Legge Giuseppe Tizza.
Presunto impassibile, il protagonista di questo romanzo si pone a osservare lo spettacolo della vita, come se fosse esterno e riservato sempre agli altri, quando in realtà è interno alla coscienza. L’operatore Serafino Gubbio è dunque un’ulteriore controfigura dello scrittore: «Come puoi saper tu, che le hai dentro, in qual maniera tutte queste cose si rappresentano fuori! Chi vive, quando vive, non si vede: vive… Veder come si vive sarebbe uno spettacolo ben buffo! Ah se fosse destinata a questo solamente la mia professione! Al solo intento di presentare agli uomini il buffo spettacolo dei loro atti impensati, la vista immediata delle loro passioni, della loro vita così com’è. Di questa vita, senza requie, che non conclude».
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Luigi Pirandello
1915-1925
Quaderni di Serafino Gubbio
operatore
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di Giuseppe Tizza
I Quaderni di Serafino Gubbio operatore, nella sterminata biblioteca di Pirandello, sono sempre rimasti sullo sfondo della sua fortuna, e tuttavia costituiscono un’opera di rilevante interesse storico-culturale. Pubblicati nel 1915 a puntate sulla «Nuova Antologia» e l’anno successivo in volume da Treves col titolo Si gira…, presentano la caratteristica eccezionale di proporre una nuova forma di romanzo quando l’autore si sta cimentando con la realtà del teatro contemporaneo, mentre questo è ormai insidiato dalla rivoluzione dell’industria cinematografica. In una fase di mutamenti epocali, agli inizi della Grande Guerra, immaginando i prossimi scenari della letteratura e del gusto nella società della comunicazione, succede così che egli esprima la sua diffidenza per il cinema che incalza mette in crisi il teatro, quando anche nei confronti di quest’ultimo la sua perplessità è tutt’altro che superata. Si può supporre che senza l’incalzare del cinema, senza la concorrenza da questo esercitata, sarebbe venuta meno una decisiva sollecitazione alle ragioni e quasi alla necessità dell’avanguardia, e alla creazione di quel nuovo teatro di marchio pirandelliano che è il teatro nel teatro.
Diffidenza di benèfici effetti, che presuppone comunque una sensibilità spiccata al fenomeno; per capire la quale bisogna tener presenti da una parte la formazione intellettuale di Pirandello, dall’altra le condizioni del panorama nazionale e internazionale, le cronache degli strepitosi successi che vengono dagli Stati Uniti, e ormai da Hollywood, salutata come Mecca del cinema, e di quelli italiani, che suscitano crescente curiosità ed entusiasmo. Tra questi basti ricordare le regie di Giovanni Pastrone: il kolossal Cabiria del 1914, di sceneggiatura dannunziana, Il Fuoco del 1915, Tigre reale del 1916. D’Annunzio, Verga: l’olimpo degli scrittori, per una fama destinata al divismo. D’Annunzio del Fuoco che esaspera e divulga gli amori con la più grande attrice del tempo, la Duse; e il Verga non a caso di Tigre reale. Gli scrittori tradizionali perdono il ruolo e il carisma, e si mettono in fila presso le case cinematografiche, aspirando a un contratto remunerativo di soggettisti e di scenografi, se non di veri e propri autori. C’è un business in atto, evidente nell’apertura di tante sale. In questa situazione profondamente modificata, che fare?
Ecco, Pirandello si posiziona e, già mentre si posiziona, si sposta inevitabilmente in avanti, influenzato dalla nuova tendenza. La sua controfigura questa volta è Serafino Gubbio, un passaporto per la letizia dell’indifferenza, un operatore delle nuove macchine. Proviene, addirittura, da un ospizio, premessa di nudità; il suo requisito fondamentale è, o dovrebbe essere, quello dell’impassibilità. Deve girare la manovella, e nient’altro: quale che sia lo spettacolo, anche indecoroso, che gli si rappresenta dinanzi agli occhi. Questo dell’impassibilità è il mito del verismo, riesumato, per evitare compromissioni con un corso di eventi che si disapprova e ci supera. Pirandello formula per tal via la sua critica, da umanista, alla macchina e alla civiltà delle macchine, sentita come alternativa alla civiltà dell’arte. Per la cultura umanistica l’arte è genio, individualità irripetibile. La fotografia ha permesso la riproduzione dell’immagine, ma statica. Il cinema dà movimento a quella riproduzione, e la moltiplica potenzialmente all’infinito. Fine di un’era.
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