questa predilezione e vicinanza con il teatro italiano motiva certamente la conoscenza di Pirandello prima degli anni ’50 non solo attraverso le traduzioni inglesi e francesi, ma anche attraverso la ricezione turca.

Dagli anni ’30 agli anni ’50 in Turchia, che vanta un’ampia conoscenza della letteratura europea, sono già edite molte opere di Pirandello: L’imbecille nel ’31, La balia nel ’39, Il turno nel ’45, Sei personaggi nel ’49, Novelle scelte nel ’51. Le opere pirandelliane arrivano ad Istanbul dai canali di traduzione russi, ma soprattutto dai paesi danubiani: Repubblica slovacca, Repubblica ceca, Romania, Ungheria, dove grande spazio ha avuto negli anni ’20 l’opera pirandelliana, mediata a sua volta dalle edizioni in lingua tedesca.
La Turchia, parte integrante della civiltà islamica, ha quindi un itinerario conforme alla fortuna europea dello scrittore agrigentino piuttosto che a quella dei paesi islamici africani di lingua araba o persiana e contribuisce alla conoscenza di Pirandello prima degli anni ’50, soprattutto dopo il conferimento del premio Nobel del ’34, già del resto ampiamente annunciato nel ’33.

Nel 1933 Uç Perdelik Facia pubblicata a Istanbul l’Enrico IV e la sua traduzione è accurata, accompagnata da illustrazioni della contessa Matilde, dell’incontro fra Enrico IV e Gregorio VII, della Rocca di Canossa, che orientano l’interpretazione verso il dramma storico: il potere assoluto di una Chiesa-Stato che priva l’individuo della sua libertà generando la follia e il labirinto di un’identità perduta.
Questa lettura accompagnerà la commedia nella sua diffusione nella civiltà araba, facendone l’opera prediletta di Pirandello, stabilendo vicinanze con il romanzo storico, soprattutto egiziano, che rievoca anch’esso il passato per leggere il presente. [2]

 [2] Uç Perdelik Facia, Ytalya’dan tercume eden Semsetten Talip, Ystambul, Ahmet Ihsan Basimevi, 1933.

Scriverà Muhammad Ismà’il Muhammad nel 1973 che l’opera di Pirandello «più famosa è Sei personaggi in cerca di autore, ma la gemma delle opere teatrali è l’Enrico IV». [3]

 [3] Thalaath masrahyyaat wa-thalaath qisas: Laymuun Siqillii; Shakhs ahmaq, al-Jarrah Muhammad Ismà’il Muhammad, al-Qahirah, Mu’assasat Sijill al-Arab, 1973, p. di copertina.

Ed è nel ’37 che Umberto Mauri chiede a Stefano Pirandello informazioni su un traduttore egiziano interessato all’opera del padre. Nella lettera inedita di risposta Stefano scrive:

Per il punto C) della lettera del 24 febbr. Non so che rispondere: nulla so della traduzione in arabo dello scrittore Hamin Hassuna; né in qual misura si possano richiedere i diritti. Credo che anche voi non abbiate dati in proposito: e mi sembra che l’unica cosa sia farci consigliare dalla SIAE stessa che ha un suo rappresentante al Cairo. [4]

[4] Stefano Pirandello, Lettera inedita a Umberto Mauri, marzo 1937, cit.

Il traduttore arabo è Muhammad Amin Assunah, che pubblicherà l’Enrico IV solo nel 1958, ma lo scambio epistolare fra il Mauri e Stefano Pirandello testimonia ancora una volta l’interesse per Pirandello prima degli anni ’50, anzi ipotizza una traduzione in arabo della quale non esiste documentazione e che quindi avrebbe dovuto circolare non ufficialmente, cosa del resto non rara nel mondo arabo.
Nonostante l’assenza di traduzioni ufficiali prima del ’58, le tracce di Pirandello sono quindi numerose e certamente motivano la fortuna della sua opera teatrale che saprà vivere in tutta la sua poliedrica ricchezza nella civiltà araba, influenzando negli anni ’70 giovani registi e scenografi che hanno studiato in Italia, come Abdel Rahman El Sharkawi, Yussef Idriss, Mustafà Mahmud, i quali proporranno nelle loro opere la scena senza sipario e il dialogo fra il regista e il pubblico o fra il regista e gli attori, ma il testo drammaturgico pirandelliano vivrà soprattutto di vita propria per la sua specifica letterarietà piuttosto che per la sua soluzione scenica, offrendo così una lettura della scrittura pirandelliana, modello significativo per la prosa araba nascente. È questa infatti la caratteristica dominante del teatro pirandelliano in lingua araba: vivere nella ‘parola’, tanto che l’interesse per ‘la scrittura’ resterà predominante fino alla fine del ’900.
La traduzione degli autori italiani in lingua araba inizia, come in Persia, negli anni ’50 e anche qui è Machiavelli il primo a essere tradotto da tre italianisti: Rafael Zakjur, Muhamed Lufti e Kahiri Hammad. Negli anni immediatamente successivi Taha Fawzi traduce Cuore di De Amicis nel ’57, L’innocente di d’Annunzio e I promessi sposi di Manzoni nel ’68, e Hassan Osman si impegna per un lungo decennio, ’59-’69, nella traduzione de La Divina Commedia di Dante. [5]

 [5]  I dati relativi alle traduzioni: titolo dell’opera, traduttore, anno di pubblicazione, sono un contributo a questo saggio di Amanie Fawzi Habashi, docente di Lingua e Letteratura Italiana alla cattedra di Lingue nell’Accademia delle Arti del Cairo.

La stagione delle traduzioni di Pirandello inizia con l’egiziano Muhammad Amin Assunah che pubblica nel 1958 l’Enrico IV. Sempre in Egitto Kalib Salib dà alle stampe nel 1963 Così è (se vi pare) e Muhsmmad Ismà’il Muhammad La giara nel 1965. In Libano sono pubblicate nel 1967 Novelle italiane e nel 1960 un grande protagonista della ricezione degli autori italiani in lingua araba, Khalifah Tilisi, pubblica in Libia Opere varie.In Tunisia Tawfiq Ashur traduce nel 1972 Il dovere del medico e La giara.
Ma è al Cairo che Pirandello trova la sua grande diffusione ad opera di un traduttore italianista, Muhammad Ismà’il Muhammad, che nel 1961 dà alle stampe la prima traduzione araba di Sei personaggi in cerca d’autore, riedita nel ’65 e nel ’67, alla quale faranno seguito molte altre commedie fino alla fine degli anni ’70, raccolte poi nella «Collana del Teatro Internazionale ii del Kuwait». È con Muhammad Ismà’il Muhammad che si identifica la fortuna della drammaturgia pirandelliana tanto che definire la ricezione di Pirandello in lingua araba significa seguire l’opera del traduttore egiziano, nelle sue scelte e nella sua peculiare interpretazione.

Muhammad Ismà’il Muhammad è nato al Cairo nel 1920, ha fatto i primi studi nelle scuole egiziane e si è laureato in Filosofia nel 1943. Ha ottenuto il master in giornalismo nel ’49 e ha soggiornato in Italia, dove ha frequentato l’Università di Perugia. Ha pubblicato Studi sull’Africa e La parola sentita ed è stato membro della “Assemblea dei letterati drammaturghi” in virtù delle sue traduzioni del teatro pirandelliano per le quali ha ottenuto dallo Stato Italiano un’onorificenza come apprezzamento della sua opera di diffusione di un autore italiano in lingua araba.
L’opera del traduttore egiziano si rivolge soprattutto al teatro e di questo predilige una ricezione puramente letteraria, affidata alla parola, lontana e, si potrebbe dire, indifferente al sincretismo della messa in scena. Atteggiamento questo certamente conforme alla definizione di “letterati drammaturghi”, della cui Assemblea Muhammad fece parte, e vicino a quel “teatro da leggere”, genere nuovo di cui si farà portavoce Mahfuz, a testimonianza della possibilità di un cammino inverso rispetto alla tradizione europea: dalla regia al testo drammaturgico, dalla scrittura drammaturgica a quella prosastica.
Il teatro pirandelliano domina così al Cairo fino agli anni ’70 con le accurate edizioni in lingua araba del traduttore egiziano, capaci di suscitare interesse per il teatro italiano e certamente l’opera di Muhammad Ismà’il Muhammad prepara la scelta dell’italianista Salama che, unico esempio nel panorama culturale islamico, traduce negli anni ’80 il teatro di Eduardo De Filippo: Questi fantasmi nel 1980, Natale in casa Cupiello nel ’82, Filumena Marturano nel ’83, Napoli milionaria nel’86.

Pirandello e De Filippo si situano quindi in una contiguità cronologica che evoca, però, anche corrispondenze avvertite e sentite fra i due autori da una ricezione sempre capace di ritracciare e ridefinire i contorni di un’opera letteraria.
Per la sua traduzione dei Sei personaggi Muhammad sarà invitato al “Convegno internazionale di studi pirandelliani”, tenuto a Venezia nello stesso 1961, i cui atti saranno pubblicati nel ’67 da Le Monnier. Nel Convegno, che segna nella cultura italiana un’importante ripresa degli studi pirandelliani, il traduttore tiene una relazione che merita di essere riproposta perché definisce un’interpretazione complessiva dell’opera pirandelliana, quasi un’ermeneutica della ricezione.
In essa Muhammad cerca soprattutto di costituire un ponte, un’affinità fra lo scrittore agrigentino e il mondo egiziano:

Prendiamo ad esempio “La giara”: se questa commedia fosse rappresentata in un Teatro dell’Oriente per un pubblico arabo, e non fosse menzionato l’autore, se quei caratteristici personaggi di Pirandello si chiamassero ad esempio Hasan, Amn Ahmad ed Alì, nessuno fra i presenti nella sala si accorgerebbe della vera paternità del lavoro […] E inoltre: il miracoloso mastice di Zi Dima non fa ricordare agli egiziani quella pasta che utilizzano i contadini nella valle del Nilo per conciare le giare e le brocche? […] Se qualcuno dei presenti avrà l’occasione di recarsi un giorno nella campagna egiziana troverà tanti Don Lollò ed altrettanti Zi Dima e non si sentirà a disagio..[6]

 [6]  Muhammad Ismà’il Muhammad, Pirandello visto da uno scrittore egiziano, in Atti del Congresso Internazionale di Studi Pirandelliani, Venezia, 2-5 ottobre 1961, Firenze, Le Monnier, 1967, p. 211.

Per il traduttore egiziano Pirandello sa interpretare e rappresentare le profonde ingiustizie di una realtà del tutto simile a quella egiziana, non a caso egli ricorda che la Sicilia è stata per tre secoli una “Sicilia saracena” e che Pirandello “era di Agrigento, di Girgenti, Kirkint del geografo Idrisi”. La sicilianità di Pirandello assume così i connotati di una militanza:

Zi Dima è inoltre vittima del signorotto, il quale vuole applicati i punti non perché non creda nel mastice, ma perché con quel che deve pagare deve avere tutto. […] Se essi (ndr i signorotti) hanno bisogno dei loro braccianti, sono pieni di buone parole e benedizioni […] ma non appena accade qualche danno che li costringe a rimettere di tasca propria, eccoli scattare come una molla e trasformarsi in tiranni. [7]

 [7]  Ivi, p. 212.

E per testimoniare che la scrittura pirandelliana non solo interpreta la quotidianità del vivere del mondo egiziano ma ha permeato di sé la società fino alle più alte Istituzioni, Muhammad cita un passo della Filosofia della rivoluzione di Abd el Nasser:

Non so perché, ma quando mi trovo solo a meditare, mi viene sempre alla memoria una celebre opera del grande scrittore italiano Luigi Pirandello, dal titolo “Sei personaggi in cerca d’autore” La storia […] è stracarica di eroi i quali si sono formati da soli nei grandiosi ruoli che hanno interpretato. [8]

 [8] Ivi, p. 213.

Abd el Nasser ha ‘letto’ la determinazione dei ‘personaggi’ ad essere personaggi e ha dimenticato la loro incompiutezza, ma la ricezione è sempre anche nuova possibilità di lettura che la scrittura di un grande autore sa e può compatire, anzi si potrebbe dire che in questo si ritrovano i veri palinsesti dell’universalità di un’opera letteraria.
Il profondo legame con Pirandello caratterizza tutta l’attività di traduzione di Muhammad che, dopo i Sei personaggi, dà alle stampe l’Enrico IV nel ’66, Così è (se vi pare) nel ’67, Ciascuno a suo modo nel ’68,Tre novelle e tre commedie. Lumìe di Sicilia, La giara, L’imbecille nel ’73.
Il ’73 è un anno di intenso lavoro per il traduttore egiziano che pubblica anche Diana e la Tuda, La vita che ti diedi, Il piacere dell’onestà ed infine, a conclusione del suo itinerario pirandelliano, La morsa, Il gioco delle parti e L’uomo dal fiore in bocca. [9]

 [9]  I dati relativi alle traduzioni: titolo dell’opera, traduttore, anno di pubblicazione, sono un contributo a questo saggio di Moheb Saad, docente presso l’Università di ‘Ayn Shams del Cairo.

La pubblicazione del ’73 dei tre atti unici è particolarmente interessante sia per l’edizione accurata, che presenta in copertina l’immagine dell’autore e del traduttore con brevi profili monografici, sia per la composizione dei testi ma soprattutto per l’introduzione, nella quale Muhammad delinea il profilo critico delle opere pirandelliane, riprendendo per molti aspetti la conferenza veneziana del ’61.
Sono tradotte e messe a confronto Lumìe di Sicilia, La giara e L’imbecille nella versione prosastica e in quella drammaturgica, una scelta efficace che tende a indagare il processo di transcodificazione dalla novella al teatro, unico esempio di tutta la ricezione araba pirandelliana. Le novelle non riescono tuttavia, nonostante la presentazione accurata, a creare interesse per la prosa pirandelliana, così fortemente assimilata ai testi drammaturgici, quasi una loro prova d’orchestra. Il teatro è considerato da Muhammad il solo genere nel quale Pirandello si realizza compiutamente, riuscendo a superare il verismo di Capuana, De Roberto e Verga, mentre le Novelle sono ritenute ancora legate a una prospettiva regionalistica, valida perché racconta l’amore di “un figlio” per la sua terra, ma lontana dall’universalità dell’arte:

le novelle hanno analizzato i problemi della società italiana, mentre questi problemi hanno avuto un’importanza umana nel teatro, incentrato nella sofferenza dell’uomo con se stesso per ricercare se stesso e nella sofferenza dell’uomo per le apparenze, le menzogne che vivono nella società. Il teatro ha la capacità di arrivare alla profondità dell’uomo e plasmare i sentimenti della gente di tutti i livelli sociali. [10]

[10] Thalaath masrahyyaat wa-thalaath qisas: Laymuun Siqillii; Shakhs ahmaq, cit., p.7. Traduzione di Wafaa Mohamed Ahmed.

È data alle novelle una funzione militante di denuncia che era stata già ampiamente affermata nel ’61 al Convegno veneziano e che assume quindi, ripetuta dopo più di dieci anni, il valore di un profilo critico ormai acclarato. Questa interpretazione della sicilianità di Pirandello motiva la predilezione per i testi drammaturgici con una inversione dei ruoli rispetto alla prospettiva pirandelliana: è il teatro sub specie aeternitatis e per questo Muhammad Ismà’il Muhammad, con la sensibilità critica modellata sulle esperienze della civiltà araba, avvicina il teatro pirandelliano all’universalità delle opere dei grandi narratori russi: «il suo modo di presentare i personaggi è vicino a quello di Gogol, Cechov, Turgeniev». I testi drammaturgici sanno cioè proiettare l’impegno civile, ereditato dalle novelle, in un umanistico immaginario artistico, non a caso il teatro pirandelliano è interpretato come segno di continuità della tradizione letteraria italiana, con una corrispondenza con l’autore che ha rappresentato nella civiltà islamica l’inizio della ricezione italiana, Machiavelli:

Pirandello, quando si è avvicinato al teatro, cercava un luogo per presentare le sue idee ed era convinto che l’opera teatrale potesse rappresentare la realtà, che aveva scoperto, al pubblico in modo facile e meraviglioso perché credeva nella forza e nel potere del teatro come Machiavelli credeva nella forza dello Stato. [11]

[11] Ivi, p. 15. Traduzione di Wafaa Mohamed Ahmed.

Le pagine critiche di Muhammad, oltre alla predilezione per il teatro, rivelano anche una lettura della cultura italiana ancora filtrata dall’osservatorio francese. Del resto dagli anni ’50 agli anni ’70 operano nella civiltà araba valenti traduttori italianisti che hanno infranto il monopolio letterario francese e russo, ma la conoscenza della cultura italiana risulta ancora frammentaria ed episodica anche in Egitto, che pure è il centro della diffusione della letteratura italiana.
Scrive il traduttore egiziano sempre nella prefazione del ’73:

I romanzi e le novelle di Pirandello hanno avuto in Italia un grande successo rispetto alle opere teatrali, mentre le opere teatrali hanno trovato un grande successo fuori l’Italia. Il teatro è stato diffuso in modo eccezionale in Francia o in Germania e in generale in tutta Europa e anche negli Stati Uniti. Le opere teatrali di Pirandello occupano fino ad ora una posizione prevalente tra le rappresentazioni de “La Commedia Francese”, non c’è inoltre alcuna stagione teatrale in tutta Europa che non presenti una o più opere dell’autore. Questo non significa che in Italia non sia stato famoso come drammaturgo, però la maggioranza del popolo italiano preferisce andare a teatro per godere la musica e il canto. Preferisce invece leggere i romanzi e le novelle, mentre il teatro diviene secondario sia nella lettura che nella rappresentazione. [12]

[12] Ivi, p. 5. Traduzione di Wafaa Mohamed Ahmed.

Evidenti in questo profilo critico gli echi antichi del fascino suscitato dal melodramma verdiano, ma si rintraccia anche la notizia del fiasco della prima edizione romana dei Sei personaggi e del grande successo ottenuto a Parigi con la regia di Pitöeff, che sposta in Francia l’interesse per il teatro pirandelliano. Significativo poi è anche il sottolineare da parte del traduttore la lettura del testo teatrale come neutra alternativa alla ‘rappresentazione’, ed in effetti la sua opera di traduzione consegna a lettori piuttosto che a spettatori la drammaturgia pirandelliana, ma questa è la dominante e significativa caratteristica della ricezione del teatro di Pirandello in lingua araba che, se per questo rimane lontano dai circuiti mass-mediologici radiofonici e televisivi che hanno individualizzato la ricezione persiana, perdendo in recettività, diviene invece incisivo nell’incontro con gli autori arabi, ne influenza e ne modella la scrittura e il pirandellismo di Mahfuz ne è una attendibile testimonianza.

Nagib Mahfuz, il primo scrittore arabo a conseguire il Premio Nobel per la Letteratura, ha sempre affiancato all’opera di scrittore quella non meno importante di traduttore dei classici russi e francesi insieme alle opere filosofiche di Freud, Marx, Kant fino a Sartre. Dopo i romanzi storici, ambientati nell’Egitto dei Faraoni, e la trilogia del periodo realista, composta fra il ’56 e il ’57, Mahfuz, chiamato Al Sabir, il paziente, scrive nel ’67 Miramar, opera che inizia l’ultima fase della sua produzione venata di pirandellismo. Miramar è il nome di una pensione di Alessandria, dove si incrociano i personaggi dando luogo a un vero e proprio coro polifonico e uno stesso fatto di cronaca viene raccontato da quattro diverse prospettive senza che alcuna sintesi sia possibile in una pirandelliana rinuncia all’univocità del reale.
La centralità del dialogo, anzi l’accentuata dialogizzazione della prosa, deve la sua elaborazione e la sua complessa tecnica alla scrittura drammaturgica, tanto che Mahfuz considerava il drammaturgo Tawfik al-hakim il suo maestro e in questa prospettiva è significativo il fatto che Mahfuz si sia cimentato anche nella produzione teatrale, creando il già citato “teatro da leggere”, sottolineando così la vicinanza formale fra prosa e teatro, che è la caratteristica dominante del romanzo arabo moderno ma che è anche una vicinanza pirandelliana.
Scrive Manrico Murzi, traduttore de Il rione dei ragazzi:

Il romanzo di Mahfuz, “Il rione dei ragazzi”, può essere preso ad esempio di traduzione di un testo arabo in prosa: la frequenza dei dialoghi, tipici della letteratura araba rinata proprio in Alessandria con il drammaturgo Tawfik al-hakim, che Mahfuz considera il suo maestro, ne fa un testo in gran parte teatrale. Il che impegna chi traduce a entrare nei personaggi e dare loro il tono e il modulo che li distingue “ciascuno a suo modo”. [13]

[13]  Contributo a questo saggio di Manrico Murzi, Ambasciatore di Cultura dell’UNESCO e traduttore di Mahfuz.

Mahfuz conosceva Pirandello, lo aveva letto in inglese prima degli anni ’50, e di questo suo incontro con lo scrittore agrigentino parla ancora Manrico Murzi, che, colpito anch’egli da fatwa per la traduzione de Il rione dei ragazzi, era legato allo scrittore da affettuosa e lunga amicizia. Murzi rievoca uno dei tanti incontri nelle cafeterie del Cairo, vero centro nevralgico della cultura egiziana, e aggiunge qualcosa di nuovo alle fonti di Mahfuz:

Gli chiesi se avesse letto qualcosa in italiano, accennò a Dante e Boccaccio e poi a Pirandello, Nobel proprio quel ’34 in cui si laureò. Ne aveva letto, in traduzione inglese prima degli anni ’50, “Il fu Mattia Pascal”, l’“Enrico IV”, qualche novella, rimanendo particolarmente impressionato da “La giara”, nella quale ritrovava tanti elementi sparsi nei suoi romanzi e soprattutto la sua filosofia di vita. E parlammo del personaggio pirandelliano, figura dell’uomo che si rinchiude nella materia, se non riconosce che il mondo è fatto anche di spirito, anzi che nel mondo materia e spirito convivono e insieme sono all’opera. Pur essendo mastro Dima al lavoro per riparare la materia, la giara “alta a petto d’uomo, bella panciuta e maestosa, che fosse delle cinque altre la badessa”, lo rinserra, lo punisce: punizione meritata da chi, nell’intraprendere un’opera, non calcola bene misure e condizioni, riducendosi così come una bestia in gabbia […]. Ecco l’uomo si cuce dentro gli stessi problemi che vuol risolvere, si sequestra da se stesso. Mahfuz concordava nel sentirmi accennare al “fu Mattia Pascal” come a un altro personaggio chiuso nella giara di una personalità infranta.

L’opera di Pirandello, così diffusa e rivitalizzata nel fascino delle sue figure e dei suoi dialoghi dal pirandellismo di grandi scrittori arabi contemporanei, ha aperto la strada alla traduzione di altri autori della letteratura italiana. Il giordano Isà al Na’uri e il libico Khalifah Tilisi traducono in arabo Pratolini, Silone, Vittorini, Alvaro, Tomasi Di Lampedusa [14] e Isà al Na’uri Quando si comprende di Pirandello. [15]

[14]  Isabella Camera d’Afflitto, La letteratura araba contemporanea: dalla nahdah a oggi, Roma, Carocci, 2002, p. 74.

[15]  Moheb Saad, op. cit.

Nel 1988 la rivista siriana «al-Adab al Agnabyyah», fondata nel 1973 dall’Unione degli scrittori arabi e dedicata ad opere letterarie straniere, pubblica, a cura di Biancamaria Scarcia Amoretti, un numero, il 57, interamente dedicato alla letteratura italiana, con traduzioni di Montale, Ungaretti, Quasimodo, Saba, Sciascia, Pasolini per citare i maggiori.
Sempre nel 1988 l’Istituto Italiano di Cultura del Cairo finanzia la traduzione e la pubblicazione di opere di autori italiani: Narrativa Italiana Contemporanea – Contributo degli italianisti egiziani con opere di Gadda, Moravia, Tobino, Fenoglio, Berto, Calvino e, cercando di innovare la fortuna pirandelliana, affida all’italianista Samir Marcos la traduzione della novella Pensaci, Giacomino!.

Il vasto contesto letterario italiano, che si è venuto così a creare, arricchisce anche la lettura del teatro di Pirandello nelle traduzioni dell’italianista Amanie Fawzi Habashi, oggi docente di Lingua e Letteratura Italiana presso la cattedra di Lingue nell’Accademia delle Arti del Cairo.
Amanie Fawzi Habashi ha soggiornato a lungo in Italia, a Perugia e a Siena, e la sua lunga attività di traduttrice di opere italiane in arabo le ha valso il Premio Nazionale di Traduzione dal Ministero dei Beni Culturali nel 2002 e in Egitto è membro del Comitato di Lettura del Premio Napoli, sezione di narrativa italiana.
La studiosa, nata al Cairo, si è laureata in Lingua e Letteratura Italiana, si è specializzata conseguendo il “Diploma in traduzione simultanea e scritta” con una traduzione de Il visconte dimezzato di Calvino per poi terminare gli studi con una tesi di Dottorato su La donna nel teatro di Goldoni.
Alla predilezione per Calvino affianca l’interesse per la cinematografia. Traduce Dario Fo e Franca Rame, un saggio di Vito Zagario su Francis Ford Coppola e uno di Franco Polla su Steven Spielberg.

Quando si avvicina a Pirandello nel 2003 sceglie per la traduzione Il berretto a sonagli e Questa sera Pirandello di Luigi Sqarzina ed è questa la prima proposta registica del teatro pirandelliano. La scelta innovativa pone al centro dell’attenzione la riflessione di un regista che, pur interprete attento e scrupoloso del testo, affronta con chiara determinazione la dinamica degli spazi e i codici di rappresentazione degli attori nella ‘messa in scena’. La commedia pirandelliana esce dalla univocità del ‘teatro di parola’ approdando alla concretezza del palcoscenico. Amanie Fawzi Habashi offre così, con questa sua traduzione pirandelliana, vere e proprie Lezioni di regia, non a caso tradurrà nel 2005 una pièce di Piergiorgio Giacchè, pubblicata nella 17esima edizione del Festival Internazionale del Teatro Sperimentale del Cairo, inserendo l’opera di traduzione nelle dinamiche reali della rappresentazione. [16]

 [16]  Contributo personale di Amanie Fawzi Habashi. Cfr. Infra, p. 177 nota 4.

In questi primi anni del 2000 l’Istituto Italiano di Cultura ha continuato il forte impegno nella diffusione del patrimonio letterario italiano soprattutto in Siria e in Egitto, facendosi prevalentemente guidare da interessi e preferenze accertati e, si potrebbe dire, consolidati nella cultura araba, ma avanzando anche proposte nuove come il romanzo pirandelliano, ancora presente nella civiltà araba solo in lingua francese, inglese o persiana, e le novelle di Verga, il grande autore ottocentesco, in verità poco tradotto anche nel panorama europeo.
A Damasco è stata finanziata la traduzione della trilogia di Italo Calvino nel 1999, Il deserto dei tartari di Dino Buzzati nel 2001, I racconti di Calvino e La storia di Elsa Morante nel 2002, le opere complete di Dario Fo nel 2003, Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi, Fontamara di Ignazio Silone e le Novelle di Giovanni Verga nel 2004.
Al Cairo è stata affidata al Supreme Council of Culture la traduzione di Canne al vento della Deledda, dell’Antologia della poesia del Novecento di Sanguineti, dei Canti di Leopardi nel 2005. Sempre al Cairo è stata poi presentata, il 29 agosto 2005, una nuova grammatica per l’insegnamento dell’italiano e il 15 novembre dello stesso anno è stato firmato all’“Orientale” di Napoli un contratto per la traduzione di molti grandi autori italiani: Leopardi, Ungaretti, Gadda, Svevo, Sciascia e, nel rispetto di un forte legame “mediterraneo” dell’Egitto con Napoli e la sua grande cultura regionalistica, Spaccanapoli di Domenico Rea, L’oro di Napoli di Giuseppe Marotta e una nuova traduzione delle opere di Eduardo De Filippo. Ed è stato riproposto anche Pirandello, affidando a Suzanne B. Iskander Ma non è una cosa seria e al prof. Moheb Saad Ibraim, docente dell’Università del Cairo e insigne italianista, il difficile compito di tradurre il primo romanzo pirandelliano in lingua araba: Il fu Mattia Pascal.

Il cammino di Pirandello prosegue, raggiunge anche la prosa e afferma con la sua fortuna l’universalismo della ‘scrittura’, che rivendica a sé, nelle varie e diverse civiltà, il dialogo, talvolta lento, ma forte e tenace anche nelle pieghe tragiche della cronaca.
Il valore delle traduzioni è la lente di un universalismo non solo culturale, ma sociale e politico che gli intellettuali del mondo islamico hanno saputo concretamente praticare con una coraggiosa militanza. All’attenta platea del Convegno su Machiavelli a Teheran il prof. Jahanbegloo ha detto: «Leggere Kant o Machiavelli è un modo di pensare al mondo e condividerne il patrimonio culturale globale […] Gli intellettuali […] sanno perfettamente che, senza una stratificata universalità democratica e un ugualmente stratificato senso di cittadinanza, non c’è speranza per un dialogo fra civiltà» e Machiavelli ha insegnato che «la questione non è, come per Amleto, essere o non essere, ma scegliere o non scegliere. Costruiamo quello che siamo attraverso le nostre scelte».

Carla De Fusco

da «Pirandelliana», Volume 1, 2007 – Rivista internazionale di studi e documenti, Fabrizio Serra editore, Pisa – Roma

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