Di Pietro Seddio.
Personaggio che ha segnato questo speciale periodo iniziale è considerata la serva in casa Pirandello, una quasi anziana donna, di nome Maria Stella.
Serviva in casa Pirandello in quegli anni, era una popolana, ma aveva sufficiente spirito per voler soffrire e godere insieme al bambino sensibile e precoce soprattutto nei confronti dei suoi orrori superstiziosi e certe sue propensioni cattolico mistiche proprio da perfetta contadina.
La famiglia di Luigi Pirandello
Col consenso dell’autore
Capitolo 3
Maria Stella
Sembra significativo soffermare l’attenzione su un evento che nella prima parte della vita dello scrittore ha segnato profondamente il suo spirito forse deformandone il carattere e comunque stigmatizzando una primaria esperienza che si è insinuata nelle pieghe dei suoi concetti che si andavano formando giorno per giorno. La capacità riflessiva della quale era intriso lo spirito del giovane Luigi era sicuramente sconosciuta a tanti, Luigi compreso, per cui ogni evento che veniva registrato dalla sua memoria e attenzione assumevano un valore importante, quasi una pietra miliare sulla quale si costruiva quella che sarebbe poi di-ventata non solo l’attività artistica, ma la stessa vita che ha caratterizzato il percorso umano e cioè il suo “involontario soggiorno sulla terra”.
Molto giustamente è stato detto che l’infanzia di questo ragazzo è stata illuminata innanzitutto da due episodi che sono riusciti, senza possibilità di equivoci, a dimostrare (pur essendo giovanissimo) una precocità eccezionale del temperamento morale (o del “super-io”, se si vuole), una fiducia senza compromessi, e una sensibilità del candore che con tutta facilità si feriva e traumatizzava.

Personaggio che ha segnato questo speciale periodo iniziale è considerata la serva in casa Pirandello, una quasi anziana donna, di nome Maria Stella.
Serviva in casa Pirandello in quegli anni, era una popolana, ma aveva sufficiente spirito per voler soffrire e godere insieme al bambino sensibile e precoce soprattutto nei confronti dei suoi orrori superstiziosi e certe sue propensioni cattolico mistiche proprio da perfetta contadina. Non dimentichiamo in casa Pirandello, da sempre non veniva mai pronunziato il nome di Dio e fu per questo che la donna, affamata di religione, quella da lei percepita, sentì di poter offrire ai partecipanti di quella casa il suo contributo spirituale aiutata da Padre Sparma, beneficiario di San Pietro, la chiesa che apriva la porta a poca distanza della casa di Luigi. Per questo il piccolo veniva incoraggiato dai due che esercitavano la loro opera apostolica.
Elemento importante dei primi resoconti acquisiti da Maria Stella, il riferimento agli spiriti che nel tempo divennero presenti nella vita anche adulta dello scrittore. Spiriti che potevano essere evocati e che da un momento all’altro potevano significare la loro presenza.
In quella Sicilia così complessa, dove altri scrittori iniziarono a parlare di spiriti, il concetto spiritistico assunse una forma importante e si può dire che in molte opere questi “spiriti” trovarono posto e si resero protagonisti soprattutto quando lo scrittore raggiunse una perfetta maturità.
Si può affermare che la serva abbia avuto un ruolo importante e si ricorda che, durante l’occasione che registrò la morte di un uomo avvenuta nei pressi dell’abitazione dei Pirandello che udirono un urlo maledetto, fu capace di raccontare di quel defunto ammazzato parlando dell’anima dannata affermando, successivamente, si vederlo spesso accanto a lei.
La capacità descrittiva della donna riuscì alla fine a convincere il piccolo Luigi ad entrare in chiesa che fu avvicinato dal parroco che ebbe subito la sensazione della crisi mistica di quel ragazzo che rimase fortemente scosso.
Ormai Luigi sapeva di essere preda dei fantasmi capaci di portare crisi mistiche che difficilmente riusciva a realizzare e regolare. Sentiva di essere fluttuato e non riusciva più a ritrovare la giusta sensazione.
Quella vicinanza che turba il ragazzo raggiunge il massimo della disarmonia interiore quando accade l’evento spesso e sovente ricordato dagli storici che si riferisce al sorteggio pilotato di una statuetta della Madonna che non fu consegnata al piccolo Luigi ma a un protetto dal prete. Luigi rimase deluso e sconcertato decidendo di non entrare più nelle chiese e da qui iniziò la sua lotta contro la chiesa che sembrò perseguitarlo anche dopo la sua morte. Quella scoperta del male lo demoralizzò e a nulla poi valsero le parole di conforto sia del prete quanto di Maria Stella.
Per comprendere questo momento di maturazione è giusto soffermare l’attenzione su quanto dallo scrittore riportato così da poter già entrare nel suo mondo interiore che avrà una parte determinante nel corso della sua così elaborata esistenza.
“E’ vero, confesso, ho sempre convissuto con i fantasmi e i morti, ma mentre i primi erano frutto delle mie fantasie, gli altri erano veri, visibili ed io, da giovinetto, per caso ebbi l’occasione di vederne uno disteso sul tavolaccio. Avevo udito che nella Torre, adibita a morgue, si trovava un cadavere ed io, fin da allora alquanto curioso, volli andare a vederlo.
Avevo saputo, sempre per i tanti chiacchiericci, che si trattava di un suicida e che era stato trovato poco fuori dell’abitato: alla Cavette. Niente di lui si sapeva. Molto probabilmente, si vociferava, era caduto per la fame. Lo avevano deposto su un asse dove solitamente si mettevano i morti. L’interno della piccola stanza, buia, con una sola piccola feritoia. Tutto era avvolto dall’ombra: veramente un luogo sinistro, proprio dei morti.
Quando decisi di andare a vedere il morto era già il tramonto, ma questa situazione, non smorzò la mia curiosità. Mi ritrovai ad aprire la porta e vidi subito quel corpo immobile. Notai, ancora, che portava due grosse scarpacce e pensai che avesse poco più di quarant’anni. E poi osservai la sua barbaccia ispida e incolta.
Sembrava inverosimile ma in quel contesto la morte e la vita si trovavano una accanto all’altra nel silenzio più assoluto e in un posto che nemmeno il grande Dante avrebbe mai descritto. Provai un fremito, confesso anche perché quel silenzio innaturale mi sembrava togliermi il respiro. Era la prima volta ed era certo che non avrei mai più dimenticato quella scena.
Il silenzio che incombeva era del tutto cimiteriale e guardando le pareti nere mi accorsi delle tante ragnatele e qualcuna era riuscita ad appiccicarsi sulla mia faccia. Non mi vergogno di dire che la mia fronte era già imperlata di goccioline di sudore. Ma ecco improvvisamente avvertii un frullo, un rumore e quasi subito mi accorsi d’un’ombra che si muoveva. Un’ombra nell’ombra. C’era qualcun altro, pensai? Chi si era nascosto in qualche angolo profondo e oscuro della Torre? E questo, anzi quest’ombra, si era accorta della mia presenza?
Non respiravo nemmeno, i miei occhi si erano sgranati per cercare di individuare in quel buio la inquietante ombra che io continuavo ad avvertire. Il morto era freddo, immobile con le sue scarpacce e sembrava che avesse paura pure lui. Non respiravo, ero davvero terrorizzato.
Tornai a sentire quel frullo d’ali, strambo ma vivo. Oh no, non è possibile! Ora vedevo, pur nel buio, due corpi e dopo il primo imbarazzo capii che una era donna, non mentivano le sue fattezze fisiche. Il suo vestire, il suo incedere, non potevano ingannarmi. Riuscii a poco a poco, tenendo sgranati gli occhi a vedere che di fronte a me la donna era avvinghiata ad un uomo e non stavano fermi, no, tutt’altro.
Si muovevano con lentezza, come a dondolarsi piacevolmente regolati da una molla a scatto. E la donna? Aveva le sottane alzate e poi portava un cappellino. Ne dedussi che era una signora. Ecco mi trovai ad essere in quel momento testimone d’una tresca amorosa, vissuta di nascosto e praticata accanto al cadavere d’un uomo nel buio più fitto.
Erano in fin dei conti due adulteri nascosti alla ombra della morte per sfuggire ad altra morte e questo epilogo sarebbe accaduto se qualche interessato, marito, fratello, stretto congiunto, li avrebbe scoperti. Ma sapendo del luogo per niente frequentato, avevano deciso di amarsi anche in compagnia del morto che certo mai avrebbe parlato facendo la spia. Tutto il mistero di quell’evento, che al momento mi stordì, riuscii a comprenderlo in un secondo tempo e in quel mentre avvertendo il sentore della morte e l’odore dell’umida grotta, scambiai per pianto quell’ansito d’amore che rompeva quel silenzio di lugubre morte.
Che dire? Analizzando questo episodio alcuni analisti hanno detto che l’amore per me avrebbe avuto il sentore di morte. Ma non l’idea della morte.
Voglio anche ricordare, e qui apro una parentesi che si riferisce al mio essere “convinto” siciliano che (è stato scritto autorevolmente) l’isola è stata il luogo deputato di una esasperazione esistenziale, la cui fenomenologia ha continue repliche altrove: nei meccanismi che il borghese mette continuamente in azione per la sua sopravvivenza dopo aver constatato la mia crisi, così sbandierata ai quattro venti.
Ed ancora hanno aggiunto che senza l’esperienza acquisita particolarmente a Roma, sarei rimasto (come Verga) scrittore siciliano solo di nascita. Ammetto di essere cresciuto in un ambiente fervido di memorie risorgimentali come di tensioni unitarie che mi hanno guidato durante la mia professione di scrittore.
Aggiungo che l’ideologia garibaldina che ho respirato in seno alla mia famiglia implicò un conseguente atteggiamento anticlericale che mi ha tenuto lontano dalle pratiche religiose, iniziato con quel disgustoso episodio del quale ho già parlato.
Ed anche su questa mia lontananza dalla Chiesa sono stati scritti interi testi. Ma cercherò, più avanti, di dire la mia parola cercando di chiarire tutti gli equivoci che si sono intrecciati come terribile ragnatela. A tutto questo contribuì anche l’assidua presenza di Maria Stella, la serva in casa nostra, che mi segnò per lungo tempo, forse, per sempre.
Non frequentai le scuole elementari, come i tanti ragazzini, perché provvide, in casa, il precettore Fasulo e quando più grande fui instradato agli studi tecnici non fui per niente soddisfatto e dopo tutta una serie di grida, pianti, dinieghi, si decise che avrei frequentato il ginnasio perché mi sentivo portato verso la letteratura e nasceva anche la passione per il teatro, ed allora decisi, con caparbietà, di iniziare a scrivere, avevo dodici anni, un testo teatrale (andato perduto) dal titolo “Barbaro”.
Era un’iniziativa seppur ancora non intuivo cosa mi riservasse il futuro, il destino.
Intanto voglio, prima di continuare a raccontarmi, aprire una parentesi su un argomento che è stato sempre sottolineato, in relazione alla mia attività letteraria, che si riferisce al “dialetto” da me considerato importante tanto che iniziai a scrivere, appositamente per il teatro, presentando opere in perfetto dialetto agrigentino e questo, da principio, fece storcere il naso a quelli che, da sempre, hanno caldeggiato la lingua italiana.
Ma per me, il dialetto, e qualunque possa essere, utilizzato per opere letterarie, assume un ruolo importante in quanto capace di dare una profonda caratterizzazione a personaggi, luoghi, trame, condizioni sociali e politiche. E’ lo specchio fedele di una realtà che non potrà mai essere barattata, pur riconoscendo ai cultori della lingua italiana, che questa è basilare per acquisire tutte quelle nozioni che devono e potranno servire per acquistare una salda esperienza nel campo delle conoscenze più disparate.
Girgenti è stata sempre presente nei miei pensieri e allorquando mi trovavo a Bonn, già celebre, famoso, scrivendo a Marta Abba nel 1930 ebbi a dire:
“… che avvenisse di toccare per qualche giorno Girgenti… salutami il pino del caos e la vecchia bicocca dove sono nato. Forse non li vedrò mai più!”.
Debbo confessare che l’aria, i profumi, le sensazioni registrate nel mio animo durante quel soggiorno, accompagnato dalla mia gioventù, hanno scavato nel mio animo un profondo sentiero (“… da questo sentieruolo fra gli olivi, di mentastro, di salvie profumato, m’incamminai pe’l mondo ignaro e franco) dove cerco, ancora, di trovarmi e sentirmi in pace con me stesso.
A proposito del dialetto ricordo di aver scritto che semmai io fossi diventato un potente avrei imposto la lingua d’Agrigento; è ingiusto che ci si ostini a chiamarla dialetto, la imporrei in tutte le scuole italiane e per questo ho sempre cercato di spiegarla in tutti i modi.
Questo lo si evince benissimo leggendo alcune commedie in dialetto come “Liolà” dove ho inteso liberare le risorse drammaturgiche insite nella parlata girgentina e fissandola in un testo di grande felicità scenica. Ho salvato la memoria di un ricco patrimonio idiomatico, altrimenti destinato a disperdersi.
La testimonianza a questo mio concetto è stato avvalorato da alcuni critici che hanno riscontrato in questa specifica opera un interesse dominante per la lingua madre. Tutto questo poi ho inteso precisare scrivendo la “Premessa della tesi”, scritta in tedesco, che molti non hanno mai letto: “Suoni e sviluppo di suono della parlata di Girgenti” che mi consentì di acquisire la laurea presso l’università di Bonn nel 1891.”.
Le misteriose tematiche riguardanti lo Spiritismo, diffusosi a macchia d’olio negli Stati Uniti d’America e in Europa dalla metà dell’Ottocento, non potevano che stimolare l’estro creativo di Luigi Pirandello, che proprio da bambino era rimasto affascinato dai racconti sugli “Spiddi” narratigli dalla vecchia serva Maria Stella, al punto da incentrare su tale fascinazione alcune sue decisive opere.
Ovviamente l’autore agrigentino non fu certamente il primo ad utilizzare simili spunti ispirativi: gli esseri denominati “Spiriti” o “Fantasmi”, propriamente manifestazioni del mondo dell’aldilà, con la loro apparizione rendono incerto il confine fra vivi e morti, e in quanto detentori di messaggi occulti sono elemento cardine in opere letterarie di ampia fama, dall’ombra di Patroclo morto in battaglia, che appare in sogno ad Achille nell’Iliade (Libro XXIII, vv. 65-107), a figure emblematiche del teatro scespiriano quali gli spettri di Giulio Cesare che appare a Bruto o del padre di Amleto che reclama vendetta dal figlio, fino alla novella di Giovanni Verga, “Rosso Malpelo”, del 1878, nella quale i minatori temono di imbattersi nel fantasma del povero ragazzo perduto nei cunicoli. Il razionalismo sette-ottocentesco demitizzando gli “Spiriti”, li rese protagonisti dei racconti basati su storie di fantasmi, da Ernst Theodor Amadeus Hoffmann ad Edgar Allan Poe, ma sul versante opposto produsse il sorgere di una letteratura pseudo scientifica sul fenomeno, spinta dal desiderio di sperimentare un concreto contatto spiritico.
Favorevole all’approccio analitico fu l’autore siciliano più incline al rovello filosofico, Luigi Pirandello, il quale, in forme e contesti diversi, avvicinò più volte il fenomeno degli “Spiriti”.
Un primo esempio è costituito dall’intreccio narrativo della novella “La casa del Granella” (pubblicata nel 1905 per il periodico letterario fiorentino “Il Marzocco”, inserita nel 1910 nella raccolta “La vita nuda”). L’incursione nello Spiritismo aggiunge un ulteriore tassello all’analisi pirandelliana delle vicissitudini che ostacolano e ribaltano il corso normale delle nostre esistenze, svuotandole del senso che avevamo a fatica costruito.
Nella novella sono tanti i personaggi che, diciamo, perdono il sonno e la pace: la famiglia Piccirilli, composta da padre, madre e figlia, vuole lasciare la casa affittata loro dal signor Granella, perché testimoni di apparizioni inquietanti, fenomeni visivi ed acustici prodotti, a loro dire, dagli spiriti che infestano la casa. Ma il Granella invia agli inquilini una citazione per cessazione del contratto di locazione per aver infamato il prestigio dell’abitazione.
Il caso si presenta difficile per l’avvocato Zummo, che già ha di suo un astio verso la routine della propria professione. Tutto sembra incerto, l’avvocato Zummo non può, da buon positivista, accettare l’irrazionale, ma a sorpresa scopre che esiste una letteratura ampia ed appassionante sul tema, e vi si converte. In tal modo Pirandello, facendo precisi riferimenti a tutta una serie di eventi paranormali, all’epoca ben risaputi, mette in scena fenomeni che la scienza positiva ridicolizzava: i tavolini “parlanti e semoventi” con cui, negli Stati Uniti d’America, le tre sorelle Fox, a partire dal 1847, conversavano con gli spiriti, facendo nascere la figura del “medium”, intermediario tra gli spiriti e gli uomini; la sistematizzazione in una dottrina mistico-religiosa compiuta da Allen Kordec un decennio dopo in Francia con il “Libro degli spiriti” e la fondazione della “Società Parigina di Studi Spiritici”, sempre avvalendosi dell’utilizzo di medium; gli studi di autori seri e rispettati come quelli di psichiatri quale Enrico Morselli (“Psicologia e Spiritismo”, 1906) e Cesare Lombroso, che negli ultimi anni della propria attività giunse ad accettare l’ipotesi spiritistica (“Ricerche sui fenomeni ipnotici e spiritici”, 1909).
La conseguenza di tutto ciò, pensa l’avvocato Zummo, è che se l’anima immortale esiste, gli effetti anche più inverosimili troveranno in essi una causa:
“Lesse dapprima una storia sommaria dello Spiritismo, dalle origini delle mitologia fino ai dì nostri, e il libro del Iacolliot sui prodigi del fachirismo; poi tutto quanto avevano già pubblicato i più illustri sperimentatori, dal Crookes al Wagner, all’Aksakof; dal Gibier allo Zoellner al Janet, al de Rochas, al Richet, al Morselli; e con suo sommo stupore venne a conoscere che ormai i fenomeni così detti spiritici, per esplicita dichiarazione degli scienziati più scettici e più positivi erano innegabili.
– Ah, perdio! – esclamò Zummo, già tuto acceso e vibrante: – qua la cosa cambia d’aspetto! Finché quei fenomeni gli eran stati riferiti da gentuccia come i Piccirilli e i loro vicini, egli, uomo serio, cauto, nutrito di scienza positiva, li aveva derisi e avessero senz’altro respinti. Poteva accettarli? Se pure glieli avessero fatti vedere e toccare con mano, avrebbe piuttosto confessato d’essere un allucinato anche lui. Ma ora, ora che li sapeva confortati dall’autorità di scienziati come il Lombroso, come il Richet, ah perdio, la cosa cambiava d’aspetto”.
Così l‘avvocato Zummo mantiene la propria affidabilità professionale a spese del povero signor granella, che prova a dimostrare l’inesistenza degli spiriti dimorando nottetempo nella propria casa, senza ottenere i risultati voluti in quanto anch’egli impaurito dai rumori che, ormai per tutti ed anche per lui, non potevano che essere le voci dei fantasmi.
L’amarezza di Pirandello viene fuori chiaramente nel mettere in luce come tutti i personaggi cerchino un appiglio per sopravvivere, chi come la famiglia Piccirilli affidandosi alla legge pur sapendo che si può finire per “cacciarsi in una trappola”, chi come l’avvocato Zummo affidandosi all’irrazionale, chi come il padrone di casa fingendo sicurezza ma fuggendo al calar del sole nella speranza, vana, di non essere scoperto. Tutti cercano una via, una giustificazione, un punto fermo, qualunque esso sia.
Il razionalismo, nel quale Pirandello si era formato negli anni universitari a Bonn, lo conduce alla consapevolezza che l’uomo preferisce assumere la “Maschera” piuttosto che esercitare a pieno la ragione stessa, se essa non fa altro che mettere a nudo le contraddizioni che tali restano, senza possibilità di pacificazione, e dunque questa conversione dalla Scienza Positiva allo Spiritismo può leggersi in questa prospettiva, l’esplosione dell’illogicità che manda per aria le regole consolidate dei giochi di società.
In modo più diretto, quasi usando una lente d’ingrandimento, il richiamo all’inspiegabile fornisce alla novella “Lo spirito maligno” (pubblicata con il titolo “Una piastra e quattro centesimi” nel giornale milanese “Corriere della sera” del 2 maggio 1910, inserita nel 1923, col nuovo titolo, nella raccolta “In silenzio”). Carlo Noccia è a capo di un grande deposito di zolfo (evidenti i richiami autobiografici alla zolfara del padre di Pirandello, Stefano), ma l’ambiente spregiudicato porta anche lui, senza rendersene conto, a basse speculazioni economiche, virando in un attimo il corso della propria onesta e lineare esistenza:
“Il Noccia cominciò a credere allora all’esistenza d’un certo spirito maligno nato e nutrito dall’odio dall’invidia dal rancore, dai cattivi pensieri e insomma da tutto il male che ci vogliono i nostri nemici; uno spirito maligno che ci sta sempre attorno agile vigile e pronto a nuocerci, approfittando dei nostri dubbi e della nostra perplessità, con spinte e suggerimenti e consigli e insinuazioni che hanno in prima l’aria della più onesta saggezza, del più sennato consiglio, e che poi tutt’a un tratto si scoprono falsi e insidiosi, sicché tutta la nostra condotta appare all’improvviso agli occhi altrui ed anche ai nostri stessi sotto una luce sinistra, dalla quale non sappiamo più, come soprappesi, come sottrarci”.
Come l’azione del “Genio Maligno” di René Descartes, esistono delle condizioni che operano in direzione contraria alle nostre intenzioni, ma che portano ugualmente a dei risultati per noi innominabili e scandalosi, quindi attribuiti all’azione di uno “Spirito”: Carlo Noccia viene arrestato per la banale appropriazione di una borsetta ritrovata tra i tavolini di un caffè, e la sua buonafede non viene assolutamente presa in considerazione: “Non sarebbe stato serio prestar fede alla persecuzione di un certo spirito maligno di cui quell’arrestato farneticava”.
Nel campo della vasta produzione teatrale di Pirandello, il breve atto unico “All’uscita”, definito dall’autore “Mistero profano”, venne pubblicato nell’aprile 1916: per la profondità dell’analisi filosofica delle motivazioni umane fu pensato per la lettura ma venne egualmente portato sulle scene da Lamberto Picasso nel 1922.
L’opera è incentrata sulle figure degli spiriti (“Apparenze”) dell’Uomo grasso, del Filosofo, della Donna uccisa e del Bambino dalla melagrana (antico simbolo di fertilità e quindi di rinascita), i quali, trovatisi all’uscita d’un cimitero, utilizzano il breve tempo concesso alla loro apparenza corporea prima della definitiva dissoluzione (secondo una ipotesi della Teosofia), per continuare a cercare un senso e una risposta alle situazioni che hanno vissuto prima di morire, illusioni necessarie a sopportare la vita stessa, che conosce momenti apparentemente gratificanti per l’Uomo grasso, tradotti in illusioni dal Filosofo che le considera prive di una giustificazione razionale, condannandosi, però, ad una infinita e vana ricerca: “Ho paura ch’io solo resterò sempre qua, seguitando a ragionare”.
Molti anni dopo, Pirandello tornerà sul tema delle manifestazioni irrazionali e morbose nella sua ultima novella, “Effetti d’un sogno interrotto” (pubblicata in “Corriere della sera” del 9 dicembre 1936, inserita nel 1937 nella raccolta “Una giornata”) costruita, col tocco surrealistico della sua ultima produzione (vicina alla temperie intellettuale degli anni della psicoanalisi di Freud e del cinema di Buñuel), intorno a un quadro seicentesco, la “Maddalena in penitenza”, raffigurante una bellissima donna intenta alla lettura, dai lunghi capelli fulvi e col seno scoperto, tela presente in una vecchia casa tenuta in consegna da un uomo che se ne disfà immediatamente quando il cliente di un antiquario vede nella “Maddalena” l’immagine esatta della moglie defunta:
“Era lei, sua moglie, lei tal’è quale, lei così – tutta – come lui, lui marito, poteva averla veduta nell’intimità (e così dicendo, alludeva chiaramente alla nudità del seno)”.
La gelosia del vedovo si trasforma in uno spaventoso incubo notturno per l’uomo, sogno che continua dopo l’improvviso risveglio quando la “Maddalena” solleva gli occhi dal libro e gli lancia «uno sguardo vivo, ridente di tenera diabolica malizia». L’antiquario, vedendo tutto ciò, si affretta a trovare la causa in una mera allucinazione:
“Ma allucinazioni, signori miei, allucinazioni! – Non finiva intanto d’esclamare l’antiquario. Quanto son cari questi uomini sodi che, davanti a un fatto che non si spiega, trovano subito una parola che non dice nulla e in cui così facilmente s’acquetano. – Allucinazioni!”.
Il surrealismo di Pirandello è adesso pienamente dispiegato, come si nota dal confronto tra due novelle appartenenti a fasi successive della sua produzione: nella novella “La buon’anima” (pubblicata in “La Riviera Ligure” nel luglio 1904, inserita nel 1910 in “La vita nuda”) la presenza del defunto Cosimo Taddei si fa intrusiva nella vita di Bartolini Fiorenzo, che aveva sposato Lina Sarulli, la vedova del Taddei, a causa di onnipresenti e ridenti fotografie del defunto, ma la vicenda mantiene toni realistici seppur grotteschi; in “Effetti d’un sogno interrotto” invece Pirandello fa utilizzo dell’ambiguità del sogno in grado di passare il guado tra sonno e veglia, per descrivere i casi della sorte che rimettono in gioco dolori più o meno sopiti.
In conclusione, gli “Spiriti” e i fenomeni inspiegabili e irrazionali fungono da elemento corrosivo della ”forma” necessaria alle relazioni interpersonale, scossa emotiva che ribalta consuetudini apparentemente indiscutibili, e la tematica della “casa infestata” diviene rocambolesca fuga dal castello inviolabile per ritrovarsi nudi e indifesi, soffocati da una libertà che, ottenuta, si dimostra mortale, come testimonia l’ultima e incompiuta fatica teatrale di Luigi Pirandello: soltanto gli “Scalognati”, i protagonisti de “I Giganti della Montagna” che vivono nelle villa, detta “La Scalogna”, del “Mago” Cotrone, riescono a sopportare l’irrazionale, “esseri liberi perché operanti al di fuori della vita e della realtà” , meravigliando una compagnia teatrale che si imbatte nella loro villa, come si evince dallo scambio di battute tra l’attrice Diamante e gli “Scalognati” Quaquèo e Milordino:
“DIAMANTE: E bellissimi i lampi! Quella fiamma verde sul tetto!
QUAQUÈO: Toh, guarda! L’hanno preso per teatro! Noi facciamo i fantasmi…
MILORDINO: Ci si son divertiti!
DIAMANTE: I fantasmi! Che fantasmi?
QUAQUÈO: Ma sì, le apparizioni, per spaventare la gente e tenerla lontana!”.
Tra gli “Spiddi” di Girgenti e i “Fantasmi” di villa “Scalogna” sembra così stabilirsi, nell’arco della incessante riflessione pirandelliana, una inquietante continuità capace di rimettere in questione, ancora oggi, i nostri precari equilibri.
Da questa prima esposizione emerge in modo chiaro che l’incompatibilità fu una barriera che presto venne a trasformarsi in opposizione e contrasto. Né Pirandello bambino era mansueto. Ubbidiva per dovere e per amore. E amava la mamma e non il padre.
Il principio della ribellione in lui, finché fu nella età dell’adolescenza, fu ardente e molto combattiva,
Si svelò presto in alcuni atti esteriori di fuga e di disobbedienza nei riguardi del padre, che si conclusero alla fine, dopo alcuni anni, in un gesto – come si potrà constatare – estremo e definitivo; ma la ribellione soprattutto si interiorizzerà e scomparirà repressa negli abissi profondi, per scaturire, attraverso mille valvole forzate, nell’antitesi, nello scandalo e nell’anarchia, sulla pagina dello scrittore.
Risalta in modo chiaro e inequivocabile che la prima infanzia trascorsa dallo scrittore in un ambiente difficile abbia certamente provocato quella complessa ideologia che in seguito lo porterà ad assumere atteggiamenti spesso complicati e controproducenti come la sua così variegata produzione letteraria.
Pietro Seddio
INDICE
La famiglia di Luigi Pirandello: Nota introduttiva
Capitolo 1: Caterina Ricci Gramitto
Capitolo 2: Stefano Pirandello
Capitolo 3: Maria Stella
Capitolo 4: Calogero Portolano
Capitolo 5: Antonietta Portulano
Capitolo 6: Rosolina Pirandello
Capitolo 7: Stefano Pirandello
Capitolo 8: Fausto Pirandello
Capitolo 9: Lietta Pirandello
Capitolo 10: Il problema dell’eredità con i figli
Se vuoi contribuire, invia il tuo materiale, specificando se e come vuoi essere citato a
collabora@pirandelloweb.com
