Di Pietro Seddio.
Utilizzato in parte nell’antichità da Plauto e nelle commedie goldoniane, il teatro nel teatro rappresentò per l’arte teatrale del XX secolo una delle rotture delle convenzioni sceniche a scapito del naturalismo ottocentesco, che prediligeva il teatro borghese e la quarta parete.

Il teatro nel teatro
di Luigi Pirandello
Da La favola del figlio cambiato di Luigi Pirandello – Analisi critica
Col consenso dell’autore
Il teatro nel teatro (metateatro) è un espediente teatrale con il quale la finzione scenica rimanda direttamente al mondo del teatro, affronta questioni relative alla qualità dell’arte drammatica, oppure, più semplicemente, offre l’azione di personaggi consapevoli della finzione che essi stessi stanno agendo, come frequentemente avviene nella drammaturgia contemporanea.
Questo artificio è stato spesso utilizzato per rompere la quarta parete tra gli attori e il pubblico o per inscenare una breve rappresentazione all’interno di un dramma, con gli attori di quest’ultima che si rivolgono, oltre al pubblico in platea, anche ad un fittizio pubblico, interpretato da alcuni degli attori della compagnia, che prende posto sul palcoscenico.

Talvolta questa modalità narrativa ha assunto il carattere di svelamento dell’artificio illusorio dell’evento teatrale o dello spazio teatrale da parte di chi agisce la scena nei confronti degli spettatori, rendendo palese l’intero impianto fittizio dell’azione scenica, talvolta allo scopo di mostrare l’illusorietà, non solo della rappresentazione, ma anche della realtà tangibile dagli spettatori.
Nella pratica, il teatro nel teatro può rappresentarsi come un evento teatrale che si svolge sul palcoscenico, all’interno del dramma rappresentato, e che gli spettatori avvertono come un’azione degli attori intenti nella rappresentazione di un dramma.
Esempi celebri sono, ad esempio, la seconda scena del terzo atto dell’Amleto di Shakespeare, nel quale degli attori propongono uno spettacolo, consigliati da Amleto, sulla falsariga dell’omicidio perpetrato da Claudio ai danni di Amleto padre.
La tecnica metateatrale è usata da Shakespeare anche in diverse altre opere, come ne La bisbetica domata, Sogno di una notte di mezza estate e La tempesta. Esempio del tentativo di corrispondenza fra la finzione teatrale e la vita reale può invece essere il monologo di Jacques in Come vi piace, nel quale egli, paragonando l’esistenza umana ad un evento teatrale, pronuncia la nota frase “All the world’s a stage”, (che significa “Tutto il mondo è un palcoscenico”).
In epoca moderna sono celebri i drammi di Luigi Pirandello, nei quali la meta-teatralità è pretesto per una riflessione sulle finzioni della realtà sensibile.
Pirandello compose una trilogia del teatro nel teatro, comprendente Sei personaggi in cerca d’autore, Questa sera si recita a soggetto e Ciascuno a suo modo. Utilizzato in parte nell’antichità da Plauto e nelle commedie goldoniane, il teatro nel teatro rappresentò per l’arte teatrale del XX secolo una delle rotture delle convenzioni sceniche a scapito del naturalismo ottocentesco, che prediligeva il teatro borghese e la quarta parete.
La necessità di rompere l’illusione non deriva, però, unicamente dal fatto di criticare la convenzionalità della pièce bien fait, ma anche dalla necessità di “destare” l’attenzione dello spettatore coinvolgendolo nei giochi multilinguistici e polisemantici dell’evento teatrale, al fine sia di valorizzarne i vari livelli di cui è composto, sia di fornire ai personaggi teatrali nuove possibilità esperienziali.
Noises off di Michael Frayn, conosciuto in Italia con il titolo Rumori fuori scena grazie alla compagnia di Attilio Corsini, porta alle estreme conseguenze l’artificio del teatro nel teatro rappresentando una compagnia che nel primo atto fa le prove di uno spettacolo, per mostrarci nel secondo atto il palcoscenico rovesciato e, quindi, quanto avviene dietro le quinte, nel terzo atto vediamo lo spettacolo dopo la centesima replica.
L’esercizio di Frayn non ha particolari valenze, trattandosi di un’opera scritta per il pubblico estivo che negli anni 80 andava in vacanza nel sud Inghilterra, ma rivela una fine conoscenza del mondo degli attori e la maestria nella creazione di un meccanismo che trascina il pubblico in situazioni esilaranti soprattutto grazie alla trovata di girare il palco. In effetti nel secondo atto ci si trova di fronte a ben tre spettacoli: quello rappresentato verso il fondale, il backstage che il pubblico vede e, da non scordare, il vero spettacolo, Noises off.
Nell’ultimo decennio, “Con la Gente dal Ponte” di Dimitris Lyacos utilizza tecniche di metateatro in cui un pezzo improvvisato sulla leggenda del vampiro è visto dall’angolo di uno spettatore che registra nel suo diario l’ambientazione e le prepara-zioni, nonché la sequenza dei monologhi degli attori intervallati da note personali sullo sviluppo della rappresentazione.
Esistono alcuni momenti nella storia della letteratura che segnano una rivoluzione, un cambiamento epocale. Uno di questi è la nascita del teatro di Pirandello, in cui troviamo una carica sperimentale e innovativa che apre la strada a molto di quello che è venuto dopo in campo teatrale e letterario, ma anche nel nostro modo di vedere il mondo.
Il primo approccio: l’amore per il teatro drammatico. Ma partiamo dall’inizio. Il primo incontro di Luigi Pirandello con il teatro avviene all’età di 12 anni, quando scrive una tragedia.
L’amore per le scene si rinnova durante gli anni in cui studia a Roma, dove lo scrittore frequenta molti teatri.
Risale a quest’epoca un aneddoto interessante per capire la passione di Pirandello per questa forma d’arte. In una lettera al padre egli infatti scrive:
“Oh, il teatro drammatico! Io lo conquisterò. Io non posso penetrarvi senza provare una sensazione strana, un eccitamento del sangue per tutte le vene”.
Le prime opere teatrali: Maschere Nude (1918). Nel 1898 pubblica il primo atto unico, ma dovrà aspettare gli anni successivi per le prime rappresentazioni. Pirandello scrive in questi anni molte opere teatrali, sia in siciliano che in italiano, che pubblica nel 1918 nella raccolta ‘Maschere Nude’, in cui negli anni che seguiranno riunirà tutta la sua produzione teatrale.
Sei personaggi in cerca d’autore e l’incontro con l’attrice Marta Abba nel 1921 è l’anno del successo, con questa opera, che apre a Pirandello le porte dei teatri di tutto il mondo. Inizia un periodo in cui l’autore viaggia insieme alle sue opere e si sperimenta anche come regista.
Conosce l’attrice Marta Abba, con la quale instaura un lungo rapporto di collaborazione artistica così come un rapporto sentimentale alquanto controverso. In questi anni Pirandello vive il teatro non solo dalla parte dell’autore, ma anche da quella degli attori: è diventato ormai un vero uomo di teatro!
La sua carriera è coronata nel 1934 dal Premio Nobel, conferito “per il suo audace e ingegnoso rilancio dell’arte drammatica e scenica”.
Il mezzo espressivo di questo mondo di rapporti intersoggettivi era il dialogo.
Nel Rinascimento, si vuole ricordare, dopo la soppressione del dialogo, del coro e dell’epilogo, il dialogo divenne, forse per la prima volta nella storia del teatro (e insieme al monologo, che rimane episodico e non era quindi costitutivo della forma drammatica), la sola componente del teatro drammatico.
Per questo aspetto il dramma dell’età moderna si distingue sia dalla tragedia classica che dalla sacra rappresentazione medievale, sia dal teatro barocco che dalle storie di Shakespeare.
L’assoluto predominio del dialogo, cioè della comunicazione intersoggettiva del dramma, rispecchia di fatto che il dramma consiste esclusivamente dalla riproduzione del rapporto intersoggettivo, e che esso ha per oggetto esclusivamente ciò che si manifesta in questa specifica sfera.
Il dramma è assoluto. Per poter essere puro rapporto, cioè essenzialmente drammatico, esso deve essere staccato da tutto ciò che gli è esterno. Il dramma non conosce nulla al di fuori di sé.
Ed ecco allora che il drammaturgo, coerente con questa indicazione, rimane assente dal dramma. Non parla avendo istituito la comunicazione.
Il dramma, in buona sostanza, appartiene all’autore solo nel suo insieme, e questo rapporto non è essenziale alla sua realtà di opera. Lo stesso carattere di assolutezza dimostra il dramma nel suo rapporto con lo spettatore.
Lo spettatore, allora, assiste al dialogo drammatico, in silenzio, con le mani legate, paralizzate alla vista di un secondo mondo. Ma la sua totale passività deve rovesciarsi in una attività irrazionale e su questo che si basa l’esperienza drammatica. Viene trascinato nel gioco drammatico, diventa egli stesso parlante, beninteso tramite la bocca di tutti i personaggi.
Il rapporto spettatore-dramma conosce solo la completa separazione o la completa identificazione, ma non l’intrusione dello spettatore nel dramma e il rivolgersi del dramma allo spettatore.
Anche l’arte dell’attore è orientata nel dramma, sulla assolutezza del dramma stesso. Il rapporto attore-ruolo non deve mai essere visibile: al contrario, attore e personaggio, devono fondersi in un essere drammatico autonomo.
Si era alla vigilia d’un nuovo modo d’intendere il dramma, il ruolo degli attori e dello stesso autore e in questo contesto l’opera di Luigi Pirandello venne a rappresentare, soprattutto nel periodo della sua maturità, un punto di riferimento imprescindibile che ancora viene riconosciuto dalla maggior parte dei critici anche i più esigenti.
Esistono alcuni momenti nella storia della letteratura che segnano una rivoluzione, un cambiamento epocale. Uno di questi è la nascita del teatro di Pirandello, in cui troviamo una carica sperimentale e innovativa che apre la strada a molto di quello che è venuto dopo in campo teatrale e letterario, ma anche nel nostro modo di vedere il mondo.
Il primo approccio: l’amore per il teatro drammatico. Ma partiamo dall’inizio. Il primo incontro di Luigi Pirandello con il teatro avviene all’età di 12 anni, quando scrive una tragedia. L’amore per le scene si rinnova durante gli anni in cui studia a Roma, dove lo scrittore frequenta molti teatri. Risale a questa epoca un aneddoto interessante per capire la passione di Pirandello per questa forma d’arte.
Le prime opere teatrali: Maschere nude (1918). Nel 1898 pubblica il primo atto unico, ma dovrà aspettare gli anni Dieci per le prime rappresentazioni. Pirandello scrive in questi anni molte opere teatrali, sia in siciliano che in italiano, che pubblica nel 1918 nella raccolta ‘Maschere Nude’, in cui negli anni riunirà tutta la sua produzione teatrale.
In questi anni Pirandello vive il teatro non solo dalla parte dell’autore, ma anche da quella degli attori: è diventato ormai un vero uomo di teatro!
La sua carriera è coronata nel 1934 dal Premio Nobel, conferito “per il suo audace e ingegnoso rilancio dell’arte drammatica e scenica”.
Per capire l’idea di letteratura e di mondo (e quindi di teatro) di Pirandello bisogna avere presenti alcune parole chiave:
Metaletteratura: è la letteratura che parla della letteratura stessa e del suo farsi; di conseguenza il metateatro è un teatro che parla del teatro e ne svela i meccanismi.
Maschera: ognuno indossa un numero indefinito di maschere, una per ogni situazione e ambiente in cui si trova.
Trappola: la società è una trappola, una serie di convenzioni che bisogna seguire e che impediscono il libero fluire della vita; unica via di scampo è la follia.
Realtà/Finzione: le definizioni precedenti mostrano come Pirandello fosse ossessionato dal contrasto tra realtà e finzione; la società impone maschere e convenzioni, che sono delle finzioni, attraverso la letteratura e il teatro Pirandello cerca di svelare tali finzioni. Umorismo: nel 1908 Pirandello pubblica il saggio L’umorismo, in cui spiega che il comico è la percezione di qualcosa che è il contrario di come dovrebbe essere, mentre l’umorismo implica una riflessione sul motivo, spesso tragico, di questo essere contrario. Occorre dire, per dare una globale sintesi dell’Opera pirandelliana che le maschere sono state sempre uno dei principali temi del teatro di Pirandello
Pirandello: autore di storie paradossali capaci di distruggere le convenzioni.
Da queste definizioni deduciamo come la visione del mondo di Pirandello fosse essenzialmente negativa, ma egli, invece di abbandonarsi a facili lamentazioni, decide di guardare alla vita attraverso l’occhio dell’ironia e del paradosso.
In questo Pirandello si dimostra autore modernissimo e qui sta la sua attualità e il successo che continua a riscuotere.
I testi teatrali di Pirandello sono prima di tutto delle storie paradossali, che riflettono una vita claustrofobica per risolverla in gesti folli e anticonvenzionali, che ribaltano la realtà e deridono l’eccessiva serietà del mondo.
Se il mondo è una gabbia, il teatro deve mostrare il momento di ribellione e di disordine che, anche all’interno di una prigione, può cambiare il senso delle cose. Con il suo teatro Pirandello distrugge le convenzioni, elimina la barriera tra realtà e finzione, tra autore e personaggio, tra pubblico e attore.
Le fasi del teatro pirandelliano
Tre fasi del teatro difficili da periodizzare. Di solito si divide il teatro di Pirandello in tre fasi, ma queste periodizzazioni non vanno mai prese troppo alla lettera, perché temi di una fase spesso convivono con temi di un’altra:
Il teatro del grottesco rappresenta situazioni di vita di tutti i giorni dimostrandone la paradossalità e la contraddizione, approfondendo i temi della maschera e della trappola. Appartengono a questa fase testi come Il giuoco delle parti e Così è (se vi pare).
Il teatro nel teatro, o metateatro, svela la finzione della rappresentazione teatrale. Famosissima la trilogia del teatro nel teatro, che comprende Sei personaggi in cerca d’autore, Questa sera si recita a soggetto e Ciascuno a modo suo.
Il teatro del mito, tipico degli ultimi anni, tratta tematiche arcaiche e predilige l’elemento fantastico, come nei I giganti della montagna.
Allo stesso tempo Pirandello ci dice che il mondo stesso, quello in cui viviamo, è una finzione, di cui noi non siamo altro che personaggi, in molti casi rinnegati dal nostro autore. Nel discorso pirandelliano c’è tutta la drammaticità dell’uomo contemporaneo.
Definita anche come “teatro nel teatro”, è la fase in cui Pirandello riflette, attraverso l’artificio di trasportare all’interno della rappresentazione la messa in scena stessa, sulla natura fittizia ed illusoria dell’attività teatrale e, più in generale, sul fatto che ogni nostra attività nella vita reale avviene su un “palcoscenico” di cui sono spettatori gli altri; il procedimento, non inedito nella storia del teatro: basti pensare a Plauto, Goldoni o a Shakespeare e al suo Amleto, è comunque uno dei tratti distintivi del teatro pirandelliano, e getta le basi per gran parte del teatro e della letteratura d’avanguardia del Novecento.
Definire il Metateatro non più semplice che capirlo durante una rappresentazione dello stesso.
Si potrebbe, per parlare in modo più semplice, parlare di “teatro nel teatro”.
Sì, perché, il Metateatro non è altro che una rappresentazione teatrale di una rappresentazione teatrale! In altre parole, si assiste alla preparazione di uno spettacolo teatrale prima, durante e dopo lo stesso, mentre gli attori sanno di essere attori e, spesso e volentieri, in forza di questa consapevolezza, possono abbattere il “muro” tra palcoscenico e platea, cosa che, in genere, è molto apprezzata dagli spettatori che si sentono parte integrante dello spettacolo.
Il termine ha un’etimologia chiara, in quanto formato dalle parole “meta” e “teatro”. Teatro non ha bisogno di spiegazioni, mentre il prefisso “meta”, in greco antico significa “con, dopo” o anche “cambiamento o trasformazione”.
Da qui si evince che quel ‘meta’ davanti a ‘teatro’ può stare per “oltre”. Anche il sanscrito corre in aiuto, in quanto “mìthu o mìtha” da cui “meta” può derivare, significa legare l’un l’altro: un concetto che nel metateatro vede protagonisti pubblico e attori. Non occorre essere degli esperti di drammaturgia o di storia del teatro per farsi immediatamente sovvenire i grandi nomi che hanno scritto opere meta teatrali.
Pirandello, con i suoi Sei Personaggi in Cerca d’Autore, Questa Sera si Recita a Soggettoe Ciascuno a suo modo è tra i grandi autori che, più recentemente, hanno proposto il teatro nel teatro.
Ma il Metateatro di Pirandello non è il primo esempio del genere. Il teatro nel teatro, infatti, non è un’invenzione degli autori contemporanei: già Plauto lo utilizzava, anche se i nomi che più spesso si associano a questo genere di teatro sono Shakespeare e Goldoni.
Per entrare in questo così complesso mondo teatrale pirandelliano, sembra giusto e quanto mai attinente soffermare il pensiero su un altro aspetto importante che interessa i Personaggi creati dalla fantasia dello scrittore siciliano.
Ecco allora una sintesi disamina così da poter poi analizzare nello specifico l’opera che è l’oggetto di questa disamina.
Coesistendo la narrazione come antefatto della nascita del personaggio assieme alla dimensione scenica e a una forte tendenza dialogica presente nelle sue novelle, Pirandello giunge quasi spontaneamente alla scoperta del teatro. Ciò avviene al termine di una ricerca ideologica pirandelliana, che tende a delineare un bisogno irrinunciabile, la creazione del personaggio senza autore, che gioca alla roulette del Caso e agisce in modo apparentemente del tutto autonomo.
Ma quali sono le caratteristiche dei suoi personaggi? Il drammaturgo, all’interno di scelte realistiche quali la dimensione temporale e i contenuti borghesi, decide di andarli a pescare in situazioni grottesche, al limite della sofferenza umana (non tanto fisica, quanto dell’anima), uomini che non riescono a liberarsi da vincoli sociali dell’apparenza, spesso condannati alla solitudine oppure al riso beffardo dei loro compaesani.
È questo il vero dramma del personaggio pirandelliano: l’incapacità di realizzare la propria libertà tanto sospirata, schiavi come sono dei pregiudizi sociali. È quello che incontriamo in Così è (se vi pare), ove l’autore analizza la realtà quotidiana, percependo l’impossibilità di raggiungere la verità dei fatti, dato che molteplici e differenti sono le interpretazioni della realtà da parte di ogni singolo personaggio.
In secondo luogo, appare chiaro il tema della solitudine dell’uomo, di ogni uomo, che ne fa un mondo a sé, a volte insondabile. Così è (se vi pare) si presenta drammaturgicamente come opera corale e la trama verte attorno al tentativo di una intera comunità di chiarire se la follia sia del signor Ponza o della signora Frola. Redatta nella primavera del 1917 e rappresentata per la prima volta a Milano nel 1918 al Teatro Olimpia, è una commedia che si muove attorno al tentativo di scoprire la vera identità della signora Ponza, per capire di conseguenza chi dei due sia il pazzo.
Gli esponenti di spicco del piccolo centro, in cui è inserita la vicenda, si chiedono quale sia la verità. Varie ipotesi si affermano per poi essere contraddette, senza giungere ad una soluzione se non quella in cui lo spettatore coglie la relatività delle singole verità e l’incapacità umana di impossessarsi della sostanza delle cose.
In un contesto borghese di provincia, dove il desiderio di conoscere come stanno i fatti conduce al pettegolezzo e alla curiosità spasmodica delle donne, la burocrazia minima del luogo giunge a definire che il Prefetto deve sapere tutto su questa contorta vicenda. Assistiamo a un movimento incalzante di entrata e uscita di scena, di dichiarazioni di follia dell’uno verso l’altra e viceversa; anche il confronto fra il signor Ponza e la signora Frola non porta a nulla, ognuno mantiene la propria tesi. Nel terzo atto si dovrebbe giungere alla risoluzione con “l’interrogatorio” della moglie del signor Ponza
Tuttavia, la verità ricercata non emerge e questa “inchiesta” rimane insoluta, senza alcuna vittoria tra i due “indagati”. La signora Ponza contemporaneamente resta la figlia della signora Frola e la seconda moglie del signor Ponza, così come ognuno dei due crede che sia, e a conclusione del testo dichiara: “Io sono colei che mi si crede”.
Si comprende da questa affermazione il dramma della follia che la signora Ponza intendeva celare agli occhi del mondo, recitando la doppia parte per i due suoi cari, ed esistendo nella misura in cui è creduta dal marito e dalla signora Frola, così come ognuno vorrà crederla tale.
Sempre del 1917 è la commedia in tre atti Il piacere dell’onestà, interpretata con successo da Ruggero Ruggeri, che invece non portò sulle scene “Così è (se vi pare)”, scusandosi di non avere una compagnia adatta al testo. In realtà perché preferiva recitare un’opera in cui emergesse la sua bravura di mattatore piuttosto che una commedia corale.
Infatti “Il piacere dell’onestà” si giustappone a Così è (se vi pare), perché chiaramente più vicina a un teatro tradizionale, a parti sceniche più ampie e definite per un primo attore. La vicenda tratta di un matrimonio riparatore “bianco”: Baldovino deve sposare Agata, messa incinta dal marchese Fabio, già maritato a una donna che lo tradisce.
Matrimonio per dare un nome al figlio di Agata e per consentire in futuro che la relazione tra i due continui. Considerato un fallito e un poco di buono, Baldovino appare molto adatto alla situazione; egli accetta di sposare per finta Agata, ma nel frattempo decide di seguire l’onestà e un rigido codice morale.
Nato il bambino, la donna non desidera più avere contatti con il marchese, il quale intende, invece, intrappolare Baldovino, che ora sente quasi antagonista nei confronti di Agata. Ma il disegno del marchese Fabio fallisce.
Agata, che ormai già da tempo ha compreso l’umanità e la vera indole del marito, lo stima e intende seguire Baldovino, come una vera moglie, ovunque egli andrà. In questi due testi drammaturgici Pirandello adombra il significato ultimo della condizione umana, il perpetuo esilio dell’uomo dagli altri e da sé, prigioniero delle convenzioni e incapace assolutamente di ribaltarle.
Sta qui la vera natura del dolore dei personaggi pirandelliani, che vivono una realtà illusoria e di sconfitti. Sembra quasi che l’autore voglia dirci che la verità non esiste, semmai vive la sua vanificazione nella frantumazione dell’io di ogni personaggio.
Ma vi è pure una possibilità di riscatto, come in Baldovino, il quale in tutta la sua vita ha truffato e speculato, privo di ogni freno morale e di impulso passionale.
Tuttavia, la maschera che ha creato fino a un certo punto della propria esistenza, crolla miseramente: Baldovino si trova coinvolto nell’umana energia degli affetti e di una scelta radicale di redenzione, nell’anelito verso il Bene.
I personaggi Pirandelliani vittime delle contraddizioni
La drammaturgia di Pirandello si fonda sulla spontaneità del rapporto tra situazione e condizione, persona e personaggio, realtà e finzione scenica. Il che rese necessario un lungo periodo di osservazione, compiuto dal drammaturgo, sugli esseri umani e il loro comportamento.
Dall’analisi della realtà deriva l’utilizzo di eventi grotteschi, casi apparentemente senza via d’uscita, una folla di creature dissociate, schiave di pregiudizi e desiderose di una libertà impossibile.
Tra i diversi lavori pirandelliani pare emblematica di quanto si è appena detto la commedia Ma non è una cosa seria, rappresentata la prima volta a Livorno nell’autunno del 1918 dalla compagnia di Emma Gramatica.
Divisa in tre atti, la pièce descrive la decisione paradossale del protagonista, Memmo Speranza, di sposarsi per finta al fine di non correre il rischio di giungere a un autentico matrimonio che gli avrebbe potuto creare strascichi e complicazioni a non finire, visto che per carattere Memmo si innamora perdutamente e, per giunta, con molta frequenza.
La scelta della “moglie” cade su una giovane donna apparentemente insignificante e trasandata che dirige una pensione, Gasparina. Tra i due si sancisce un patto da rispettare assolutamente: il matrimonio sarà valido giuridicamente, ma solo per apparenza, e in cambio Memmo offrirà alla donna tranquillità economica e una casetta in campagna con un po’ di giardino. La decisione dell’uomo non è campata in aria, ha una sua logica, una serie di ragionamenti assurdi la sostiene, anche perché si è appena salvato da un duello contro un possibile futuro ex cognato.
Memmo / Don Giovanni vede in Gasparina la risoluzione alle proprie questioni amorose: divenire un uomo sposato alla luce del sole sarà per lui una maggior difesa nei confronti delle altre donne e per Gasparina un vantaggio economico e una vita più serena e meno pesante.
Il matrimonio avviene in allegria alla presenza degli altri frequentatori della pensione; a breve Memmo perderà la testa di nuovo per una donna, che aveva lasciato poco prima, e si pentirà della “pazzia” del finto matrimonio, ma per un breve periodo.
Gasparina, nel mentre, conducendo un’esistenza tranquilla e meno faticosa, diviene radiosa, quasi si trasforma, mentre il vecchio signor Barranco, che da sempre la ama, vorrebbe togliere Gasparina da questa situazione, invocando l’annullamento del matrimonio perché non è stato consumato.
Per questo consiglia alla donna di far visita a Memmo e di invitarlo nella casetta in campagna, dove il signor Barranco gli esporrà la soluzione da lui escogitata, e cioè la libertà per Gasparina di tornare nubile.
A questo appuntamento Memmo non mancherà e capirà subito di non desiderare affatto l’annullamento delle nozze, anzi scoprirà di essersi innamorato veramente di Gasparina che ora è diventata affascinante, amabile, ridente negli occhi.
Le donne precedenti gli appaiono vanesie e superficiali, non fanno più per lui e desidera con tutto sé stesso Gasparina, che da tempo lo ama in silenzio ed aveva accettato il matrimonio più che per interesse con la speranza di trasformare la loro unione in una cosa seria e duratura.
Questa commedia, iniziata nell’assurdo, termina con un lieto fine: le presunte follie amorose, pertanto, si mutano in amore verso una donna che alle qualità fisiche associa anche quelle di bontà d’animo e onestà. Ma, nonostante il finale, Memmo rimane nel novero delle persone alla ricerca di sé, con un inevitabile destino di sofferenza, è della schiera di chi è prigioniero delle convenzionalità della società borghese, un’anima ribelle che si consuma all’interno di limiti sociali precostituiti.
Tutto questo appare ancor più evidente nel personaggio di Leone Gala della commedia Il gioco delle parti. Anche lui è uno sconfitto dalla vita, da uomo sensibile subisce la tragedia dell’esistere.
Tuttavia, dopo il disinganno, dopo il naufragio dei suoi sogni e delle sue aspirazioni, che si concretizza nel fallimento coniugale, dopo aver capito il gioco che gli è toccato in sorte, Leone si difende e si rende conto che esiste una possibile via d’uscita nel diventare, contro la propria indole, a sua volta disumano, uccidendo i sentimenti, rallegrandosi delle pene altrui, cercando di vivere senza passioni, ma con una sorridente disperazione.
È infatti il tema del matrimonio, della separazione di comune accordo, della finzione agli occhi altrui ad essere il motore de “Il gioco delle parti”. Oltre a Leone, gli altri vertici del triangolo amoroso sono sua moglie Silia e l’amante di lei, Guido Venanzi.
Da intellettuale ironico, apparentemente distaccato e superiore, senza scandali ha lasciato, per volere di lei, l’appartamento alla moglie, portandosi via solo i libri a lui cari e gli arnesi di cucina, elementi primari dell’arte culinaria di cui si diletta.
Silia, la moglie interiormente infelice e tormentata, non sopporta più il carattere di Leone, la sua presenza composta, anche nei confronti del suo amante Guido. Nei patti della separazione vi è anche l’accordo che Leone ogni sera passi da casa per informarsi sulle possibili novità. Una sera, mentre viene fatto salire apposta da Silia per farlo ritrovare a faccia a faccia con Guido, imbarazzato e inetto, al contrario Leone mostra di non essere scalfito dalla presenza dell’amante e in quest’occasione espone la propria filosofia di vita imperniata sul superamento delle passioni, sulla razionalità che vince tutto grazie a una corazza-scudo nei confronti della vita: ogni sentimento, accadimento o persona va svuotato o ridotto a puro ragionamento, compensando questo vuoto con un giocattolo buffo, la filosofia e la cucina nel suo caso, pensando così di aver raggiunto un equilibrio interiore invidiabile.
Così come un uovo che la vita ti getta contro, se non sei pronto a prenderlo, si disintegra per terra o addosso a te, mentre se lo afferri con le mani, puoi fargli un buchino e bertelo, e il guscio che ti resta è come il concetto, ci giochi un po’, poi, frantumandolo, lo getti via. Silia entra in scena, recando per l’appunto un guscio d’uovo per il marito, il quale a sua volta lo porge ridendo all’amante, perché non è Leone ad averlo bevuto. I nervi di Silia non reggono all’indifferenza apparente del marito e, sportasi dalla finestra, getta il guscio tentando di colpire con l’uovo vuoto il marito sul portone. Ma ciò non accade: colpisce un giovane che fa parte di un gruppo di ubriachi, i quali credono di trovarsi sotto casa della mondana Pepita e interpretano il lancio del guscio come un invito a salire.
Mentre irrompono in casa di Silia, lei viene folgorata da un’idea.
Dopo aver chiuso a chiave Guido, che non deve apparire in quanto amante, accoglie i quattro, si fa dare il biglietto da visita da uno di loro, mentre gli altri inquilini la soccorrono, attirati dal frastuono. Ma la donna ormai è stata oltraggiata, anche se il marchese Miglioriti, quello del biglietto da visita, rinsavito, si scusa con lei che però non intende ragioni. Il piano di Silia prevede che il marito si esponga in un duello con il marchese per il disonore arrecato alla moglie.
L’indomani Silia narra l’accaduto a Leone, che la loda per la sua accortezza di aver serrato l’amante e mostra l’intendimento di difenderla come lei desidera. Pare non tirarsi indietro, anzi incarica Guido di fargli da secondo, mentre la notizia si sparge in tutta la città. Per questo Leone, sicuro di sé, ha dato a Guido un mandato tassativo, senza possibilità di riconciliazione. Il marchese Miglioriti, oltre a tirare bene di scherma, ha un’ottima mira con la pistola, elementi che non dovrebbero lasciare scampo al povero Leone, che mostra un’estrema tranquillità di fronte al pericolo. Tuttavia, la mattina del duello Leone se la dorme: il medico e i suoi padrini giungono in casa, ma lui, alle richieste pressanti di vestirsi per il duello, afferma che non intende cadere in questo tranello preparatogli ad hoc, e che nel gioco delle parti spetta a Guido difendere l’onore della propria donna.
Così nel duello l’amante troverà la morte, mentre Silia e Leone riprenderanno a vivere ciascuno nella propria infelicità. In ogni caso soprattutto per Leone, che si crede una persona lucida e che presume di aver capito il gioco, è una sconfitta, perché forse non ha compreso che lui stesso è una parte di un gioco freddo e disperato. Alla fine, è proprio il marito filosofo la vera vittima, poiché si era illuso di avere la meglio con la ragione, mentre la sua ricerca di esistere si trasforma in una rovinosa caduta nel vacuo abisso dell’inconsistenza.
Pietro Seddio
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