Luigi Pirandello e “L’amica delle mogli” – Analisi dell’opera

Di Arianna Capirossi

I personaggi della storia si muovono sul palcoscenico di una piatta e grigia borghesia. Una delle loro missioni di vita da compiere è “accasarsi”, dunque prender moglie. 

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Pirandello e “L’amica delle mogli”
Romolo Valli (Francesco Venzi) Rossella Falk (Marta), L’amica delle mogli, 1969. Fotogramma RAI.

Luigi Pirandello e “L’amica delle mogli”

da ArtSpecialDay (link inattivo)

All’interno della variegata produzione di Luigi Pirandello (Agrigento, 1867 – Roma, 1936) troviamo romanzi, novelle, commedie, poesie. E queste categorie sono molto permeabili tra loro. Infatti, L’amica delle mogli è stata una novella prima ancora che una commedia, pubblicata nel 1894 nella raccolta Amori senza amore (Roma, stabilimento Bontempelli editore). Come testo teatrale, venne messa in scena il 28 aprile 1926 al Teatro Argentina di Roma.

I personaggi della storia si muovono sul palcoscenico di una piatta e grigia borghesia. Una delle loro missioni di vita da compiere è “accasarsi”, dunque prender moglie. Dopo aver rimandato più e più volte questo “dovere”, nel momento in cui, per età, diventa urgente, essi assolvono al compito quasi come se fosse un automatismo. Partendo da questo contesto, Pirandello ha l’intuizione di introdurre un protagonista dalle funzioni metateatrali, demiurgo dei destini degli altri personaggi come se fosse un regista delle loro vite. Si tratta del personaggio di Pia Tolosani, così chiamata nella novella, mentre nella commedia del 1926 il suo nome sarà semplicemente “Marta“, in onore dell’attrice Marta Abba che la impersonò. E anche noi la chiameremo così.

Marta è una donna molto riservata, ma assai disponibile e cortese, che ama offrire la propria amicizia per aiutare nell’organizzazione dei matrimoni altrui. Da parte sua, ella sembra impermeabile a qualsiasi tipo di avance maschile, pur non rinunciando a trascorrere del tempo con i futuri mariti delle sue amiche. Questo dà inevitabilmente adito ad equivoci, in cui lei viene scambiata per la vera sposa dei diversi uomini. Ama dare consigli su come portarsi con il coniuge o su come arredare una casa; non è mai a corto di idee o di soluzioni, e la sua parola è sempre di conforto a tutti.

Fatto sta che, in breve tempo, Marta viene avvolta da trame sempre più fitte di gelosia: le mogli (o future tali) sono gelose l’una dell’altra contendendosi la sua amicizia; i mariti (o futuri tali) sono gelosi l’uno dell’altro per l’amore di Marta. Infatti, ella, pur essendo fermamente non intenzionata a sposarsi, rimane per tutti gli uomini che la conoscono un desiderio irrealizzabile. Per alcuni, però, non poterla avere diventa addirittura una pressante ossessione. Tra questi, il signor Venzi, che, rinunciando a Marta, alla fine aveva optato per sposare Anna, vista da tutti come una donna «molto sciocca, senza veruna pratica della vita, né modi, né garbo». L’altro innamorato non dichiarato di Marta è il signor Viani (chiamato, nella novella, signor Baldìa), sposo di Elena. Nella novella, quest’ultimo arreda la casa da uomo sposato insieme a Pia/Marta, cercando di soddisfare tutti i gusti e i capricci di lei, senza pensare nemmeno per un momento alla futura moglie, che d’altronde conosceva a malapena:

Egli vedeva quasi in ogni oggetto il consiglio, il gusto, la previ­denza di lei. Ella aveva consigliato quella disposizione alla mobilia del salotto; ella aveva suggerito la compera di questo e di quell’oggetto, utilissimi ed ele­ganti. S’era messa al posto della sposa lontana e aveva reclamato per lei tutti quei comodi, a cui un uomo, per quanto innamorato, non avrebbe potuto pen­sare.

Ma perché tutte queste premure di Marta nei confronti delle future coppie? A lei non pesa la propria solitudine? Forse, rinunciare a tutti gli uomini che la corteggiano è un po’ come averli tutti, contemporaneamente, rimanendo sempre una costante dei loro pensieri, anche mentre sposano altre e convivono con altre donne. Nella novella, c’è una scena in cui lei dissimula il proprio pianto mentre Paolo Baldìa sta andando a prenderla per scegliere i pezzi d’arredamento: non è forse una spia di rammarico e di soffocata gelosia?

La tecnica di Marta, tuttavia, sembra funzionare. Paolo, pur dovendosi sposare con Elena, non fa che pensare a lei: «al cospetto di lei il ricordo della promessa sposa impallidiva, svaniva». È Venzi a rivelare all’amico-rivale Baldìa il segreto di Marta:

Ella è l’intatta e l’intangibile! Rimane, capisci, agli occhi nostri come l’ideale, che tu, sciocco, ed io, ci siamo lasciato sfuggire! E ciò appunto ella vuol dimostrarci, prendendosi tanta cura delle nostre mogli! E questa è la sua vendetta! Liberati da lei, da’ ascolto a me! Liberati da lei! O da qui a un anno, anche tu te ne innamorerai, senza fallo… già lo vedo… come me, guarda! come me…

La protagonista de L’amica delle mogli si presenta dunque come catalizzatore dei sentimenti degli altri personaggi: Anna, totalmente succube di lei; Elena, più schiva, ma che non riesce a sottrarsi alla sua sfera d’azione; Venzi e Baldìa, innamorati di lei.

Marta è consapevole di autocondannarsi alla solitudine, e forse anche di condannare gli altri ad «amori senza amore», così come recita il titolo della raccolta di novelle dell’autore.

Il testo teatrale, a differenza della novella, termina con toni ben più cupi. Il finale è, infatti, tragico (spoiler alert: fermatevi qui se non volete guastarvi la sorpresa!). Elena, la moglie di Viani, si ammala gravemente e muore; al che, Venzi impazzisce di gelosia, consapevole che il rivale, vedovo, avrà allora la possibilità di sposare Marta. La donna, sconvolta di fronte alla morte di Viani, confessa di amarlo. L’assassino rivela il movente della propria gelosia omicida: «A me è bastato accorgermi che lei l’amava. […] Quello che a me importa è che lei, dopo questo, non sarà più di nessuno».

La gelosia dell’uomo ha condannato la donna alla solitudine assoluta, privandola dell’unico vero amore. Marta si accorge dei nodi insolubili nei quali lei stessa era rimasta imprigionata a causa delle proprie macchinazioni. Il dramma teatrale, subito prima del sipario, si conclude con il suo grido, che è forse un grido di rimorso, per non aver saputo rinunciare al sottile piacere di manipolare le vite altrui: «Lasciatemi sola! voglio restar sola! ‑ Sola, ‑ sola, ‑ sola!». La definizione che Marco Praga diede del nucleo di questo dramma è dunque confermata: «una gelosia pazzesca e furibonda».

Arianna Capirossi 

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