L’esclusa – Parte II – Capitolo 13 (con Audio)

L’esclusa – Parte II – Capitolo 13
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Leggi e ascolta. Voce di Edoardo Camponeschi

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XIII.

            Entrando, il giorno dopo, trepidante, nella sala d’aspetto del Collegio, Marta vi trovò la vecchia, linda Direttrice che conversava col Mormoni e col Nusco.

            – Ha saputo, signora?

            – Che cosa? – balbettò Marta.

            – Il povero professor Falcone!

            – Falcone… La signora lo sa: era da aspettarselo! – esclamò Pompeo Mormoni, trinciando in aria uno dei soliti gesti.

            – Impazzito! – riprese la Direttrice. – O almeno ha dato segni d’alienazione mentale, su la pubblica via, jeri sera.

            Marta guardava negli occhi ora la Direttrice, ora il Mormoni, ora il Nusco.

            – S’è messo a urlare, – aggiunse questi, sorridendo nervosamente. – Poi s’è accapigliato, dicono, con la gente che gli s’è fatta intorno…

            – Dove si trova adesso? – domandò al Mormoni la Direttrice.

            – Forse al manicomio, o almeno… Jeri sera, dapprima, lo condussero in questura. Ubriaco non era: non beve vino; ma ritornava forse da Montecuccio, perché lui… già! con quei piedi… è solito di fare queste amenissime ascensioni: il sole gli avrà dato alla testa, o chi sa che grillo gli sarà saltato; gridava vendetta.

            – Speriamo che a quest’ora, – augurò il piccolo Nusco, – sia rientrato in sé, poverino!

            – Sì, – fece la Direttrice, – e intanto? siamo giusti: io vi confesso che ora avrei paura, se dovesse ritornare qui tra le mie alunne. Voglio sperare che lo manderanno altrove, dato che ritorni in sensi, come gli auguro.

            «Perderà il posto!», pensava Marta, ascoltando. «Anch’io perderò il posto…»

            E impartì quel giorno le lezioni quasi automaticamente, con l’anima di tratto in tratto percossa, investita, trascinata via dai violenti pensieri tra cui s’era dibattuta angosciosamente l’intera notte.

            L’idea della morte, sprizzata tra le strette dei due partiti odiosi proposti dall’Alvignani, l’aveva dominata durante tutta la notte, e continuava a dominarla. Ma l’immagine dell’attuazione la riempiva ancora d’orrore, le dava quasi la vertigine. Contro la tenebra invadente, tremava ancora in lei un barlume di speranza: che ella cioè non fosse davvero nello stato, in cui, purtroppo, per tanti segni, aveva argomento di temere che fosse. Questo barlume di speranza apriva nel bujo orrendo una pallida via d’uscita, l’unica. Ah, con quale impeto avrebbe voluto slanciarvisi! Trattenuta, come sotto un incubo, forzava gli occhi a scrutare questa via solitaria, lontana dall’Alvignani, lontana dal marito; e anelava, e spiava nello stesso tempo in sé, nel suo corpo, qualche accenno che le désse cagione di sperare.

            Rientrando in casa, dopo le lezioni, vi trovò a visita i Juè, gl’inquilini del secondo piano.

            Subito, dagli occhi della madre e della sorella, s’accorse che il Blandino era già stato da loro. Gli occhi della madre brillavano; il volto acceso, alla vista di lei, le si ilarò a un tratto, contenendo a stento l’esultanza di fronte ai due importuni.

            Avendo Marta detto alla Juè d’essersi sentita e di sentirsi ancora poco bene, questa esclamò, rivolgendosi alla signora Agata:

            – Sturbi di stagione, sturbi di stagione, signora mia; non ne faccia caso. Mezza città ne soffre… Noi abbiamo nella casa in via Benfratelli quella signora di cui le ho parlato una volta, si rammenta? quella poveretta divisa dal marito. Ebbene, a letto anche quella! L’altro jeri Fifo è andato a riscuotere quel po’ di pigione che ci paga (una miseria) e, si sa… è dovuto tornar via a mani vuote… Ah, se sapesse, signora mia, quel che ci tocca soffrire col cuore che abbiamo, per questa benedetta casa… Diglielo tu, Fifo…

            Il Juè, seduto con le gambe e i piedi uniti, le braccia conserte al petto, si spiccicò per ripetere la sua frase favorita:

            – Cristo solo lo sa!

            Poco dopo, marito e moglie «sospesero l’incomodo». Appena andati via, la signora Agata buttò le braccia al collo di Marta e se la strinse forte, forte al seno, baciandola più e più volte in fronte:

            – Figlia mia, figlia mia; tieni! tieni! Ecco il premio. Ti si rende giustizia, finalmente!

            Gli occhi le si riempirono di lagrime e proseguì:

            – A tuo padre, sant’anima, quella sera, non glielo dissi io? La luce si farà; l’innocenza di tua figlia sarà riconosciuta! Aspetta, aspetta… Ah, se egli vivesse ancora! Non piangere, non piangere, figlia mia… Che hai? Oh Dio, Marta, che hai?

            Marta s’era lasciata cadere su una seggiola, pallida, fosca, tutta tremante.

            – Sai che mi sento male… – mormorò.

            – Sì, ma ora non bisogna piangere più! – riprese la madre. – Sai chi è stato da noi questa mattina? Tu forse non lo conosci: il Blandino… il professor Blandino. E sai perché è venuto? chi l’ha mandato? Tuo marito! Sai ch’egli è stato per morire?

            – Lo so – disse Marta con le ciglia aggrottate.

            – Lo sai? come lo sai?

            – Me l’ha scritto Anna Veronica.

            – Ah, di nascosto?

            – Sì, gliel’ho raccomandato io, che non parlasse mai di lui nelle sue lettere a voi.

            – Sì, sì, ma ora… Di’, sai forse pure…?

            Marta, levandosi con pena, abbattuta:

            – Vuole riconciliarsi, è vero? – disse.

            – Sì, sì, – affermò con gioja la madre. Ma le cadde subito, quella gioja, di fronte al cupo aspetto di Marta.

            – Ti pare possibile ormai? – domandò questa, lasciando cadere le parole e guardandola negli occhi.

            – Come! Perché? – esclamò la madre, stupita.

            – Perché? Egli mi rivuole; non lo voglio più io.

            – Come! e non pensi… ma come? – balbettò la madre. – Se questa è per te la riparazione! Non vedi che ti si rende giustizia in faccia al mondo? E vuoi ricusarti? Come?

            – Giustizia… riparazione… – la interruppe Marta. – Tu ci credi, mamma?

            – Come no? Se il Blandino è venuto qua…

            – Ah, che il Blandino sia venuto, lo so… Mamma, è inutile! Io dico: credi tu che quello che mi hanno fatto, prima lui, Rocco, poi il babbo, sia riparabile? No, mamma, no: non si ripara… Io rimarrò, stanne pur certa, quella che sono, né più né meno, nel concetto della gente… Sai che si dirà? Si dirà ch’egli ha perdonato; nient’altro! e rideranno di lui, come d’un imbecille… Io sarò sempre la colpevole… E come no? «Se fosse stata davvero innocente», diranno, «e perché dunque il padre si sarebbe rinchiuso dalla vergogna per mesi e mesi al bujo, in una camera, fino a morirne? E perché il marito la scacciò?» Ma, e poi! riparazione, sì, e il babbo a te, a Maria, chi ve lo ridà? E tutto quello che abbiamo patito, chi ce lo leva dal cuore? Ma sul serio? Sono strappi, questi, che si rattoppano, forse? No, mamma. Io non debbo, né posso accettare il pentimento di lui.

            – Ma se egli ora riconosce pubblicamente il suo torto?

            – Nessuno gli crederà.

            – Nessuno? Ma tutti, figlia mia! Chi avrà più diritto di parlare, se lui ti rende giustizia? Oh, figlia mia, e credi che la gente non sappia che tu sei innocente?

            Marta si sentì mancare sotto lo sguardo della madre e della sorella rimasta muta ad ascoltare.

            – Sì… sì… – disse. – Ci penserò; lasciami pensare… Ora non posso dirti nulla.

            – Pensaci, pensaci, Marta, per carità! Vedrai che è giusto e addiverrai… ne sono certa! Intanto, di’, al Blandino che risposta debbo dare?

            – Nessuna, per ora. Digli… digli che ho bisogno di tempo per riflettere, ecco… Mi si dia tempo, rifletterò.

            Ma che riflettere? Aspettare che quel barlume di speranza smorisse di giorno in giorno e il bujo e il vuoto s’estendessero vieppiù, dentro e intorno a lei.

            Presto riconobbe che nessuna illusione era più possibile. I così, di fronte all’orrore che l’idea della morte le incuteva, si vide costretta a decidere.

            Nessuna distrazione, neppure momentanea. Da tutte le parti si vedeva stretta, spinta. La sua esistenza non poteva, non doveva contare più che pochi giorni: uno, due, tre giorni ancora… e poi? Il sangue le s’agghiacciava nelle vene. Si ritraeva dal balcone per paura che un’improvvisa tentazione non la spingesse a troncare subito quell’agonia. Oh no, no: quella morte, no! Ma armi, in casa non ce n’erano. Un veleno! Meglio morire di veleno. Come procacciarselo?

            Farneticava, e le ultime energie vitali si appigliavano a queste difficoltà materiali; le ingrandivano. Sentiva nelle altre stanze parlare la madre, e si domandava: «Come farà? Avranno pietà di lei e di Maria, quando io non sarò più?». Ma perché la madre considerava come premio e compenso alle sciagure il pentimento del marito, la proposta di riconciliazione? Avrebbe voluto gridarle: «La chiami giustizia, tu? Mi credi innocente, e chiami giustizia il pentimento di chi m’ha infamata senza ragione? E se io fossi ancora veramente come tu mi credi, di che mi compenserebbe questo pentimento? Ah, ti pare che possa sorridermi l’idea di ritornare a vivere in compagnia d’un uomo che mi ha fatto tanto male e che non m’intende, che io non stimo e non amo? Sarebbe questo il premio della mia innocenza?».

            Volle recarsi un’ultima volta dall’Alvignani. Non s’illudeva; ma… chi sa! forse egli, pensando, parlando col Blandino, aveva trovato qualche altro scampo.

            – Stavo a scriverti! – le disse Gregorio, vedendola entrare. – Ecco la lettera…

            Marta stese la mano per prenderla.

            – No, è inutile, ora… La lacero: pazzie! Non sei più venuta…

            La guardò; le lesse in fronte la disperazione, e aggiunse:

            – Povera Marta!

            Poi le domandò, ma quasi senza speranza di risposta:

            – Hai deciso?

            Marta sospirò aprendo le mani a un lieve gesto desolato, e sedette.

            Egli tornò a guardarla, e sentì tutta la gravezza enorme, insopportabile della loro situazione. Quel silenzio, quell’inerte irragionevolezza opprimente lo urtarono. Per scuoterla, disse:

            – Verrai con me?

            Ma ella si voltò solamente a guardarlo. Poi chiuse gli occhi e reclinò indietro il capo, con disperata stanchezza.

            – Nulla, dunque, nulla, – disse, – non hai trovato nulla?

            – Ma che vuoi trovare? – s’affrettò a risponderle, appassionatamente. – Giorno e notte ho pensato a te; ho aspettato che tu venissi… È inutile cercare, Marta! Guarda, ti scrivevo proprio questo: «Decidi, decidi presto: non c’è tempo da perdere; ne hai perduto già troppo… Da’ una risposta al Blandino, digli subito o sì o no, e se no…». Guarda, e qui ti proponevo… Vuoi leggerlo tu?… Leggi, leggi…

            Marta prese la lettera ch’egli le porgeva, indicandole il punto da cui doveva cominciare la lettura; ma dopo alcuni righi abbassò la mano su le ginocchia.

            – Leggi fino in fondo! – la esortò egli.

            Marta si rimise sotto gli occhi la lettera. Per quanto mal prevenuta, leggendo, espresse sul volto l’ansia con cui cercava su quel foglio una parola che le facesse nascere un pensiero non ancora sorto in lei; l’ansia con cui un viandante, moribondo per sete, può cercare nel letto petroso d’un torrente un filo, una goccia d’acqua. Ed erano come aridi, pesanti sassi per lei quelle parole dell’Alvignani: le rimoveva senza trovarvi nulla sotto; e accennava desolatamente di no, di no, col capo.

            Terminata la lettera, si levò in piedi sospirando, senza dir nulla.

            – Che ne pensi? – le domandò lui.

            Marta si strinse nelle spalle, e restituì la lettera, esclamando:

            – Non ripigliamo la discussione inutile dell’ultima volta, per carità, o il mio cervello…

            – Ma che vuoi fare?

            – Non vedi? Che altro mi resta da fare?

            – Tu sei pazza!

            – Pazza? Avrei dovuto farlo molto tempo prima, quando viveva ancora mio padre… E allora… allora non sarebbe stato brutto come adesso! Ora sono con le spalle al muro.

            – Ti ci metti tu! – rimbeccò duramente l’Alvignani.

            Le prese ambo le mani, e seguitò:

            – Ma ragiona con me. Chi dev’essere punito? Devi essere punita tu, forse? Lui, lui, lui!

            – E come? – disse Marta. – Col mio inganno? Non sarebbe più per lui la punizione; sarebbe mia! Non vedi, non senti che mi fa orrore? Per me, per me mi fa orrore! Non lo intendi? Se io fossi una cosa… Ma io penso, io so che sono stata con te, so come sono… e non posso, non posso: mi fa orrore!

            – Non è possibile, senti, – le disse allora l’Alvignani, levandosi, risoluto, – non è possibile che io ti lasci compiere così, sapendolo, un doppio delitto. Dunque tu non pensi più neanche a tua madre, a tua sorella? Io scriverò!

            – A chi? – domandò Marta, scotendosi.

            – A lui, a tuo marito, – rispose l’Alvignani. – Non posso lasciarti sola, abbandonarti a te stessa, alla tua disperazione…

            – Sei pazzo? – lo interruppe Marta. – Che vorresti scrivergli?

            – Non lo so. Mi detterà la coscienza. So questo soltanto, che tu non sei la colpevole. O su me o su lui deve cadere la punizione, e chi di noi due resta, ripari!

            – Follìe! – esclamò Marta. – No… senti… senti…

            S’interruppe: un’idea le balenò in mente, e subito il volto le si rischiarò, quasi sorrise.

            – Non scrivere tu, – riprese. – Gli scriverò io… Lascia che gli scriva io… Ho trovato! Ho trovato!

            – Che cosa? – domandò ansiosamente Gregorio. – Che gli scriverai?

            – Ho trovato! – ripetè Marta, con gioja. – Sì, così si aggiusterà tutto… Vedrai! Poi ti dirò… Ora lasciami andare…

            – No, dimmi prima…

            – Poi, poi… – fece Marta. – Tutto si aggiusterà, ti dico… Lasciami andare… Te lo dirò poi… promettimi che tu non scriverai!

            – Ma io vorrei sapere… – oppose, perplesso, l’Alvignani.

            – Non hai nulla da sapere. Lascia fare a me… Promettimi…

            – Ebbene: prometto… Quando ritornerai?

            – Presto. Non dubitare: ritornerò. Ora addio!

            – Addio! A presto!

            Marta andò via; e, strada facendo verso casa, l’idea che le era balenata in mente, man mano assunse forma concreta, precisa. Nello stato d’esaltazione, quasi di delirio, in cui si trovava, non vedeva l’assurdo del rimedio improvvisamente concepito. E diceva tra sé, andando: «Io non accetto il suo perdono, il perdono di chi avrebbe invece da pentirsi… Non l’accetto… Una punizione me la merito. Sta bene! Me la darò. Ma una riparazione a tutto il male ch’egli mi fece prima, ingiustamente… una riparazione egli me la deve… Bene: io mi tolgo di mezzo, e quand’io mi sarò tolta di mezzo, non potrebbe sposare mia sorella? Maria è saggia… Maria è buona… lo farà per la mamma… faranno una sola famiglia con la mamma… E così tutto sarebbe riparato…».

            Andava in fretta, parlando tra sé; si sentiva come alleggerita da un peso enorme; si guardava intorno con gli occhi lucidissimi, ilari, e quasi rideva davvero a ogni cosa in cui lo sguardo s’imbattesse. Le pareva che una perfetta calma le si fosse fatta nello spirito.

            E in tale stato d’animo rincasò.

            – Hai deciso, Marta? – s’arrischiò a domandare la madre.

            – Adesso, mamma, – le rispose. – Ci ho pensato a lungo. Debbo scrivergli. Non dubitare: stasera o domani gli scriverò. Penso a voi!

            – A noi? Ma devi pensare a te, figliuola mia… Vedi come ti sei ridotta?

            – A me e a voi… – disse Marta. – Non dubitare.

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L’esclusa – Indice

Introduzione

Parte prima
Capitolo 1Capitolo 2Capitolo 3
Capitolo 4 – Capitolo 5 – Capitolo 6
Capitolo 7 – Capitolo 8 – Capitolo 9
Capitolo 10 – Capitolo 11 – Capitolo 12
Capitolo 13 – Capitolo 14

Parte seconda
Capitolo 1 – Capitolo 2 – Capitolo 3
Capitolo 4 – Capitolo 5 – Capitolo 6
Capitolo 7 – Capitolo 8 – Capitolo 9
Capitolo 10 – Capitolo 11 – Capitolo 12
Capitolo 13 – Capitolo 14 – Capitolo 15

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