17. Approdo

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Approdo

17. Approdo

Da Noi e il mondo, 1° gennaio 1914. Già pubblicato nella Critica diretta da Gino Monaldi, il 29 ottobre 1895.

E al fine, eccomi in porto. Ancor mi resta
negli occhi uno stupor truce, una truce
visione, il terror de la tempesta;
ma svaniran ne la tranquilla luce.
È certo, intanto, che son salvo, in porto.
Logorato, ma salvo. Arida sponda
e inamabile è questa; è vero: morto
però a lei mi potea trascinar l’onda.

Tutto il tesor che meco avea l’ha il mare.
E pur travolta giacque la persona
piú cara a me, né la potei salvare:
ombra mi seguirà che non perdona.

Ma vinsi la tempesta e in porto or sono;
so la fortuna del viaggio fosco.
signor di me, non fo di me piú dono,
e la mia fredda volontà conosco.


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Noto soprattutto per le numerose e caratteristiche novelle, le singolari opere teatrali e gli altrettanto peculiari romanzi, Pirandello, agli albori della sua carriera, fu anche poeta. Un poeta che, nonostante fosse solo agli inizi, lasciava già intravedere chiare tracce non solo del suo inconfondibile stile, ma soprattutto della sua particolare visione del mondo e della natura umana. Nel 1960 vennero per la prima volta pubblicate in un’unica raccolta tutte le opere poetiche dell’autore, accompagnate da testi inediti pazientemente ricercati e recuperati fra i numerosi scritti sparsi. L’amore ed i rapporti fra uomo e donna, tematiche chiave in Pirandello, spesso trasfigurate da ambientazioni irreali e mitiche, mostrano già quelle lacerazioni e contraddizioni che col tempo diventeranno segni distintivi dell’intera opera pirandelliana. Basti pensare al titolo della prima raccolta poetica dell’autore, Mal giocondo, ossimoro che, dietro l’apparente scherzo nell’accostare due termini così dissimili, quasi a volersi burlare del lettore, anticipa le antinomie e incoerenze che saranno parte integrante delle successive opere teatrali e dei romanzi.

Amore e odio, quindi, ma anche beltà e tristezza, giovinezza e vecchiaia, ricchezza e povertà: sentimenti forti e contrastanti, che sembrano prendere vita ed uscire dai versi con irruenza, per rispecchiarsi in ogni animo umano.
Ma vi traspare anche la sfiducia tipicamente pirandelliana nei confronti della società e della classe dirigente, soprattutto nel delicato momento storico che Pirandello si trova a vivere, subito dopo l’unità d’Italia (1870), e che si riflette nelle efficaci e forti immagini della folla romana, descritta con spietata ironia nei suoi aspetti più negativi, peccaminosi e lascivi.

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