Di Lieto Carlo – Pirandello Binet e «Les altérations de la personnalité»

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Pirandello Binet

Uno studio monografico sulle incidenze più significative dell’indagine dello psicologo Alfred Binet, “Les altérations de la personnalité” (1892), sulla produzione pirandelliana che, senza tralasciare le altre interazioni psicoanalitiche, analizza ad ampio spettro l’io diviso e lo scenario del doppio, indagando sul “fantasma” pirandelliano e sulla particolare attenzione che Pirandello rivolge alla psicofisiologia di fine Ottocento.

Carlo Di Lieto

Pirandello Binet e «Les altérations de la personnalité»

Edizioni Ellissi – 2008 – pp. 316
Prezzo di copertina Euro 18,00

Pirandello Binet

Uno studio monografico sulle incidenze più significative dell’indagine dello psicologo Alfred Binet, “Les altérations de la personnalité” (1892), sulla produzione pirandelliana che, senza tralasciare le altre interazioni psicoanalitiche, analizza ad ampio spettro l’io diviso e lo scenario del doppio, indagando sul “fantasma” pirandelliano e sulla particolare attenzione che Pirandello rivolge alla psicofisiologia di fine Ottocento. Tutta la concezione pirandelliana della vita psichica, intesa come dissociazione, è, senza dubbio, perimetrata da questo testo, che Pirandello aveva sempre con sé. Un’antologia di passi notevoli, scelti tra i più significativi dal testo di Binet, da, inoltre, un’idea completa ed esauriente dell’opera su cui Pirandello ha a lungo meditato.

Premessa dell’Autore

Questa monografia prende in esame le incidenze più significative de Les altérations de la personnalité (1892) dello psico-fisiologo Alfred Binet sulla produzione pirandelliana. Pirandello ammette di conoscere le indagini e gli studi di Binet, e, in particolar modo, “quella rassegna di meravigliosi esperimenti psicofisiologici, dai quali, com’è noto, si argomenta che la presunta unità del nostro io non è altro in fondo che un aggregamento temporaneo scindibile e modificabile di vari stati di coscienza più o meno chiari”.

Questa ricerca, senza tralasciare le altre interazioni psicoanalitiche, analizza, ad ampio spettro, l’io diviso e lo scenario del doppio, indagando sul “fantasma” pirandelliano e sulla particolare attenzione che Pirandello rivolge anche a Pierre Janet, essendo spinto a tale indagine, non solamente da esigenze estetiche, ma anche da gravi motivi familiari: Pirandello vuol capire qualcosa di più del “grave male” che affligge la sua sventurata consorte! La concezione della divisione della personalità gli viene, senz’altro, da Binet, anche se i primi influssi partono da Lombroso e dalla nuova scienza psichiatrica di B.A. Morel, da cui non resterà immune nemmeno lo stesso Capuana. Pirandello accetterà da Nordau l’idea di affidarsi “allo studio paziente della psichiatria”, anche se già cominciava a farsi strada, in quegli anni, un certo disappunto per la speculazione positivistica. Les altérations de la personnalité di Alfred Binet, precursore di Freud, gli faranno intravedere una nuova realtà di “un altro essere insospettato”, che vive nascosto nel profondo della coscienza; egli partecipa, anche, alle sedute spiritiche in casa di Capuana, perché era noto che la tecnica dell’ipnosi disvelasse i conflitti della personalità e portasse alla luce i disagi della nevrosi isterica. Secondo Claudio Meldolesi, “Pirandello sapeva di neurologia, di psichiatrica e, più modestamente di psicoanalisi, nei limiti della cultura italiana del tempo. Potremmo affermare, inoltre, che il suo metodo con gli attori fu di tipo psicodrammatico e con gli amici egli usò fare delle specie di sedute, molto coinvolgenti”. Già in Arte e coscienza d’oggi (1893), sono ricordate le ricerche sperimentali della psicologia e lo scientismo positivistico, nel quadro delle degenerazioni di Max Nordau, epigono lombrosiano. La malattia di Maria Antonietta Portulano, con un decorso irreversibile, venne diagnostica in quegli anni proprio come sindrome isterica: l’interesse di Pirandello per la psicopatologia aveva anche delle precise ragioni autobiografiche, perché la psico-fisiologia francese di fine Ottocento riteneva che i processi degenerativi della mente si palesassero proprio con la sindrome isterica. Tutta la visione pirandelliana della vita psichica, intesa come dissociazione, è, senza dubbio, perimetrata da questo testo, che Pirandello aveva sempre con sé. E anche perché la dinamica, da cui nasce il suo personaggio come proiezione del processo di disgregazione dell’io, è anticipata da una sua denuncia profetica: “Nei cervelli e nelle coscienze regna una straordinaria confusione, […] Crollate le vecchie norme, non ancora sorte o ben stabilite le nuove; è naturale che il concetto della relatività d’ogni cosa si sia talmente allargato in noi. […] Non mai, credo, la vita nostra eticamente ed esteticamente fu più disgregata”. In appendice, un’antologia, di passi notevoli, scelti tra i più significativi, dal testo di Binet, per dare un’idea completa ed esauriente della sua indagine, su cui Pirandello ha a lungo meditato. Questo studio, concepito, rielaborato ed ampliato, nel corso di un decennio, si presenta nella sua organicità come se fosse una primizia, perché finalmente viene alla luce, organizzato e sistemato, nella sua completezza.

L’Autore

Recensione di Federica Adriano

da progettoblio.com

La premessa dell’Autore dichiara che la sua «monografia prende in esame le incidenze più significative de Les altérations de la personnalité (1892) dello psico-fisiologo Alfred Binet sulla produzione pirandelliana» (p. 10), richiamando giustamente l’estrema importanza che Pirandello attribuiva all’opera del francese. Di Lieto si propone «senza tralasciare le altre interazioni psicoanalitiche» di analizzare «l’io diviso e lo scenario del doppio, indagando […] sulla particolare attenzione che Pirandello rivolge anche a Pierre Janet, essendo spinto a tale indagine, non solamente da esigenze estetiche, ma anche da gravi motivi familiari», riconducibili alla follia della moglie.

Inizialmente, Di Lieto sembra voler in qualche modo giustificare l’impiego della griglia psicoanalitica, avvalendosi per due volte di una stessa citazione tratta da Meldolesi, secondo cui «Pirandello sapeva di neurologia, di psichiatria e, più modestamente di psicoanalisi, nei limiti della cultura italiana del tempo» (CLAUDIO MELDOLESI, Fra Totò e Gadda: sei invenzioni sprecate dal teatro italiano, Roma, Bulzoni, 1987: qui cit. a p. 10 e p. 22): un riferimento poco significativo – a mio giudizio – ed inadeguato a puntellare la sua impostazione teorica, che in effetti subirà delle positive modifiche in corso d’opera. Nei capitoli successivi, infatti, l’autore riporta i brani del saggio in cui David scrive che Pirandello non ha mai accettato consapevolmente le teorie edipiche né i simboli della psicoanalisi, e che nel 1936 negò espressamente ogni dipendenza da Freud, affermando di non essersi mai occupato di psicoanalisi e di essersi sempre avvalso soltanto delle proprie osservazioni psicologiche (MICHEL DAVID, La psicoanalisi nella cultura italiana, Torino, Bollati Boringhieri, 1966, pp. 371-372: «Mi pare dunque da scartare ogni influenza freudiana su Pirandello fino al 1929 […]. Quanto a una possibile influenza dopo il 1929, essa mi sembra molto problematica»). È pur vero, d’altra parte, che la critica psicoanalitica gode di uno statuto ontologico peculiare, derivante da un sistema la cui validità, per così dire, metastorica, prescinde dal fatto che gli scrittori, dei quali s’indaga l’opera, conoscano o condividano i suoi paradigmi. Inoltre, l’idea d’una sorta di freudismo inconsapevole salva un po’ tutto, così che Di Lieto può rivendicare – rileggendo David (La psicoanalisi cit., p. 250) – che l’opera di Pirandello sia «”imbevuta di Binet”, tutta percorsa da “brividi freudiani”» (p. 204). Sebbene una lettura in chiave psicoanalitica dei testi pirandelliani sia da ritenersi una sperimentazione interessante e del tutto legittima (e Di Lieto vanta non pochi ed illustri predecessori; penso, ad esempio, alle brillanti analisi di Elio Gioanola), essa – non solo e non tanto per la sostanziale autonomia dell’Agrigentino dal pensiero freudiano, ma proprio in virtù della specificità del suo statuto scientifico (oltre che della sua terminologia) – corre il rischio di produrre un monologo per pochi eletti oppure delle forzature anche vistose, cosicché sarebbe da condursi – a mio avviso – in guise cautissime ed asistematiche, attraverso delle esemplificazioni quanto mai chiare e circostanziate. Alludo ad un habitus ermeneutico diametralmente opposto a quello esibito nel lavoro del Di Lieto, il quale infarcisce le sue pagine dell’intero armamentario psicoanalitico, dando per lo più per scontati i come e i perché, e tralasciando spesso di curare perspicuità semantica e rigore scientifico. Quanto all’affermare (e ribadire nell’ultimo capitolo) che Pirandello avrebbe rivolto una «particolare attenzione» alle indagini di Pierre Janet, essa non risulta dalle mie ricerche (che tuttavia potrebbero essere incomplete), ma soprattutto viene debolmente suffragata dal saggista, il quale dapprima cerca di farlo estrapolando un’osservazione estemporanea e generica da una sua fonte (DAVID, La psicoanalisi cit., p. 251: qui cit. a p. 21: «Pirandello continua più a lungo la sua fedeltà a Janet»), per poi inferire – in parte contraddicendosi – che le fondamentali teorie di Janet sulla duplicazione dell’io e sui fenomeni spiritici rientrano tra quelle che l’Agrigentino «non poteva ignorare» (p. 54). Nella novella La casa del Granella (1905) i nomi di alcuni celebri scienziati compaiono nella bibliografia iniziatica dell’avvocato Zummo: dai nostrani Lombroso e Morselli, fino ai Crookes, Aksakof, Janet, Richet; ai quali infine s’aggiunge il nome di Allan Kardech, il «messia novello» dello spiritismo. Tale dettagliato elenco di autori – come osservano in nota i curatori di Novelle per un anno (Pietro Gibellini e Novella Gazich, Firenze, Giunti, 1994, II, 268), i quali intravedono in «Janet» il filosofo Paul, autore dei Principes de Psychologie et de Métaphisique (1897), oltre che di un’Histoire de la philosophie (1887), scritta insieme a Gabriel Séailles; un’altra interpretazione, con cui concordo, identifica «Janet» col più giovane Pierre, l’autore diL’authomatisme psychologique (1889) cui si riferisce Di Lieto – rispecchia solo presumibilmente le letture dello stesso Pirandello. Le sue menzioni esplicite si riferiscono ai testi scientifici di Binet, Morel, Marchesini, Negri e della scuola lombrosiana, attraverso i quali lo scrittore aveva attinto le tematiche della letteratura psicologica francese dei Charcot, dei Ribot e pure di Janet, ma ciò non significa che avesse destinato un’attenzione privilegiata agli scritti di quest’ultimo, né tanto meno che si fosse concentrato su di essi a causa dei «gravi motivi familiari». L’articoloScienza e critica estetica – apparso sul «Marzocco» nel 1900, poi rielaborato come parte del saggio Arte e scienza (1908), che cita espressamente il capolavoro binetiano e la gamma delle sue teorie sul fenomeno della scissione e del pluralismo della personalità – ci consente di notare che già nel 1900 il Girgentino conosceva bene tali dottrine, che giudicava idonee a spiegare come lo scrittore possa dare vita a personaggi dotati di caratteri diversi e talvolta contrastanti, riversando parti di sé in ciascuno di loro; ma esso ci permette pure di smentire la tesi che riteneva motivo principale dell’interesse pirandelliano per la nozione di mutabilità psichica la malattia di Antonietta, insorta invece nel 1903 (benché pure i giovanili Dialoghi tra il gran me e il piccolo me, del 1895, incentrati sul fenomeno dello sdoppiamento dell’io, confermino tale lettura, resta tuttavia indubbio che la gravissima sindrome della Portulano abbia giocato un ruolo cruciale nell’indirizzare la riflessione pirandelliana, sia sull’arte che sulla scienza).

La parte centrale del saggio di Di Lieto affastella in sequenze frammentarie una carrellata di teorie espresse dalla scienza psicologica e psichiatrica del secondo Ottocento attraverso gli studi dei suoi rappresentanti più eminenti, soffermandosi in modo particolare su quanti influenzarono maggiormente il pensiero pirandelliano, e cioè – oltre a Binet – Ribot, Lombroso, Nordau e Marchesini. Pure i fittissimi rimandi bibliografici in nota a piè di pagina compaiono con la medesima gratuità ed imprecisione: si omette sovente d’indicare i numeri di pagina e perfino, talvolta, di esplicitare la paternità di una citazione; opere di rilievo fondamentale riportano, indifferentemente, ora la data di pubblicazione, ora quella di edizioni e ristampe successive, così che diventa difficile seguire un percorso storico-scientifico cronologicamente coerente (ad esempio, la data di pubblicazione di Segni dei tempi: profili e bozzetti letterari di Gaetano Negri è il 1892, e non il 1909, anno in cui uscì la quarta edizione).

Conclude la monografia un’appendice contenente un’antologia di passi notevoli del testo binetiano, finalizzata – almeno secondo gli intenti dichiarati dal critico – a fornire un’immagine esaustiva dei concetti su cui Pirandello aveva indagato. Tuttavia, a ben guardare, Di Lieto sembra eludere, almeno in parte, i termini del patto stretto in via preliminare col lettore, il quale si sente ben poco guidato attraverso i luoghi della relazione Pirandello-Binet: i capitoli di Les altérations, ritenuti “pirandellianamente” più significativi, vengono collocati in un’appendice affatto priva di commento, mentre la gran parte del saggio s’occupa di tutt’altro, e cioè di quel che principalmente – a mio giudizio – sta a cuore al suo autore: interpretare la fisionomia dei personaggi pirandelliani alla luce della “psicologia del profondo”. Un progetto che viene perseguito a tappeto, con una logica fideistica che non tralascia alcun ingrediente del repertorio analitico, così che il lettore si ritrova catapultato come un alieno nel pianeta onirico del dottor Freud, degli Jung e dei Lacan, dove si parla un linguaggio pretenziosamente raffinato, un gergo iniziatico ai limiti dell’oscurità, fatto soltanto di “Es”, di “regressione” e di “narcisismo primario”. Ne scaturisce una narrazione senza dubbio erudita, ma pervasa da un’artificiosità retorica che suona debordante ed autocompiaciuta, astrusa ed autoreferenziale: deplorevoli difetti, tanto più se teniamo conto dell’ingenita complessità degli argomenti e del gusto estetico dello stesso Pirandello, il quale palesemente rivendicava uno stile di “cose”, di dati di fatto, e non di “parole”.

Federica Adriano

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