Il taccuino pubblicato a cura di Annamaria Andreoli consta di circa 100 pagine manoscritte databili al periodo compreso tra il 1912 e il 1917 e contiene scritture di carattere composito: abbozzi narrativi e teatrali, pagine di ‘Journal intime’, e un ampio elenco di modi di dire, formule gergali, battute di dialogo, similitudini ardite, compilato come serbatoio cui attingere per la stesura di opere di vario genere letterario (molte delle formule qui registrate si ritrovano utilizzate nella sterminata produzione pirandelliana). Tra gli abbozzi di novelle si incontra un embrionale studio intorno a Moscarda, poi protagonista di ‘Uno, nessuno, centomila’, e tra quelli teatrali ‘A Giarra’ che anticipa i ‘Sei personaggi in cerca d’autore’.
Luigi Pirandello
Taccuino segreto
a cura di Annamaria Andreoli
Arnoldo Mondadori Editore – 1997 – pp. 215
prezzo di copertina Euro 15,49
Descrizione
Il laboratorio pirandelliano è stato soggetto ad una vera e propria distruzione. Ad abbozzi e scartafacci, a prove di stesura o a tappe elaborative tocca in sorte, il più delle volte, il cestino dei rifiuti. E mentre l’altro sempre mutevole corregge e ricorregge quanto ha già dato alle stampe, i materiali dell’officina, in funzione anche a ritmo prodigioso, svaniscono nel nulla. A meno che non si tratti di certi germi dai quali Pirandello sa far nascere i soggetti delle opere. Sequestrato dalla propria arte, il solerte scrittore fa leva su alcuni inossidabili attrezzi che lo soccorrono immancabilmente. Sono i taccuini, quadernetti tascabili, questi sì conservati con cura gelosa. Le miriadi di frammenti che tesaurizzano riflettono autore e personaggi in un puzzle da ricomporre secondo infiniti disegni possibili. Riemerso solo ora, grazie ad un meritorio salvataggio, il Taccuino segreto rappresenta il più rilevante lavoro di recupero del singolare laboratorio dello scrittore. Come lavorava Pirandello? Allo spinoso interrogativo è oggi possibile rispondere al di là delle congetture.
Il Taccuino segreto, che dalla maturità giunge fino alle soglie della morte, accoglie dunque i canovacci che il recluso frustrato recita a tutti i costi, sia che si tratti di temporeggiare con il racconto sia che infine il teatro gli spalanchi quelle porte che per anni gli ha sbattuto sulle dita.
Libresche o carpite sul campo, una ridda di battute in cerca d’autore giacciono qui in un’attesa sempre coronata: non c’è pagina, non c’è lacerto o verso che dal Taccuino non travasi in questa o quell’opera.
Qui non abbiamo né un diario né uno zibaldone, ma l’altro diario e l’altro zibaldone del Pirandello che non sa parlare di sé se non attraverso la propria opera.
Prefazione
di Annamaria Andreoli
Tutto faceva grumo alla rapida e urgente creatività di Pirandello: l’inchiostro, la carta, l’espressione stessa … Appartenendo alla specie di chi abdica alla vita per votarsi alla letteratura (è il suo assioma di sempre: «la vita o si vive o si scrive »), il narratore o il drammaturgo divengono lo strumento del messaggio imperioso che non sanno tacitare. Così, la pagina di Pirandello equivale a una seconda pelle che si rinnova via via; e ciò che è stato – che è stato scritto – appartiene ormai a un altro, a un diverso, a un estraneo, la cui mano, per giunta, viene spesso forzata da petulanti Personaggi. Ossessivamente molesti, esigono da lui la vera vita: quella letteraria.
Non sorprende, allora, la distruzione del laboratorio pirandelliano. Ad abbozzi e scartafacci, a prove di stesura o a tappe elaborative tocca in sorte, il più delle volte, il cestino dei rifiuti. E mentre l’altro sempre mutevole corregge e ricorregge quanto ha già dato alle stampe, i materiali dell’officina, in funzione anche a ritmo prodigioso, svaniscono nel nulla.
A meno che non si tratti di certi germi dai quali Pirandello sa far nascere i soggetti delle opere. Sequestrato (come Flaubert, come Proust…) dalla propria arte, il solerte scrittore fa leva su alcuni inossidabili attrezzi che lo soccorrono immancabilmente. E sono i taccuini, quadernetti tascabili, questi sì conservati con cura gelosa. Le miriadi di frammenti che tesaurizzano – specchio in frantumi – riflettono Autore e Personaggi in un puzzle da ricomporre secondo infiniti disegni possibili.
Riemerso solo ora, grazie a un meritorio salvataggio, il Taccuino segreto che si propone alla lettura rappresenta il più rilevante recupero del singolare laboratorio dello scrittore. Come lavorava Pirandello? Allo spinoso interrogativo è oggi possibile rispondere al di là delle congetture. Ecco le interminabili liste gergali, vergate con minuta grafia, che fanno intanto luce su una proterva vocazione teatrale. Costretto alla narrativa, poiché le scene sono conquista ardua e lenta, Pirandello insiste comunque sul copione da recitare: solo che quando si tratta di novella o di romanzo l’attore e il narratore coincidono.
Il Taccuino segreto, che dalla maturità giunge fino alla vigilia della morte, accoglie dunque i canovacci che il recluso frustrato recita a tutti i costi, sia che si tratti di temporeggiare con il racconto, sia che infine il teatro gli spalanchi quelle porte che per anni e anni gli ha sbattuto sulle dita.
Libresche o carpite sul campo, una ridda di battute in cerca d’autore giacciono qui in un’attesa sempre coronata: non c’è pagina, non c’è lacerto o verso (persino la Musa si fa udire) che dal Taccuino segreto non travasi in questa o quell’opera.
Se esiste un piacere del testo, esiste anche un piacere investigativo del testo che si va formando, con in più il frutto sicuro della nuova comprensione offerta dalla possibilità, cattivante quanto indiscreta, di entrare nel vivo dei meccanismi misteriosi dai quali scaturisce il capolavoro. Perché non abbiamo qui né un «diario» né uno «zibaldone», ma l’altro diario e l’altro zibaldone del Pirandello che non sa parlare di sé se non attraverso la propria opera.
Annamaria Andreoli
Se vuoi contribuire, invia il tuo materiale, specificando se e come vuoi essere citato a
collabora@pirandelloweb.com