Tutto per bene – Atto terzo

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Premessa
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo

Atto Terzo

En Español – Todo sea para bien

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Tutto per bene - Atto III
Marianella Laszlo, Gianrico Tedeschi, Tutto per bene, 1988. Immagine dal Web. 

1920
Tutto per bene
Atto Terzo

        Entra dalla comune il vecchio cameriere di Salvo Manfroni. Ampio scrittojo in casa di Salvo Manfroni, addobbato con austera magnifi­cenza. La comune è a sinistra. La stessa sera del secondo atto. Poche ore dopo.

        È in iscena, al levarsi della tela, Martino Lori. Ha una faccia da morto; gli occhi fissi e come insensati. Attende, chi sa da quanto tempo, nel silenzio della casa. A mano a mano il volto gli s’atteggia a seconda dei vari senti­menti che gli tumultuano dentro. Di tratto in tratto si scuote e mormora tra sé parole inintelligibili, accompagnate da qualche rapido gesto. Gli avviene anche di abbandonarsi inconsciamente a qualche distrazione, che può appa­rire strana per quanto naturalissima, come, ad esempio, d’andare a osservar davvicino qualche oggetto sulla scrivania che gli abbia puerilmente svegliato la curiosità del solo senso visivo. Ma, arrivato lì davanti, s’arresta, svanito, non sapendo più perché si sia alzato; e, ripreso dal suo interno farneticare, si rimette senza voce a parlar con se stesso; se non che quell’oggetto tutt’a un tratto torna ad avvistarglisi, e allora egli, senza quasi saperlo, lo prende in mano, lo guarda ma come se non riuscisse a vederlo e con esso in mano se­guita il suo pensiero tormentoso; poi posa l’oggetto e ritorna al suo posto.

        CAMERIERE: Eh, tarda ancora, signor commendatore. Io non so, di solito le altre sere a quest’ora è qui da un pezzo a scrivere o a leggere. È quasi mezzanotte.

        LORI: Ma sì… mi… mi rammento: è andato… dove? Me l’ha detto… Che anzi, già, prima d’uscire… (Ricorda che il Manfroni gli disse di annunziare a Palma che andava col Gualdi e col Bongiani; ma stima inutile seguitare.) A un’inaugurazione… Con suo (sta per dire «genero» e accenna un ghigno che è come un singulto:) Sì sì… e con quell’altro… il conte Bongiani.

        CAMERIERE: A un’inaugurazione?

        LORI: Mi pare d’un circolo, sì. Non voleva, e poi… quello lì (ha proprio la ten­tazione di dire «suo genero»; dice soltanto:) suo… (E guarda di nuovo il ca­meriere; poi apre di nuovo la bocca al ghigno, come se, vedendolo così vecchio, gli nascesse un pensiero che lo agghiaccia, e alza un dito verso di luì:) Voi è un pezzo che siete qua con lui?…

        CAMERIERE: Col signor Senatore? Eh!

        LORI: Da quando era deputato?

        CAMERIERE: Sono a momenti venticinque anni.

        LORI (con un sorriso orribile, ammiccando): La avrete allora veduta qui, m’immagino!

        CAMERIERE (stordito): Come dice?

        LORI: Eh, avventure! avventure del giovane deputato…

        CAMERIERE (come per evadere, sulle generali): Donne?

        LORI: Chi sa quante!

        CAMERIERE: Eh, ai suoi tempi…

        LORI: Signorette maritate di fresco… E quando fu ministro, poi, giovani mogli d’impiegati… (Notando che il cameriere si turba, aggiunge subito furbesca­mente:) Fui suo capo di gabinetto, e lo so… Posti di fiducia! Non s’ottengono, caro mio, se non a costo di passare sotto certe forche… (Fa le corna, pallido e ridente, e gliele mostra. Il cameriere lo guarda sbigottito. Pausa.)

        CAMERIERE (sospirando): Cose antiche, signor commendatore!

        LORI: Ah! Abbiamo già i capelli bianchi… Acqua passata!… Ormai! (Pausa. Il cameriere torna a guardarlo più che mai sbigottito e costernato. Ma egli è assorto, come se vedesse innanzi a sé sua moglie giovine, là in quello scrit­toio, e parla quasi tra sé:) Era bella… Che occhi, quando parlava! S’accen­deva tutta. (Con voce brillante e spiccata, e gesto d’evidenza:) Lucida, pre­cisa… (Poi con amore, come se carezzasse una lontana e riposta grazia di lei:) E voleva dominare, con l’intelligenza. Ma una donna, quando è bella… Le si guardano gli occhi, la bocca… come è fatta… E si sorride a quelle lab­bra che parlano, senza badare a ciò che dicono. Se n’accorgeva subito, lei, e se ne stizziva; ma poi – donna – sorrideva di quello stesso sorriso di chi le guardava le labbra… Ciò che voleva dire rispondere al bacio che quegli occhi le davano… E allora… (Resta un po’ assorto; poi tentenna il capo e do­manda:) – Ma io solo? (Voltandosi d’improvviso, trasfigurato, verso il came­riere:) Chi sa quante volte se la sarà stretta qua, lui, così, e baciata, eh?

        CAMERIERE (basito addirittura): Signor commendatore…

        LORI: Eh via! Cose vecchie… Si sanno!

        Salvo Manfroni a questo punto si presenta col cappello in capo sulla soglia della comune.

        CAMERIERE (riscotendosi): Ah, ecco il signor Senatore…

        SALVO: Come, tu qua, Martino? Che cos’è? (Costernato:) È accaduto qualche cosa?

        LORI: No. Debbo parlarti.

        SALVO (riferendosi alla scena del second’atto, con fastidio): Ancora? E a que­st’ora?

        LORI: No. Precisare, ormai. Due parole.

        Intanto il cameriere avrà tolto il soprabito, il cappello e il bastone a Salvo Manfroni e alla fine della battuta del Lori si sarà ritirato.

        SALVO (appressandosi con la mano tesa): Dunque?

        LORI (scartando la mano con un gesto secco): Niente mano.

        SALVO (restando): Che significa?

        LORI: Ecco. Aspetta. Quando ci saremo intesi, te la darò di nuovo.

        SALVO: Ma che cos’è?

        LORI: Niente! Niente! Per grazia di Dio, non c’è bisogno di spiegazioni. Il fatto è certo e innegabile; tanto che tu e tutti eravate sicuri ch’io lo sapessi; dunque, non si discute.

        SALVO: Ma che dici, scusa?

        LORI: Sono venuto a darti, semplicemente, due notizie e a levarmi una curio­sità.

        SALVO (vedendolo muovere e parlar così): Io non ti riconosco più!

        LORI: Eh sfido! Sono un altro, da tre ore!

        SALVO: Ma che è accaduto?

        LORI: Niente. Tutto rovesciato; sottosopra. Sì. Il mondo che ti si ripresenta tutt’a un tratto nuovo, come non ti eri mai neppur sognato di poterlo vedere. Apro gli occhi adesso!

        SALVO: Hai parlato con Palma?

        LORI (fa cenno di sì col capo ripetutamente, poi): Sbalordisci! Non sa-pe-vo nul-la!

        SALVO (con costernazione, restando): Non… non sapevi?

        LORI: Nulla. Né che mia moglie fosse stata la tua amante, né che Palma fosse tua figlia…

        SALVO: Te l’ha detto lei?

        LORI: Lei. Che glie l’avevi detto tu, ch’era tua figlia; e che io lo sapevo.

        SALVO: E non è vero?

        LORI (semplice, in naturalissimo tono assertivo): Non è vero! Non sapevo nulla! (Allo stupore del Manfroni:) Ma sì! È incredibile! Non sapevo nulla! Da tre ore mi dico: Ma come? Meglio di così te lo dovevano far capire? Te l’hanno cantato in tutti i toni; dimostrato apertamente, sempre, in tutti i modi! Com’hai potuto credere che un deputato che non ti conosceva, diventando ministro, prendesse te, umile segretario di ministero, e solo perché avevi spo­sato la figlia d’un suo maestro, ti mettesse a capo del suo gabinetto? e poi, morta la moglie, s’affezionasse tanto alla tua bambina, e te la crescesse come sua, e le trovasse marito, costituendole una vistosissima dote? Credetti all’o­nestà di quella donna, capisci? che morì troppo presto! Ma anche se fosse vissuta a lungo, non mi sarei accorto di niente lo stesso, perché – ma sì, che vuoi! è incredibile – per me, era onesta! E credevo nella tua amicizia, come nella luce del sole, in questa gran luce che m’era entrata in casa e m’illumi­nava, m’accecava… Credetti nella tua venerazione per il tuo maestro, non ostante che poi ebbi la prova che, altro che venerazione, la tua!

        SALVO (turbandosi vivamente): Che vuoi dire?

        LORI: Questa è l’altra notizia che ti darò. Aspetta! Ti devo dire tutto! Quan­d’ebbi quest’altra prova, fu peggio.

        SALVO (c.s.): Prova? Che prova?

        LORI: La prova, la prova che complicò tutto, perché mi fece trovare d’improv­viso la mia ingenuità come in un covo di spine, di spine che la punsero da tutte le parti, a sangue, poverina, e la fecero tanto soffrire! Ma coraggiosa­mente – ah! – lei le strappò, sì, le raccolse, e se ne fece un cilizio per imparar a capire, a capir diversamente. Ma sempre come può capire l’ingenuità, be­ninteso! (Squillo del campanello del telefono sulla scrivania.) Ah, senti! Ti chiamano al telefono.

        SALVO: Loro? (Fa per prendere il ricevitore dell’apparecchio.)

        LORI (trattenendogli il braccio): No. Aspetta. Di’ che vengano qua.

        SALVO: Qua? Ma sei pazzo? Perché?

        LORI: Perché voglio che vengano! Nuovo squillo.

        SALVO: A quest’ora?

        LORI: Con l’automobile faranno in due minuti.

        SALVO: Ma che vuoi che vengano a fare qua? (Nuovo squillo.)

        LORI: Senti che premura? È lei. Ti vuol dire della spiegazione avuta con me. (Nuovo squillo): Di’ pronto. Su.

        SALVO: Ma no! Se prima non mi dici…

        LORI: Voglio che c’intendiamo bene, tutti e quattro.

        SALVO: Ma su che? Se siamo già intesi!

        LORI: No. Per l’avvenire. Dobbiamo stabilire tante cose.

        SALVO: Lo faremo domani, se mai!

        LORI: Ora! ora! Nuovo squillo.

        SALVO (parlando all’apparecchio): Pronto. (Pausa.) Sì, Palma…

        LORI: Di’ che ci sono io.

        SALVO (c.s.): So… so… (Pausa.) Come? (Pausa.) Sì, senti… è qua da me.

        LORI: Di’ che vengano subito, subito.

        SALVO (c.s.): Ma sì, purtroppo… Senti… (Pausa.) Che? (Pausa.) Sì, sì… Ma è bene che tu venga qua. (Pausa.) Ma sì, subito. (Pausa.) Ma per parlare. (Pausa.) Con Flavio, sì. Come?

        LORI: Non vuol venire?

        SALVO (al Lori): No, dice che non sa se l’automobile… (Tronca per rispondere al telefono:) Sì, sì. Va bene. T’aspetto, allora. Fate presto. (Posa il ricevitore sull’apparecchio.) Su che cosa vuoi che c’intendiamo bene tutt’e quattro?

        LORI: Intendiamoci prima tra noi due. Voglio sapere quando fu!

        SALVO: Ma lascia!

        LORI: No. Rispondi. Subito dopo il mio matrimonio? (Salvo scrolla le spalle.) Rispondi. Perché già v’eravate accordati, fin dal suo arrivo da Perugia?

        SALVO: Ma no! Io non ci pensai neppure, allora!

        LORI: Ma forse ci pensò lei?

        SALVO: No, no! (Attenuando:) Almeno io non so. Non credo.

        LORI: E allora fu quando cominciò a tempestare, che voleva riprendere la sua carriera di maestra?

        SALVO (per troncare): Ma sì! ma sì!

        LORI: Che un giorno non la trovai più a casa?

        SALVO: Che vai ripensando più adesso?

        LORI: Voleva fare come la madre. Andarsene. Venirsene con te. Eh, ma tu avevi la tua carriera politica…

        SALVO: Smetti, ti prego!

        LORI: E persuadesti la pecorella a ritornare all’ovile!

        SALVO: Non so che gusto provi…

        LORI: Ma mi brucia adesso a me! mi brucia adesso!

        SALVO: Capisco, capisco… Ma pensa che è finito da tanto tempo! È morta…

        LORI (con scatto goffo e atroce, per l’insorgere d’un bisogno di vendetta): Oh! t’odiò, t’odiò, quando ritornò a me! S’accorse che a te era più cara la tua am­bizione, e t’odiò!

        SALVO: Ma sì, lo so bene…

        LORI: E odiò in sé anche il frutto del tuo amore. Non voleva esser madre, non voleva, lo so. Fu la mia amante, più che la madre di quella lì. E io, io che pur ne ero felice, ne soffrivo. Per la bambina che credevo mia, nata da quella no­stra riconciliazione.

        SALVO: Basta, basta ora, ti prego!

        LORI: Basta? Ah no, caro. Per me comincia adesso!

        SALVO: Che comincia?

        LORI: Ora lo vedrai. Mi ci son voluti diciannove anni per comprendere! Ora che tutto era finito, voi dite, così pulitamente, come usa fra gente per bene…

        SALVO: Ma scusa…

        LORI: Oh lo so, gente che sa fare a modo le cose… – ora che non c’è più niente da fare, è vero? morta da sedici anni la moglie; maritata la figliuola, – basta, eh? là c’è la porta, tanti saluti. Ah no! Ora viene la mia volta. Ho capito tutto. Vagliato tutto.

        SALVO: Ma non vedi che tu farnetichi?

        LORI: No. Lucidissimo. Ho pensato, pensato. E vedo tutto. Parlo così, mi muovo così, perché non posso farne a meno. Sono come un cavallo scappato. Mi frustano tutte le cose, che mi sono all’improvviso uscite dall’ombra da tutte le parti. Ma so ormai dove andrò a parare. Guardatene! (Lo afferra per un braccio:) Prima di tutto; sei convinto ora, che non sono quel miserabile che m’avete creduto e rappresentato agli occhi di tutti?

        SALVO: Ma sì! E per ciò non vedo…

        LORI: Che cosa io possa fare? Nulla, è vero? Avrei dovuto saperlo prima, ed essere un miserabile della più vile specie per profittarne. Non l’ho saputo; e dunque, tu pensi, dopo diciannove anni… Sbagli, caro mio!

        SALVO: Vorresti profittarne adesso?

        LORI: No! Sbagli, perché, se l’avessi saputo subito, a tempo, non ne avrei mai profittato, io! T’avrei ucciso!

        SALVO: Non penserai d’uccidermi adesso…

        LORI: Eh, lo so, ora non posso più! non… (S’interrompe, per un’idea che gli balena e lo agita d’improvviso:) Ma aspetta! Tu dici, profittarne adesso? E… e come potrei… come potrei più, adesso?

        SALVO (esitante): Ma… non so, io… io potrei fare ancora qualche cosa per te…

        LORI (lo guarda prima terribilmente, poi, quasi saltandogli alla gola, lo fa ca­dere su una poltrona, gualcendogli l’abito addosso): Tu? Meriteresti d’essere ucciso ora, per questo che hai detto! (Ritraendosi inorridito, ripreso dall’idea che gli è balenata:) No! Su su… Rassettati, rassettati… C’è, c’è forse il modo… c’è, c’è ancora il modo di profittarne…

        Entrano a questo punto dalla comune Palma e Flavio Gualdi, ansiosi e sgo­menti.

        LORI (scorgendosi): Ah, eccoli!

        PALMA: Che cos’è? che cos’è?

        LORI: Niente, niente, Palma! S’è chiarito, s’è chiarito, s’è chiarito tutto! Ha dovuto riconoscere, richiamato da me a fatti, a dati precisi, che s’era ingan­nato. Non è vero che tu sei sua figlia! Sei mia figlia! mia figlia! (A Salvo:) Dillo, dichiaralo forte, qua, a tutti e due! È vero, è vero, che hai dovuto con­venirne?

        SALVO: Sì, è vero. (Momento di silenzio.)

        LORI: È vero! (A Flavio:) Hai inteso, tu?

        FLAVIO (a bassa voce, aprendo appena le braccia): Ho inteso…

        LORI: No! Dico per il rispetto che tu mi devi d’ora in poi, come al padre di tua moglie, che sono io! sono io!

        FLAVIO (c.s.): Sì, va bene…

        LORI: E perché non debba arrischiarti più d’ora in poi d’accogliermi come un intruso, come uno che non abbia saputo mai rappresentar le sue parti in commedia. Sfido! Me le avete fatte rappresentare a mia insaputa; tutte: quella del marito gabbato e contento; quella dell’amico; del vedovo; del padre; del suocero. E le ho rappresentate male! Sfido! Non sapevo di rappresentarle! Ma ora che lo so, ora che lo so; vedrete! (Trapassa così, senz’avvertirlo, trasci­nato dalla foga della passione, a palesar la commedia che sta rappresen­tando dal sopraggiungere di Palma e di Flavio.)

        PALMA (avvertendo, con stupore): Come!

        FLAVIO (c.s. rivolto a Salvo, che si tiene in disparte): Che dice?

        LORI (ripigliandosi): Che dico? (Si volta verso Palma:) Dico… dico che tua madre… purtroppo, sì… resta, resta il tradimento… ma che quest’infamia, no! quest’altra infamia non è vera! non è vera!

        Lungo silenzio, Salvo Manfroni e Flavio restano a capo chino. Palma è come interdetta, sospesa a un ansioso sgomento. Il Lori guarda prima quei due; poi Palma. Nota quel suo atteggiamento e se ne compenetra; provando anche lui, subito, quasi sgomento di quella sua reiterata asserzione di fronte a lei così sospesa, e della commedia che s’ostina a rappresentare. Non per tanto, quasi a sfida del suo stesso sentimento, ripete, accostandosi a lei amorosa­mente, con un tono diverso, quasi infuso d’ironia per l’effimera soddisfazione che s’è presa: Non è vera! Quantunque a te, eh! di’ la verità, forse non ti fa piacere!

        PALMA: Ma sì… sì…

        LORI (spiandola negli occhi, non volendo crederle): Sì?

        PALMA: Sì.

        LORI: Che sia io tuo padre?

        PALMA: Ma sì.

        LORI: Io, e non lui?

        PALMA: Ti dico sì…

        LORI: Quantunque io sia un pover’uomo, che tu, fino a poco fa, hai disprez­zato?

        PALMA: Ma sì, per questo, anzi.

        LORI: Uno che tutti, sempre, disprezzeranno, perché non posso più far credere a nessuno, io, che non sapevo, capisci? Se lo dico, faccio ridere!

        PALMA: Ma ci credo io! E ci ho creduto subito, appena tu me l’hai detto! E tanto più ci credo ora se tu mi dici che non è vero quanto lui (accenna al Manfroni) aveva supposto!

        LORI (commosso, rabbrividendo, quasi atterrito dal vuoto che tocca): Vedi? vedi? È spaventoso! Basta sapere una cosa, e cangia, cangia subito tutto! Io ero così, come te, fino a poche ore fa! Mi credevo tuo padre; e tu mi disprezzavi, perché sapevi di non esser mia figlia! Ora, invece, che tu cominci a cre­dermi tuo padre, e ti volti a me cangiata, io non posso, non posso raccoglierti tra le braccia, perché so, so che non sei mia figlia, e che sto facendo la com­media davanti a lui, davanti a tuo marito e a te!

        PALMA (di nuovo, con stupore): La commedia?

        FLAVIO (c.s.y. Ah, ma dunque…

        LORI (nervosamente, aspro, quasi cattivo per reagire alla sua commozione e difendersene): La commedia! E l’ho fatta bene, no? Tanto bene, che per un momento ci avete creduto! (Accenna un riso amaro.) Ah! ah! E anch’io, ecco qua, senza volerlo (si passa le dita sugli occhi e poi le mostra), fino alle la­grime! (Accostandosi a Flavio:) No! Tranquillo, caro, tranquillo!

        FLAVIO: Dunque… non è vero?…

        LORI: Non è vero! Ho tentato; ma non posso. Mi stomaca. Mi fa piangere…

        SALVO: E dunque basta, via…

        LORI (voltandosi di scatto): Non ti va? Eppure dovrebbe seguitare, almeno questa commedia; poiché il dramma passò nella mia vita senza che me n’ac­corgessi; e non posso più farlo! Ma stai tranquillo anche tu. Non posso far più neanche la commedia. Lo so! Se non la svelavo io, domani andavi a casa loro, a dire che avevi dovuto far le viste di riconoscere davanti a loro l’in­ganno, per pietà del mio stato; e li avresti persuasi a far le viste di crederci anche loro…

        SALVO: Ma no! Perché t’immagini questo?

        LORI (con forza): Non sono mica un imbecille!

        SALVO: Ma chi te lo dice?

        LORI: Oh! Vi foste contentati di credermi soltanto un miserabile! Nossignori! Anche un imbecille! Ma io ho potuto essere un imbecille, finché ho creduto a cose sante e pure: all’onestà! all’amicizia! Ora no, più! E se, per vendicarmi, mi potessi sobbarcare a essere ancora, agli occhi di tutti, quel miserabile che m’avete fatto credere, non potrei esser più umile, timido, schivo, quel po­ver’uomo che andava a fare quella buffonata ogni giorno, là, al camposanto! Lo capite, questo? È chiaro! E dunque… e dunque, io… io… (Si guarda smar­rito intorno, come se cercasse e non trovasse più via di scampo, e accenna un lieve e vano annaspare delle mani; poi, recandosele al volto:) oh Dio, come… come farò più a vivere io?

        SALVO: Ma no! Ma perché fai così?

        PALMA: Se tutto è passato, finito!

        LORI: Ma appunto per questo! Perché tutto è finito, non posso più vivere! Se è finito! se non posso più distruggerlo quello che sono stato per gli altri! E qua – in questo mio corpo – in questi miei occhi che guardavano senza vedere chi ero per tutti; in questa mano che porgevo, senza sapere che apparteneva a uno, di cui tutti ridevano o avevano schifo! Come faccio più ora a guardar la gente? a porgere questa mano? Ne ho io, ora, schifo e raccapriccio! Di me stesso, sì, quale ora mi vedo e mi tocco: – uno che non sono io, che non sono stato mai io – e da cui non mi par l’ora di fuggire! non mi par l’ora! (Ac­cenna così dicendo, smarritamente, di volersene andare.) Non mi par l’ora!

        SALVO (parandoglisi davanti per impedirglielo): Ma che vorresti fare?

        LORI (lo guarda, come trasognato – poi, sovvenendosi): Ah, sì: oltre a questa, un’altra cosa. Me ne scordavo. L’unica che possa fare contro te. E la faccio, non perché m’importi; la faccio per provarti che non sono un imbecille. Mi vendico, sì, a freddo, mi vendico nell’unico modo che mi sia possibile ormai; facendo a te ciò che tu hai fatto a me: lasciarti vivo, ma come tu hai lasciato vivere me, senza più la stima di nessuno, dimostrando che il miserabile sei tu, tu! (Voltandosi a Palma e a Flavio:) E lui, questo che tu ti sei gloriata d’avere per padre, un miserabile, non solo per quello che ha fatto a me, ma anche, sai? perché è un ladro!

        SALVO (facendoglisi sopra, minaccioso): Che?

        LORI (subito^ fermo, tenendogli testa): Un ladro! Un ladro! (Voltandosi agli altri due:) È un ladro, perché ha rubato a Bernardo Agliani!

        SALVO (rompendo a ridere sonoramente): Ah! ah! ah!

        LORI (lo guarda un pezzo, poi si volta a Palma e a Flavio, e dice): Ride. Ho la prova a casa!

        SALVO: L’hanno data a intendere anche a te? Te l’hanno fabbricata a Perugia, codesta prova?

        LORI: No, caro. È di mano dello stesso Agliani.

        SALVO: Ma se le ho io qua (indica la scrivania) le carte dell’Agliani!

        LORI: Eh, tutte no!

        SALVO: Tutte! tutte!

        LORI: Tutte, no.

        SALVO (smarrendosi di fronte alla reiterata affermazione): Tranne che… tranne che tu non ne abbia delle altre, che io ignoro…

        LORI: Ti smarrisci…

        SALVO: No!

        LORI: Ti sei fatto pallido. E ora arrossisci!

        SALVO: Ma perché non vorrei che l’Agliani, in altri appunti posteriori…

        LORI: No: sono anteriori: i primi! Il primo abbozzo di quella copia che hai tu.

        SALVO: Ma se nelle carte che ho qua dell’Agliani non c’è nulla che…

        LORI: Non saranno tutte!

        SALVO: Tutte! tutte!

        LORI: Fin dove ti sarà convenuto di conservarle! Le altre, le avrai distrutte!

        SALVO: Questa è una calunnia!

        LORI: Te lo posso provare.

        SALVO: Che cosa? Potrai provarmi, se mai, che forse all’Agliani, in seguito, sorse da quei suoi problemi l’idea anche a lui…

        LORI: Ecco, benissimo. Ma non anche a lui; a lui soltanto, e tu te l’appropriasti. (Voltandosi a Palma e a Flavio:) Ho gli appunti a casa: un fascio così!

        SALVO: Sta bene! E provamelo, se qua, nelle carte che ho qua, (batte furiosamente sulla scrivania), non c’è neppure il più lontano cenno di quell’idea! Provamelo!

        LORI: Ah, ora non neghi più, mi sfidi!

        SALVO (con sprezzo): Ma che vuoi che sfidi, uno come te? Chi vuoi che presti fede a te e non a me, se io affermo che non ho conosciuto – com’è vero – co­desti nuovi appunti dell’Agliani, ed esibisco le carte che ho qua di lui?

        LORI: Eh già! Se non ci fosse il tuo libro…

        SALVO (smarrendosi di nuovo): Il mio libro?

        LORI: A cui si deve prestar fede! A me, no; ma al tuo libro, sì. La prova è lì!

        SALVO (cs.): Nel mio libro?

        LORI (rivolgendosi agli altri due): Ma come volete che uno, ignaro come me, potesse capire qualche cosa in tutte quelle formule, in tutti quei calcoli? L’e­videnza del furto m’è saltata chiara davanti agli occhi, senza cercarla, con­frontando quegli appunti col tuo libro.

        SALVO: Non ti degno di risposta!

        LORI: E l’ho scoperto da un pezzo, io, sai? e mi sono stato zitto per lei (indica Palma), per il bene che facevi a mia figlia, perché ignoravo l’altro tuo delitto, di cui questo forse è soltanto la conseguenza accidentale. Perché non hai avuto mai nessuna vera passione tu; e codeste carte dell’Agliani ti servirono soltanto, dapprima, per nascondere la tresca; per darti il pretesto di stare a casa mia, vicino a lei! Vuoi che pubblichi, se non hai nulla da temere, quegli appunti che ho in casa, così come sono? Sarei venuto a darteli…

        SALVO (subito): Dammeli, e li pubblicherò io stesso, riconoscendo innanzi a tutti…

        LORI: Che cosa? La tua appropriazione indebita?

        SALVO (con forza): Questa non c’è! E non la crederà mai nessuno!

        LORI: Eh già… Tra te e me… (Voltandosi verso Palma e notando il suo atteg­giamento, tra sdegnato e avvilito:) Ma guarda! Mi basta che lo creda lei – se glielo dico io – uno che per lei ha taciuto – uno che non parlerà più, domani! Che vuoi che m’importi del tuo libro!… di chi l’ha scritto!… di te!… (Afferra per le braccia Palma, spiandola negli occhi:) Tu mi credi?

        PALMA: Sì!

        LORI: Credi a me e non a lui?

        PALMA: Sì! Sì!

        LORI: E mi basta questo! Non pubblico niente! non faccio niente! Ero venuto qui per fare non so quante cose, contro te, contro tutti… Mi son cadute di mano tutte le armi… Che armi? Non ne ho!… Neanche uno spillo!… E poi perché? È piccolo, è meschino e brutto quello che ho fatto… Ne provo onta io stesso, ora… (Rivolgendosi ancora una volta a Palma:) Tu mi credi?

        PALMA: Sì! sì! Pausa.

        LORI: Mi basta questo. Addio.

        PALMA (commossa, accorrendo a lui, abbracciandolo per trattenerlo): Ah no! no! Saprò impedirtelo io! Per vivere! Per vivere ti deve bastare!

        LORI: No… no…

        PALMA (incalzando): Come no? sì! Se ora tu hai tutta la mia stima, il mio af­fetto! (Invita con la mano Flavio ad accostarsi, a farsi attorno, premuroso:) Tutto il rispetto…

        FLAVIO (eseguendo): Sì, sì, certo…

        LORI (cupo, quasi duro): Io posso ormai, senza inganno, riaccostarmi solo a chi, dopo la colpa, si pentì e mi compensò con tanto amore. L’unica cosa viva e vera, ch’io m’abbia avuto, dopo il delitto. Tutto il resto è stato inganno. Chi più m’ingannò, m’ingannò meno. Non potrei, non potrei, senza ribrezzo per me e per voi, riaccostarmi alla vostra vita.

        PALMA: Ma no! Perché ribrezzo? Nessun ribrezzo! Quello che tu hai detto, scusa, l’inganno suo (indica Salvo Monfroni) l’inganno suo sul mio conto…

        LORI: Ma non è vero!

        PALMA: Eppure io l’ho creduto subito, entrando qua con lui. (Indica Flavio.) Ebbene, così lo crederanno anche gli altri! E sarò io, sarò io la prima a farlo credere, a farlo credere a tutti, perché abbiamo tutti per te rispetto, considera­zione…

        LORI: Tu? Ma non puoi mica dire…

        PALMA: Non c’è bisogno di dire! Mi vedranno con te, accanto, intorno a te, come nessuno finora m’ha veduta! E d’accordo tutti, qua, d’ora in poi…

        LORI (per tentare ancora una difesa contro questa carità di lei, che lo investe, lo frastorna, e quasi lo fa mancare a se stesso): Ma… ma non posso crederlo io!

        PALMA (incalzando sempre più): Anche tu! anche tu! lo crederai anche tu, per forza!

        LORI (c.s.): Io?… come?…

        PALMA: Ma perché è vero, vedi! è vero ora il mio affetto per te! Non è mica un inganno! Il mio affetto, la mia stima, sono una realtà, in cui tu puoi vivere, e che s’imporrà a tutti e anche a te!

        FLAVIO: È giusto! è giusto! Sarà così.

        LORI (stremato, sfinito, come stroncato dalla commozione, si piega sul braccio di Palma; poi. c.s., rialzando la faccia smorta e quasi balbettando): La… la commedia, allora?

        PALMA: No! Nessuna commedia! Il mio affetto vero, ti dico!

        FLAVIO: Sì, certo… Sarà così…

        LORI (a Flavio): Tutto per bene?…

        PALMA (affettuosa, abbracciandolo, quasi sostenendolo): Su, su! sarai tanto stanco… Andiamo, andiamo… Ti accompagneremo noi a casa…

        FLAVIO: Sì, è già molto tardi…

        PALMA: C’è giù l’automobile, faremo presto…

        LORI: A casa… in automobile… Eh sì… tutto per bene… tutto per bene… (S’av­via con Palma, quasi rimbecillito, seguito da Flavio. A un certo punto si ferma, si volta, guarda Salvo Manfroni, e dice a Palma, indicandoglielo:) E… e lui?

        PALMA (spiandolo, sospesa): Che dici?

        LORI: Eh, salutiamo anche lui, allora… (Gli fa un saluto con le mani accen­nando anche un inchino, poi, rivolgendosi a Palma:) Tutto per bene…

Tela

1920 – Tutto per bene – Commedia in tre atti
Premessa
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

En Español – Todo sea para bien

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