La vita che ti diedi – Personaggi, Atto primo

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Premessa
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

En Español – La vida que te di

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La vita che ti diedi - Atto I
Maria Novella Mosci, Marina Malfatti, Edmondo Tieghi, La vita che ti diedi, 1994. Immagine dal Web.

Personaggi

Donn’Anna
Lucia Maubel
Francesca Noretti, sua madre
Fiorina Segni, sorella di Donn’Anna
Don Giorgio Mei, parroco
Lida e Flavio, figli di Donna Fiorina
Elisabetta, vecchia nutrice
Giovanni, vecchio giardiniere
Due fanti
Donne del contado

In una villa solitaria della campagna toscana. Oggi.

1923
La vita che ti diedi
Atto Primo

       Stanza quasi nuda e fredda, di grigia pietra, nella villa solitaria di Donn’Anna Luna. Una panca, uno stipo, una tavola da scrivere, altri pochi arredi antichi da cui spira un senso di pace esiliata dal mondo. Anche la luce che entra da un’ampia finestra pare provenga da una lontanissima vita. Un uscio è infondo e un altro nella parete di destra, molto più prossimo alla parete di fondo che al proscenio. Al levarsi della tela, davanti all’uscio di destra che immette nella stanza dove sì suppone giaccia moribondo il figlio di Donn’Anna Luna, si vedranno alcune donne del contado, parte inginocchiate e parte in piedi, ma curve in atteggiamento di preghiera, con le mani congiunte innanzi alla bocca. Le prime, quasi toccando terra con la fronte, reciteranno sommessamente le litanie per gli agonizzanti; le altre spieranno ansiose e sgomente il movimento del trapasso e a un certo punto faranno il segno a quelle d’interrompere la litania e, dopo un breve silenzio d’angoscia, s’inginocchieranno anch’esse e ora l’una ora l’altra faranno le invocazioni supreme per il defunto.

       LE PRIME (inginocchiate: alcune, invocando; le altre, sollecitando la preghiera).

        – Sancta Maria,

        – Ora pro eo.

        – Sancta Virgo Virginum,

        – Ora pro eo.

        – Mater Christi,

        – Ora pro eo.

        – Mater Divinae Gratiae,

        – Ora pro eo.

        – Mater purissima,

       -Ora pro eo.

       LE SECONDE (in piedi, faranno a questo punto segno alle prime d’interrompere la litania: resteranno per un momento come sospese in un gesto d’angoscia e di sgomento; poi s’inginocchieranno anch’esse).

       UNA. Santi di Dio, accorrete in suo soccorso.

       UN’ALTRA. Angeli del Signore, venite ad accogliere quest’anima.

       UNA TERZA. Gesù Cristo che l’ha chiamata la riceva.

       UNA QUARTA. E gli spiriti beati la conducano dal seno d’Abramo al Signore Onnipotente.

       LA PRIMA. Signore, abbiate pietà di noi.

       L’ALTRA. Cristo, abbiate pietà di noi.

       UNA QUINTA. Datele il riposo eterno e fate risplendere su lei la vostra eterna luce.

       TUTTE. Riposi in pace. (Rimarranno ancora un poco inginocchiate a recitare in silenzio ciascuna una sua particolare preghiera e poi si alzeranno, segnandosi. Dalla camera mortuaria verranno fuori sbigottiti e pieni di compassione e stupore Donna Fiorino Segni e il parroco Don Giorgio Mei. La prima, modesta signora di campagna, sui cinquant’anni, porterà un po’ goffamente sul vecchio corpo sformato dall’età gli abiti di nuova moda, pur discreti, di cui i figli che abitano in città desiderano che ella vada vestita. (Si sa i figli come sono, quando cominciano a pigliare animo sopra i genitori.) L’altro è un grasso e tardo parroco di campagna che, pur parlando a stento, avrà sempre da aggiungere qualche cosa a quanto gli altri dicono o che lui stesso ha detto; sebbene tante volte non sappia bene che cosa. Se però gli daranno tempo di parlare riposatamente a suo modo, dirà cose assennate e con garbo, perché infine amico delle buone letture è, e non sciocco).

       DON GIORGIO (alle donne, piano). Andate, andate pure, figliole, e – e recitate ancora una preghiera in suffragio dell’anima benedetta. (Le donne s’inchineranno prima a lui poi a Donna Fiorino e andranno via per l’uscio in fondo. I due resteranno in silenzio per un lungo tratto, l’una come smarrita nel cordoglio per la sorella e l’altro nell’incertezza tra una disapprovazione che vorrebbe fare e un conforto che non sa dare. Donna Fiorino non sosterrà più, a un certo punto, l’immagine che avrà davanti agli occhi della disperazione della sorella e si coprirà il volto con le mani e andrà a buttarsi rovescia sulla panca. Don Giorgio le si appresserà pian piano; la guarderà un poco senza dir nulla, tentennando il capo; poi alzerà le mani come chi si rimetta in Dio. Non abbiano, per carità, i comici timore del silenzio, perché il silenzio parla più delle parole in certi momenti, se essi lo sapranno far parlare. E stia Don Giorgio ancora un po’ accanto alla donna buttata sulla panca, e infine dica, come aggiunta al suo pensiero): E… e non s’è nemmeno inginocchiata…

       DONNA FIORINA (sollevandosi dalla panca, senza scoprire la faccia). Finirà di perdere la ragione! (Scoprendo la faccia e voltandosi a guardare Don Giorgio): Ha visto con che occhi, con che voce ci ha imposto di lasciarla sola?

       DON GIORGIO. No, no. Troppo in lei, anzi, mi par forte la ragione e… e il mio timore allora è un altro, mia cara signora: che le mancherà pur troppo il divino conforto della fede, e –

       DONNA FIORINA (alzandosi, smaniosa). Ma che farà sola di là?

       DON GIORGIO (cercando di calmarla). Sola non è: ha voluto che rimanesse con lei Elisabetta. Lasci. Elisabetta è saggia, e –

       DONNA FIORINA (brusca). Se lei l’avesse udita questa notte! (S’interromperà, vedendo uscire dalla camera mortuaria la vecchia nutrice Elisabetta che si dirigerà verso l’uscio infondo): Elisabetta! (E non appena Elisabetta si volterà, le domanderà con ansia, più col gesto che con la voce): Che fa?

       ELISABETTA (con occhi da insensata e voce opaca senza gesti). Niente. Lo guarda.

       DONNA FIORINA. E ancora non piange?

       ELISABETTA. No. Lo guarda.

       DONNA FIORINA (smaniando). Piangesse, Dio! almeno piangesse!

       ELISABETTA (prima appressandosi, sempre con aria da insensata, poi guardando l’una e l’altro confiderà piano). E dice sempre che è là! (Farà con la mano un gesto che significa «lontano».)

       DON GIORGIO. Chi? Lui?

       ELISABETTA (farà segno di sì col capo).

       DON GIORGIO. Là, dove?

       ELISABETTA. Parla da sé, sottovoce, movendosi –

       DONNA FIORINA. – e non potere far nulla per lei! –

       ELISABETTA. – così sicura di quello che dice, che è uno spavento starla a sentire.

       DONNA FIORINA. Ma che altro dice? che altro dice?

       ELISABETTA. Dice: «È partito; ritornerà».

       DONNA FIORINA. Ritornerà?

       ELISABETTA. Così. Sicura.

       DON GIORGIO. Partito è, ma quanto a ritornare –

       ELISABETTA. – me l’ha letto negli occhi – e ha ripetuto più forte, fissandomi: – «Ritornerà, ritornerà». – Perché quello che ha lì sotto gli occhi, dice che non è lui.

       DON GIORGIO (sorpreso). Non è lui?

       DONNA FIORINA. Diceva così anche stanotte!

       ELISABETTA. E vuole che sia portato via subito.

       DONNA FIORINA (si coprirà di nuovo la faccia con le mani).

       DON GIORGIO. In chiesa?

       Elisabetta. Via, dice. E non vuole che si vesta.

       DONNA FIORINA (scoprendo la faccia). E come, allora?

       ELISABETTA. Appena le ho detto che bisogna vestirlo –

       DON GIORGIO. – già; prima che s’indurisca! –

       ELISABETTA. – ha fatto un gesto d’orrore. Vuole ch’io vada a preparare la lavanda. Lavato, avvolto in un lenzuolo, e via. – Così. – Vado a dar subito gli ordini e torno. (Andrà via per l’uscio infondo.)

       DONNA FIORINA. Impazzirà! impazzirà!

       DON GIORGIO. Mah. Veramente, vestire chi s’è spogliato di tutto… Non vorrà forse per questo.

       DONNA FIORINA. Sarà per questo; ma io – io mi confondo, ecco – a considerare com’è.

       DON GIORGIO. Fare diversamente dagli altri. –

       DONNA FIORINA. – non perché voglia, creda! –

       DON GIORGIO. – credo; ma – dico il dubbio, almeno – il dubbio che, a sviarsi così dagli altri, dagli usi, ci si possa smarrire, e… e senza neanche trovar più compagni al dolore nostro. Perché, capirà, un’altra madre può non intenderla codesta nudità della morte che lei vuole per il– suo figliuolo –

       DONNA FIORINA. – ma sì, neanch’io! –

       DON GIORGIO. – ecco, vede? – e… e giudicarla male, e…

       DONNA FIORINA. Sempre così è stata! Sembra che stia ad ascoltare ciò che gli altri le dicono; e tutt’a un tratto spunta fuori – come da lontano – con parole che nessuno s’aspetterebbe. Cose che – che sono vere – che quando le dice lei pare si possano toccare – a ripensarle, un momento dopo, stordiscono perché non verrebbero in mente a nessuno; e fanno quasi paura. Io temo proprio, le giuro che temo di sentirla parlare; non so più nemmeno guardarla. – Che occhi! che occhi!

       DON GIORGIO. Eh, povera madre!

       DONNA FIORINA. Vedersi sparire il figlio così, in due giorni!

       DON GIORGIO. L’unico figlio: tornato da così poco! (Il vecchio giardiniere Giovanni, a questo punto, apparirà sbigottito sulla soglia dell’uscio infondo e si farà un po’ avanti verso l’uscio a destra; starà un po’ a guardare da lì il cadavere, con stupore angoscioso; si inginocchierà fin quasi a toccar terra con la fronte e rimarrà così un pezzo, mentre Donna Fiorina e Don Giorgio seguiteranno a parlare.)

       DONNA FIORINA. Dopo averlo aspettato tanti anni, tanti anni: più di sette: le era partito giovinetto –

       DON GIORGIO. – ricordo: per i suoi studii d’ingegneria: a Liegi, mi pare –

       DONNA FIORINA (lo guarderà e poi tentennando il capo in segno di disapprovazione). – là, là, dove poi…

       DON GIORGIO (con un sospiro). So, so. Anzi, mi trattengo perché ho da dirle… – (alluderà alla madre nell’altra stanza. Il vecchio giardiniere Giovanni si alzerà segnandosi e andrà via per l’uscio in fondo.)

       DONNA FIORINA (aspetterà che il vecchio giardiniere sia uscito, e subito, con ansia, domanderà, alludendo al figlio morto): Le lasciò, confessandosi, qualche disposizione?

       DON GIORGIO (grave). Sì.

       DONNA FIORINA. Per quella donna?

       DON GIORGIO (c. s.). Sì.

       DONNA FIORINA. L’avesse sposata, quando la conobbe a Firenze, studente!

       DON GIORGIO. È una signora francese, è vero?

       DONNA FIORINA. Sì, ora. Ma di nascita, no: è italiana. Studiava anche lei a Firenze. Poi sposò un francese, un certo signor Maubel che se la portò prima a Liegi, appunto, poi a Nizza.

       DON GIORGIO. Ah, ecco. E lui la seguì?

       DONNA FIORINA. Che passione per questa povera madre! Non ritornare, in sette anni, neppure una volta, neppure per pochi giorni a rivederla! E alla fine, ecco: ritornare, per morirle così, in un momento. E non era finita, non era ancora finita la corrispondenza con quella donna. Già lei lo saprà: glie l’avrà confessato. (Lo guarderà e poi domanderà, titubante): Ha forse disposto per i bambini?

       DON GIORGIO (guardandola a sua volta). No. Quali?

       DONNA FIORINA. Non sa che ella ha due figliuoli?

       DON GIORGIO. Ah, i bambini di lei – sì; me l’ha detto. E mi ha detto che sono stati la salvezza della madre e anche sua.

       DONNA FIORINA. La salvezza, ha detto?

       DON GIORGIO. Sì.

       DONNA FIORINA. Non sono, dunque… non sono di lui?

       DON GIORGIO (subito). Oh, no, signora! Purtroppo non si può dir puro un amore adultero, anche se contenuto soltanto nel cuore e nella mente; ma è certo che… lui almeno m’ha detto che…

       DONNA FIORINA. Se glie l’ha detto in punto di morte – Dio mi perdoni: sua madre me l’aveva assicurato, più volte; le confesso che non ho saputo crederci. La passione era tanta che… sì, sospettai perfino che quei due bambini… –

       DON GIORGIO. No, no.

       DONNA FIORINA (stando in orecchi e facendo segno a Don Giorgio di tacere). Oh Dio, sente? Parla… parla con lui! (S’appresserà piano all’uscio a destra e starà un po’ in ascolto.)

       DON GIORGIO. Lasci. È il dolore. Farnetica.

       DONNA FIORINA. No. È che le cose, come sono per noi, come noi le pensiamo – questa sventura – chi sa che senso avranno per lei!

       DON GIORGIO. Lei dovrebbe forzarla a lasciare almeno per qualche tempo questa solitudine qua.

       DONNA FIORINA. Impossibile! Non tento neppure.

       DON GIORGIO. Almeno condursela con sé nella sua villa qua accanto!

       DONNA FIORINA. Volesse! Ma non esce di qua da più di venti anni. Sempre a pensare, sempre a pensare. E a poco a poco s’è così… come alienata da tutto.

       DON GIORGIO. Eh, accogliere i pensieri che nascono dalla solitudine, è male, è male: vaporano dentro, nebbie di palude…

       DONNA FIORINA. L’ha ormai dentro di sé la solitudine. Basta guardarle gli occhi per comprendere che non le può più venir da fuori altra vita, una qualsiasi distrazione. S’è chiusa qua in questa villa dove il silenzio, – su, ad attraversare le grandi stanze deserte – fa paura, paura. Pare – non so – che il tempo vi sprofondi. Il rumore delle foglie, quando c’è vento! Ne provo un’angoscia che non le so dire, pensando a lei, qua, sola. Immagino che le debba portar via l’anima, quel vento. Prima però, quando il figlio era lontano, sapevo dove gliela portava; ma ora? ma ora? (Vedendo comparire la sorella sulla soglia dell’uscio a destra) Ah! Dio, eccola! (Donn’Anna Luna, tutta bianca e come allucinata, avrà negli occhi una luce e sulle labbra una voce così «sue» che la faranno quasi religiosamente sola tra gli altri e le cose che la circondano. Sola e nuova. E questa sua «solitudine» e questa sua «novità» turberanno tanto più, in quanto si esprimeranno con una quasi divina semplicità, pur parlando ella come in un delirio lucido che sarà quasi l’alito tremulo del fuoco interiore che la divora e che si consuma così. S’avvierà all’uscio infondo senza dir nulla: lì sulla soglia aspetterà un poco: poi, vedendo Elisabetta che ritorna insieme con due fanti che recheranno una conca d’acqua fumante infusa di balsami, dirà con lieve dolente impazienza):

       DONN’ANNA. Presto, presto, Elisabetta. E fai come ti ho detto io. Ma presto. (Le due fanti, senza fermarsi, attraverseranno da un uscio all’altro la scena.)

       ELISABETTA (scusandosi). Ho dovuto dare anche gli altri ordini –

       DONN’ANNA (per troncare le scuse). – sì, sì –

       ELISABETTA (seguitando). – e poi bisognerà che venga ancora il medico a vedere; e dar tempo che –

       DONN’ANNA (c. s.). – sì, vai vai. – Oh guarda lì, – (indicherà per terra, presso Elisabetta) – una corona. Sarà caduta a una di quelle donne. (Elisabetta si chinerà a raccattarla, gliela porgerà e s’avvierà per l’uscio a destra. Prima che Elisabetta esca, ella tornerà a raccomandarle): Come t’ho detto io, Elisabetta.

       ELISABETTA. Sì, padrona. Non dubiti. (Via.)

       DONN’ANNA (guardando l’umile corona). Pregare – inginocchiare il proprio dolore… – Tenga, Don Giorgio. (Gli porgerà la corona.) Per me è più difficile. In piedi. Seguirlo qua, attimo per attimo. A un certo punto, quasi manca il respiro; ci s’accascia e si prega: – «Ah, mio Dio, non resisto più: fammi piegare i ginocchi!» – Non vuole. Ci vuole in piedi; vivi, attimo per attimo: qua, qua; senza mai riposo.

       DON GIORGIO. Ma la vera vita è di là, signora mia!

       DONN’ANNA. Io so che Dio non può morire in ogni sua creatura che muore. Lei non può neanche dire che la mia creatura è morta: lei mi dice che Dio se l’è ripresa con Sé.

       DON GIORGIO. Ecco, sì! Appunto!

       DONN’ANNA (con strazio). Ma io sono qua ancora, don Giorgio!

       DON GIORGIO (subito, a confortarla). Sì, povera signora mia.

       DONNA FIORINA. Povera Anna mia, sì.

       DONN’ANNA. E non sentite che Dio per noi non è di là, finché vuol durare qua, in me, in noi; non per noi soltanto ma anche perché seguitino a vivere tutti quelli che se ne sono andati?

       DON GIORGIO. A vivere nel nostro ricordo, sì.

       DONN’ANNA (lo guarderà come ferita dalla parola «ricordo» e volterà pian piano la testa quasi per non vedere la sua ferita; andrà a sedere e dirà a se stessa, dolente ma con fredda voce). Non posso più né parlare, né sentire parlare.

       DONNA FIORINA. Perché, Anna?

       DONN’ANNA. Le parole – come le sento proferire dagli altri!

       DON GIORGIO. Io ho detto «ricordo».

       DONN’ANNA. Sì, don Giorgio; ma è come una morte per me. Se non ho mai, mai vissuto d’altro? Se non ho altra vita che questa – l’unica che possa toccare: precisa, presente – lei mi dice «ricordo», e subito me l’allontana, me la fa mancare.

       DON GIORGIO. Come dovrei dire allora?

       DONN’ANNA. Che Dio vuole che mi viva ancora, mio figlio! – Così. – Non certo più di quella vita che Egli volle dare a lui qua; ma di quella che gli ho data io, sì, sempre! Questa non gli può finire finché la vita duri a me. – O che non è vero che così si può vivere eterni anche qua, quando con le opere ce ne rendiamo degni? – Eterno; mio figlio, no; ma qua con me, di questo giorno che gli è rimasto a mezzo, e di domani, finché vivo io, mio figlio deve vivere, deve vivere, con tutte le cose della vita, qua, con tutta la mia vita, che è sua, e non gliela può levare nessuno!

       DON GIORGIO (pietosamente, per richiamarla da tanta superbia, come a lui pare, alla ragione, accennerà a Dio, levando una mano).

       DONN’ANNA (subito, intendendo il gesto). No. Dio? Dio non leva la vita!

       DON GIORGIO. Ma io dico quella che fu la sua qua.

       DONN’ANNA. Perché sapete che c’è di là un povero corpo che non vi vede e non vi sente più! E allora, basta, è vero? È finito. Sì, vestirlo ancora d’uno dei suoi abiti portati di Francia, anche se non serva a ripararlo dal gelo che ha in sé e non gli viene più da fuori.

       DON GIORGIO. Ma è pure un rito, signora mia –

       DONN’ANNA. – sì, recitare le preghiere, accendere i ceri… – E fate, sì; ma presto! – Io voglio quella sua stanza là com’era; che stia là viva, viva della vita che io le do, ad attendere il suo ritorno, con tutte le cose com’egli me l’affidò prima che partisse. – Ma lo sa che mio figlio, quello che mi partì, non m’è più ritornato? – (Cogliendo uno sguardo di Don Giorgio alla sorella): Non guardi Fiorina. Anche i suoi figli! Le sono partiti l’anno scorso per la città, Flavio e Lida. Crede che essi ritorneranno? (Donna Fiorina nel sentirle dire così, si metterà a piangere sommessamente.) No, non piangere! Piansi tanto anch’io – allora sì – per quella sua partenza! Senza sapere! Come te che piangi e non ne sai, non ne sai ancora la ragione!

       DONNA FIORINA. No, no; io piango per te, Anna!

       DONN’ANNA. E non intendi che si dovrebbe piangere sempre, allora? – Oh Fiorina, (le prenderà la testa fra le mani e la guarderà negli occhi amorosamente): tu, questa? con questa fronte? con questi occhi? Ma ci pensi? Come ti sei ridotta così da quella che eri? Ti vedo viva com’eri, un fiore veramente; e vuoi che non mi sembri un sogno vederti ora così? E a te, di’ la verità, se ci pensi, la tua immagine d’allora –

       DONNA FIORINA. – eh sì, un sogno, Anna.

       DONN’ANNA. Ecco, vedi com’è? Tutto così. Un sogno. E il corpo, se così sotto le mani ti cangia ti cangia – le tue immagini – questa, quella – che sono? Memorie di sogni. Ecco: questa, quella. Tutto.

       DONNA FIORINA. Memorie di sogni, sì.

       DONN’ANNA. E allora basta che sia viva la memoria, io dico, e il sogno è vita, ecco! Mio figlio com’io lo vedo: vivo! vivo! – Non quello che è di là. Cercate d’intendermi!

       DONNA FIORINA (quasi tra sé). Ma è pure quello di là!

       DON GIORGIO. Dio volesse che fosse un sogno!

       DONN’ANNA (senza più impazienza, dopo essere stata per un momento assorta in sé).Sette anni ci vogliono – lo so – sette anni di stare a pensare al figlio che non ritorna, e aver sofferto quello che ho sofferto io, per intenderla questa verità che oltrepassa ogni dolore e si fa qua, qua come una luce che non si può più spegnere – (si stringerà con ambo le mani le tempie) – e dà questa terribile fredda febbre che inaridisce gli occhi e anche il suono della voce: chiara e crudele. (Io quasi mi volto, a sentirmi parlare, come se parlasse un’altra.)

       DONNA FIORINA. Tu dovresti riposarti un poco, Anna mia.

       DONN’ANNA. Non posso. Mi vuole viva. – Ma guardi, don Giorgio, guardi se non è tutto vero così come io le dico. Mio figlio, voi credete che mi sia morto ora, è vero? Non mi è morto ora. Io piansi invece, di nascosto, tutte le mie lagrime quando me lo vidi arrivare: – (e per questo ora non ne ho più!) – quando mi vidi ritornare un altro che non aveva nulla, più nulla di mio figlio.

       DON GIORGIO. Ah, ecco – sì, cambiato – certo! Eh, l’ha detto lei stessa, dianzi, di sua sorella. Ma si sa che la vita ci cambia, e…

       DONN’ANNA. – e ci pare che possiamo confortarci dicendo così: «cambiato». E cambiato, non vuol dire un altro, da quello che era? Io non lo potei riconoscere più come il figlio che m’era partito. – Lo spiavo, se almeno un volger d’occhi, un cenno di sorriso a fior di labbro, che so… un subito schiarirsi della fronte, di quella sua bella fronte di giovinetto con tanti capelli fini – oh, d’oro nel sole! – mi avesse richiamato vivo, almeno per un momento, in questo che m’era ritornato, il mio figlio d’allora. No, no. Altri occhi: freddi. E una fronte sempre opaca, stretta qua alle tempie. E quasi calvo, quasi calvo. – Ecco, com’è là. (Accennerà alla camera mortuaria.)Ma deve ammettermi che io lo so, mio figlio come era. Una madre guarda il figlio e lo sa com’è: Dio mio, l’ha fatto lei! – Ebbene, la vita può agire così crudelmente verso una madre: le strappa il figlio e glielo cambia. – Un altro; e io non lo sapevo. Morto; e io seguitavo a farlo vivere in me.

       DON GIORGIO. Ma per lei dunque, signora; per come era per lei. Non morto per sé, se egli fino a poco fa viveva –

       DONN’ANNA. la sua vita, sì; ah, la sua vita sì, e quella che egli dava a noi, a me! Ben poco ormai, quasi più niente a me. Era tutto là, sempre! (Indicherà lontano.) Ma capisce che cosa orribile m’è toccato patire? Mio figlio – quello che è per me, nella mia memoria, vivo – era rimasto là, presso quella donna; e qua, per me, era tornato questo che – che non potei più sapere neppure come mi vedesse, con quegli occhi cambiati – che non mi poteva dar più niente – che se pur con la mano qualche volta mi toccava, certo non mi sentiva più come prima. – E che posso saperne io, della sua vita, com’era adesso per lui? delle cose, com’egli le vedeva; e quando le toccava, come le sentiva? – Ecco, vede? è così: quello che ci manca, ora, è solo quello che non sappiamo, che non possiamo sapere: la vita com’egli la dava a sé e a noi. Questa sì. Ma allora, Dio mio, si dovrebbe anche intendere che la vera ragione per cui si piange anche davanti alla morte è un’altra da quella che si crede.

       DON GIORGIO. Si piange quello che ci viene a mancare.

       DONN’ANNA. Ecco! La nostra vita in chi muore: quello che non sappiamo!

       DON GIORGIO. Ma no, signora –

       DONN’ANNA. – sì, sì: per noi piangiamo; perché chi muore non può più dare – lui, lui – nessuna vita a noi, con quei suoi occhi spenti che non ci vedono più, con quelle sue mani fredde e dure che non ci possono più toccare. E che vuole ch’io pianga, allora, se è per me! – Quando era lontano, io dicevo: – «Se in questo momento mi pensa, io sono viva per lui». – E questo mi sosteneva, mi confortava nella mia solitudine. – Come debbo dire io ora? Debbo dire che io, io, non sono più viva per lui, poiché egli non mi può più pensare! – E voi invece volete dire che egli non è più vivo per me. Ma sì che egli è vivo per me, vivo di tutta la vita che io gli ho sempre data: la mia, la mia; non la sua che io non so! Se l’era vissuta lui, la sua, lontano da me, senza che io ne sapessi più nulla. E come per sette anni gliel’ho data senza che lui ci fosse più, non posso forse seguitare a dargliela ancora, allo stesso modo? Che è morto di lui, che non fosse già morto per me? Mi sono accorta bene che la vita non dipende da un corpo che ci sia o non ci sia davanti agli occhi. Può esserci un corpo, starci davanti agli occhi, ed esser morto per quella vita che noi gli davamo. – Quei suoi occhi che si dilatavano di tanto in tanto come per un brio di luce improvviso che glieli faceva ridere limpidi e felici, egli li aveva perduti nella sua vita; ma in me, no: li ha sempre, quegli occhi, e gli ridono subito, limpidi e felici, se io lo chiamo e si volta, vivo! – Vuol dire che io ora non debbo più permettere che s’allontani da me, dov’ha la sua vita; e che altra vita si frapponga tra lui e me: questo sì! – Avrà la mia qua, nei miei occhi che lo vedono, sulle mie labbra che gli parlano; e posso anche fargliela vivere là, dove lui la vuole: non m’importa! senza darne più niente, più niente a me, se non me ne vuol dare: tutta, tutta per lui là, la mia vita: se la vivrà lui, e io starò qua ancora ad aspettarne il ritorno, se mai riuscirà a distaccarsi da quella sua disperata passione. (A Don Giorgio): Lei lo sa.

       DON GIORGIO. Sì, me ne parlò.

       DONN’ANNA. L’ho supposto, don Giorgio.

       DON GIORGIO. E mi disse come voleva che le fosse annunziata la sua morte.

       DONN’ANNA (come se il figlio parlasse per la sua bocca). Che l’amore di lui non le mancò mai, fino all’ultimo momento.

       DON GIORGIO. Sì. Ma facendoglielo sapere con tutte le debite cautele, scrivendone alla madre di lei, là.

       DONN’ANNA (c. s.). Che non le mancherà mai, mai quest’amore!

       DON GIORGIO (stordito). Come?

       DONN’ANNA (con la massima naturalezza). Se ella saprà tenerselo vivo nel cuore, aspettandone di qua il ritorno, com’io lo aspetto di là. – Se ella lo ama, m’intenderà. E il loro amore, per fortuna, era tale che non aveva bisogno per vivere della presenza del corpo. Si sono amati così. Possono, possono seguitare ad amarsi ancora.

       DONNA FIORINA (costernata). Ma che dici, Anna?

       DONN’ANNA. Che possono! Nel cuore di lei. Se ella saprà dargli ancora vita col suo amore, come certo in questo momento gliela dà, se lo pensa qua vivo com’io lo penso vivo là.

       DON GIORGIO. Ma crede, signora mia, che si possa, così, passar sopra la morte?

       DONN’ANNA. No, è vero? «Così» non si deve! La vita, sì, ha messo sempre sui morti una pietra, per passarci sopra. Ma dev’essere la nostra vita, non quella di chi muore. I morti li vogliamo proprio morti, per poterla vivere in pace la nostra vita. E così va bene passar sopra la morte!

       DON GIORGIO. Ma no. Altro è dimenticare i morti, signora (che non si deve), altro pensarli vivi come lei dice –

       DONNA FIORINA. – aspettarne il ritorno –

       DON GIORGIO. – che non può più avvenire!

       DONN’ANNA. E allora pensarlo morto, è vero? com’è là! –

       DON GIORGIO. – purtroppo! –

       DONN’ANNA. – ed esser certi che non può più ritornare! Piangere molto, molto; e poi quietarsi a poco a poco –

       DONNA FIORINA. – consolarsi in qualche modo!

       DONN’ANNA. E poi, come da lontano, ogni tanto, ricordarsi di lui: – «Era così» – «Diceva questo» – Va bene?

       DONNA FIORINA. Come tutti hanno sempre fatto, Anna mia!

       DONN’ANNA. Insomma, ecco, farlo morire, farlo morire anche in noi; non così d’un tratto com’è morto lui là, ma a poco a poco; dimenticandolo; negandogli quella vita che prima gli davamo, perché egli non può più darne nessuna a noi. Si fa così? – Tanto e tanto. Più niente tu a me; più niente io a te. – O al più, considerando che se non me ne dai più è perché proprio non me ne puoi più dare, non avendone più neanche un poco, neanche una briciola per te; ecco, di quella che potrà avanzarne a me, di tanto in tanto, io te ne darò ancora un pochino, ricordandoti – così, da lontano. Ah, da lontano lontano, badiamo! per modo che non ti possa più avvenire di ritornare. Dio sa, altrimenti, che spavento! – Questa è la perfetta morte. E la vita, quale anche una madre, se vuol esser saggia, deve seguitare a viverla, quando il figlio le sia morto.

       (Si ripresenterà a questo punto sulla soglia dell’uscio infondo Giovanni, il vecchio giardiniere, sbigottito, con una lettera in mano. Vedendo Donn’Anna, si tratterrà d’entrare e farà cenno a Donna Fiorina della lettera, badando di non farsi scorgere. Ma Donn’Anna, vedendo voltare la sorella e Don Giorgio, si volterà anche lei e, notando lo sbigottimento del vecchio, gli domanderà):

       DONN’ANNA. Giovanni – che cos’è?

       GIOVANNI (nascondendo la lettera). Niente. Volevo… volevo dire alla signora…

       DON GIORGIO (che avrà scorto la lettera nelle mani del vecchio, domanderà con ansia costernata): Che sia la lettera ch’egli aspettava?

       DONN’ANNA (a Giovanni). Hai una lettera?

       GIOVANNI (titubante). Sì, ma –

       DONN’ANNA. Da’ qua. So che è per lui! (Il vecchio giardiniere porgerà la lettera a Donn’Anna e andrà via.)

       DON GIORGIO. La aspettava con tanta ansia –

       DONN’ANNA. – sì, da due giorni! – Ne parlò anche a lei? –

       DON GIORGIO. Sì, per dirmi che lei doveva aprirla, appena fosse arrivata.

       DONN’ANNA. Aprirla? io?

       DON GIORGIO. Sì, per scongiurare a tempo, se mai, un pericolo che lo tenne fino all’ultimo angosciato –

       DONN’ANNA. – ah sì, lo so! lo so! –

       DON GIORGIO. – ch’ella commettesse la follia –

       DONN’ANNA. – di venire a raggiungerlo qua – lo so! – Se l’aspettava! S’aspettava ch’ella abbandonasse là i figli, il marito, la madre!

       DON GIORGIO. E a scongiurare questa follia mi disse, anzi, che aveva già cominciato una lettera –

       DONN’ANNA. – per lei?

       DON GIORGIO. Sì.

       DONN’ANNA. Allora è là! (Indicherà la tavola da scrivere.)

       DON GIORGIO. Forse. Ma da distruggere ormai, per seguire invece l’altro suo suggerimento, di scrivere alla madre di lei. Ma veda, veda prima che cosa ella gli scrive.

       DONN’ANNA (aprirà con mani convulse la lettera). Sì, sì!

       DON GIORGIO. M’ero trattenuto per lasciarle detto questo; e la lettera è arrivata.

       DONN’ANNA (traendola fuori dalla busta). Eccola, eccola.

       DONNA FIORINA. A lui che non c’è più!

       DONN’ANNA. No! È qua! è qua! (E si metterà a leggere la lettera con gli occhi soltanto, esprimendo durante la lettura, con gli atteggiamenti del volto, e il tremore delle mani, e le esclamazioni che a mano a mano le scatteranno dal cuore, la gioja di sentir vivere il figlio nella passione dell’amante lontana): Sì – sì – gli dice che vuol venire – che viene, che viene!

       DON GIORGIO. Bisognerà allora impedirlo –

       DONNA FIORINA. – subito!

       DONN’ANNA (seguitando a leggere senza prestare ascolto). Non resiste più! – Finché lo aveva là con lei… – (Poi con scatto improvviso di tenerezza): Come gli scrive! come gli scrive! – (Seguiterà a leggere, e poi con un altro scatto che sarà grido e riso insieme, quasi lucente di lagrime): Sì? sì? E allora anche tu potrai! (Poi dolente) Eh, ma se ne dispera! (E ancora, seguitando a leggere): Questo tormento, sì – (Breve sospensione: seguiterà a leggere ancora un tratto, poi esclamerà): Sì, tanto, tanto amore! – (Con altra espressione, poco dopo): Ah! ah no, no! (Poi, come rispondendo alla lettera): Ma anche lui, anche lui, qua, sì, sempre per te!(Con uno scatto di gioja): Lo vede: lo vede! – (Poi, turbandosi improvvisamente): Ah Dio – ma ne è disperata, disperata. – No! ah, no! (Troncando la lettura e rivolgendosi a Don Giorgio e alla sorella): Non è possibile, non è possibile farle sapere in questo momento ch’egli non le può più dare il conforto del suo amore, della sua vita!

       DON GIORGIO. Suggerì lui stesso per questo –

       DONNA FIORINA. – di non farglielo sapere direttamente!

       DON GIORGIO. Penserà la madre a –

       DONN’ANNA. Impossibile! Ne impazzirebbe o ne morrebbe! – No! No!

       DONNA FIORINA. Ma pure, per forza, Anna, bisognerà –

       DONN’ANNA. Ma che! Se sentissi com’egli è vivo, vivo qua, in questa disperazione di lei! – Come gli parla, come gli grida il suo amore! – Minaccia d’uccidersi! – Guai se non fosse così vivo per lei in questo momento!

       DONNA FIORINA. Ma come, Anna mia? come?

       DONN’ANNA. C’è lì la sua lettera cominciata! (Andrà alla tavola da scrivere; aprirà la cartella che vi sta sopra, ne trarrà la lettera del figlio): Eccola!

       DON GIORGIO. E che vorrebbe farne, signora?

       DONN’ANNA. Avrà trovato lui le parole, qua vive, per riconfortarla, per trattenerla, per distoglierla da questo proposito disperato di venire!

       DON GIORGIO. E vorrebbe mandarle codesta lettera?

       DONN’ANNA. Gliela manderò!

       DON GIORGIO. No, signora!

       DONNA FIORINA. Pensa a quello che fai, Anna!

       DONN’ANNA. Vi dico che la sua vita bisogna ancora a lei! – Volete ch’io glielo uccida in questo momento, uccidendo anche lei?

       DONNA FIORINA. Ma scriverai alla madre nello stesso tempo?

       DONN’ANNA. Scriverò anche alla madre per scongiurarla che glielo lasci vivo! – Lasciatemi, lasciatemi!

       DON GIORGIO. La lettera non è nemmeno finita!

       DONN’ANNA. Io la finirò! Aveva la mia stessa mano. Scriveva come me! – La finirò io!

       DONNA FIORINA. No, Anna!

       DON GIORGIO. Non lo faccia, signora!

       DONN’ANNA. Lasciatemi sola! – Ha ancora questa mano per scriverle, e le scriverà! le scriverà!

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1923 – La vita che ti diedi – Tragedia in tre atti
Premessa
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Atto Secondo
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En Español – La vida que te di

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