Il piacere dell’onestà – Atto secondo

Premessa e articolo di Antonio Gramsci
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

En Español – El piacer de la honradez

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Il piacere dell’onestà - Atto II
Alberto Lionello, Il piacere dell’onestà, 1982. Fotogramma RAI.

1917
Il piacere dell’onestà
Atto Secondo

        Magnifico salotto in casa Baldovino. Vi hanno posto alcuni mobili già veduti nel salotto dell’atto precedente. Uscio comune infondo; usci laterali a destra e a sinistra.

        Scena prima

        Marchetto Fongi, il Marchese Fabio.

        Fongi, al levarsi della tela, col cappello e il bastone in mano tiene coli’altra aperto il battente dell’uscio a sinistra e parla verso l’interno, a Baldovino. Fabio sta in attesa, come uno che non voglia farsi né vedere né sentire di là.

        FONGI (verso l’interno): Grazie, grazie, Baldovino, sì… Ma figurati se non vorrò assistere alla candida festa! Grazie. Sarò qui, sarò qui con gli amici consiglieri, tra una mezz’oretta. A rivederci.

        Chiude l’uscio; si volta verso Fabio che gli si appressa in punta di piedi, strizza un occhio e gli fa un cenno furbesco col capo.

        FABIO (piano, con ansia): Sì? Credi proprio?

        FONGI (gli risponde prima col capo, tenendo ancora l’occhio strizzato): C’è cascato! c’è cascato!

        FABIO: Pare anche a me. Sono già sei giorni!

        FONGI (mostra tre dita d’una mano e le agita): Tre… trecento… trecentomila lire – Te l’ho detto? – Non poteva fallire! (d’inserisce un braccio sotto il braccio e s’avvia con lui verso la comune, parlando.) Sarà una scena da commedia. Ma lasciate fare a me! lasciate fare a me! Lo piglieremo pulita­mente per il bavero. (Via con Fabio.)

        Scena seconda

        Baldovino, Maurizio.

        La scena resta vuota un tratto. Si apre l’uscio a sinistra e ne escono Baldo­vino e Maurizio.

        MAURIZIO (guardando in giro): Ma sai che ti sei messo proprio bene?

        BALDOVINO (astratto): Sì. (Con un sorriso ambiguo:) Con perfetto decoro. (Pausa.) E dunque… – di’ di’, dove sei stato?

        MAURIZIO: Mah! Un po’ in giro. Fuori delle vie ordinarie.

        BALDOVINO: Tu?

        MAURIZIO: Perché? Non credi?

        BALDOVINO: Fuori delle vie ordinarie? Nel senso che non sarai stato a Parigi o a Nizza o al Cairo. – Dove sei stato?

        MAURIZIO: Nel paese del caucciù e delle banane!

        BALDOVINO: Al Congo?

        MAURIZIO: Sì. Nelle foreste. Oh sai? autentiche.

        BALDOVINO: Ah! E belve, ne hai vedute?

        MAURIZIO: Quei poveri negri delle mehalle.

        BALDOVINO: No, dico belve sul serio: qualche tigre, qualche leopardo!

        MAURIZIO: Che, che! Grazie. – Perdio, come ti sfavillano gli occhi!

        BALDOVINO (sorride amaramente; piega le dita d’una mano e ne mostra le un­ghie a Maurizio): Vedi dove siamo arrivati? E non ce le tagliamo mica per disarmarci! Anzi! Perché pajano più civili, le nostre mani: vale a dire più atte a una lotta ben più feroce di quella che i nostri avi bestioni combattevano, poveretti, con le sole unghie. – Ho avuto sempre, perciò, invidia delle belve. E tu, disgraziato, sei stato nelle foreste e non hai veduto nemmeno un lupo?

        MAURIZIO: Via, via! – Parliamo di te. – Ebbene, come va?

        BALDOVINO: Che cosa?

        MAURIZIO: Ma dico, tua moglie. Cioè… la signora?

        BALDOVINO: Come vuoi che vada? Benissimo.

        MAURIZIO: E… i tuoi rapporti?

        BALDOVINO (lo guarda un po’; poi alzandosi): Che vuoi che siano!

        MAURIZIO (cangiando tono, rinfrancandosi): Ti trovo benone, però, sai?

        BALDOVINO: Sì, mi occupo.

        MAURIZIO: Ah, già! So che Fabio ha messo su una società anonima.

        BALDOVINO: Sì, per mettermi le mani in pasta. – Fa ottimi affari.

        MAURIZIO: Ne sei il consigliere delegato?

        BALDOVINO: Fa ottimi affari per questo.

        MAURIZIO: Già, già, ho saputo! E vorrei entrarci anch’io, ma… dicono che sei d’un rigore spaventoso!

        BALDOVINO: Sfido! – Non rubo… (Gli s’appressa, gli posa le mani su ambo le braccia.) Sai, per le mani, centinaja di migliaja. Poterle considerare come carta straccia; non sentirne più bisogno, minimamente –

        MAURIZIO: – eh, per te dev’essere un gran piacere –

        BALDOVINO: – divino! – E nessun colpo fallito, sai! – Ma si lavora, si lavora! – E bisogna che tutti mi seguano!

        MAURIZIO: Già… è questo…

        BALDOVINO: Si lamentano, eh? Di’ un po’: strillano? mordono il freno?

        MAURIZIO: Dicono… dicono che potresti essere un po’ meno… meticoloso, ecco!

        BALDOVINO: Eh, lo so! – Li soffoco! Soffoco tutti quanti. Chiunque mi s’acco­sti! – Ma tu lo capisci: non posso farne a meno! – Da dieci mesi non sono più un uomo!

        MAURIZIO: No? E che sei?

        BALDOVINO: Ma te l’ho detto: quasi una divinità! – Potresti intenderlo! – Non ho corpo se non per l’apparenza. Sto tuffato in mezzo alle cifre, alle specula­zioni; ma sono per gli altri; non c’è – e voglio che non ci sia – un centesimo di mio! Sto qua, in questa bella casa, e quasi non vedo e non sento e non tocco nulla. Mi meraviglio io stesso talvolta d’udire il suono della mia voce, il rumore dei miei passi; d’avvertire che ho bisogno anch’io di bere un bic­chier d’acqua o di riposarmi. – Vivo, capisci? de-li-zi-o-samen-te, nell’asso­luto di una pura forma astratta!

        MAURIZIO: Dovresti sentire un po’ di compassione per i poveri mortali!

        BALDOVINO: La sento; ma non posso fare altrimenti. Lo dissi però, glielo feci bene osservare avanti, a tuo cugino il marchese! – Io sto ai patti.

        MAURIZIO: Ma tu ci provi anche un diabolico gusto!

        BALDOVINO: Non diabolico, no! Sospeso nell’aria, mi sono come adagiato su una nuvola: è il piacere dei Santi negli affreschi delle chiese!

        MAURIZIO: Capirai, intanto, che non è possibile durare a lungo così.

        BALDOVINO (cupo, dopo una pausa): Ah, lo so! Finirà. E forse presto! – Ma badino! Bisognerà veder come. (Lo guarda negli occhi.) Lo dico per loro. Apri bene gli occhi a tuo cugino! Mi pare che desideri troppo di disfarsi al più presto di me. – Ti turbi? Sai qualche cosa?

        MAURIZIO: No, proprio nulla.

        BALDOVINO: Via, sii sincero. Compatisco, bada! E così naturale!

        MAURIZIO: T’assicuro che non so nulla. Ho parlato con la signora Maddalena. Non ho ancora visto Fabio.

        BALDOVINO: Eh, lo so! Tutti e due, la madre e tuo cugino, avranno pensato: – «La maritiamo prò forma; dopo qualche tempo, con un pretesto qualsiasi, ci sbarazziamo di lui». – La cosa più sperabile, difatti, era questa. – Ma non lo possono sperare! – Sono stati di una deplorevole leggerezza anche in questo.

        MAURIZIO: Lo sospetti tu! Chi te lo dice?

        BALDOVINO: Tanto vero che hanno posto come patto fondamentale la mia one­stà!

        MAURIZIO: Ecco, dunque! vedi bene…

        BALDOVINO: Come sei sciocco! La logica è una cosa, l’animo è un’altra. Si può per coerenza logica proporre una cosa, e con l’animo sperarne un’altra. – Ora, credi, potrei prestarmi, per far cosa grata a lui e alla signora, a offrire un pretesto perché si sbarazzino di me. – Ma non lo sperino, perché io… – sì, po­trei farlo – ma non lo farò – per loro – non lo farò perché loro non possono assolutamente desiderare che io lo faccia!

        MAURIZIO: Perdio, sei terribile! Neghi loro anche la possibilità del desiderio che tu commetta una cattiva azione?

        BALDOVINO: Guarda. Supponiamo che lo faccia. In prima, rifiaterebbero. Si le­verebbero davanti l’ingombro opprimente della mia persona. L’onestà, man­cata in me, potrà credersi – se non in tutto, almeno in parte – rimasta con loro: la signora rimarrà moglie legittima, separata da un marito indegno; e in questa indegnità del marito, giovine com’ella è, potrà trovare una scusa di farsi consolare da un vecchio amico di casa. Ciò che non era permesso a una signorina, si può condonare facilmente a una signora assolta da ogni obbligo di fedeltà coniugale. Va bene? – Io dunque, marito, potrei essere disonesto e farmi cacciare. – Ma io non sono entrato qua soltanto come marito. Da sem­plice marito, anzi, non sarei mai entrato: non ce ne sarebbe stato bisogno! C’era bisogno di me, in quanto questo marito doveva tra poco esser padre; tra poco, dico, in tempo… quasi debito. Qua c’era bisogno del padre. E il padre… eh, il padre nell’interesse di lui, del signor marchese, dev’essere per forza onesto! – Perché se da marito posso andarmene senza recar danno a mia mo­glie, la quale, lasciato il mio nome, riprenderà il suo; da padre, la mia cattiva azione danneggerebbe per forza il figlio che non avrà altro nome che il mio; e più in basso io cadrò e più danno egli ne avrà. E questo, lui, non può asso­lutamente desiderarlo.

        MAURIZIO: Ah, no davvero!

        BALDOVINO: Vedi, dunque? – E per cadere in basso, ci cadrei: tu mi conosci! Per vendicarmi dell’azionacela che mi farebbero, cacciandomi via malamente, vorrei con me il figliuolo, che per legge m’appartiene; lo lascerei loro qua due o tre anni per farli affezionare a lui; poi proverei che mia moglie convive da adultera col suo amante, e lo toglierei loro e lo trascinerei con me, giù… giù… Tu sai che ho in me un’orribile bestia, di cui ho voluto liberarmi, inca­tenandola in queste condizioni che mi sono state offerte. – Conviene a loro sopratutto farmele rispettare, come ne ho ferma volontà; perché, liberato da esse, oggi o domani, non so proprio dove andrei a finire. (Cambiando tono improvvisamente:) Basta, basta… – Di’ un po’: ti han mandato loro da me, appena arrivato? – Su, su, che hai da domandarmi? Sbrigati, per favore. (Guarda l’orologio.) Ti ho accordato più tempo che non avrei dovuto. Sai che questa mattina c’è il battesimo del bambino? E ho, prima del pranzo, una riunione qua coi consiglieri invitati. Ti manda tuo cugino? Ti manda la si­gnora madre?

        MAURIZIO: Sì, ecco; è appunto per il battesimo del piccino. – Codesto nome che vorresti imporgli…

        BALDOVINO: Eh, lo so!

        MAURIZIO: Ma scusa… – ti pare?

        BALDOVINO: Lo so, povero piccino; è un nome troppo grosso! Rischia quasi di restarne schiacciato.

        MAURIZIO (sillabando): Sigismondo!

        BALDOVINO: Ma è un nome storico nella mia famiglia. – Mio padre si chiamava così; il mio avo si chiamava così…

        MAURIZIO: Non è una buona ragione per loro, capirai!

        BALDOVINO: Ma neanch’io – tu lo sai – avrei mai pensato… Scusa, è mia la colpa? Brutto nome, sì, goffo, specialmente per un piccino… e… – ti confesso (Pianissimo:) che se l’avessi avuto – di mio – forse non l’avrei chiamato così…

        MAURIZIO: Ah, vedi? vedi?

        BALDOVINO: Che vedo? – Questo anzi deve dirti che non posso, ora, derogare a questo nome! – Siamo sempre lì! – Non è per me; è per la forma! – Per la forma – tu lo capisci – giacché debbo dargli un nome – io non posso dargli che questo! – È inutile, sai? è proprio inutile, che insistano! Mi dispiace; ma non transigo, puoi dirglielo! – Mi lascino lavorare, perbacco. Sono futilità, codeste! Mi dispiace, caro, d’accoglierti così. – A rivederci, eh? A rivederci. (Gli stringe in fretta la mano e via per l’uscio a sinistra.)

        Scena terza

        Maurizio, la Signora Maddalena, Fabio.

        Maurizio resterà come uno che sia lasciato in asso sul più bello. Poco dopo, dall’uscio a destra entreranno, uno dopo l’altra, la signora Maddalena e Fabio, mogi mogi, come sospesi alla notizia che attendono. Maurizio li guar­derà e con un dito si gratterà la nuca. Prima la signora Maddalena, poi Fabio, gli faranno un muto cenno interrogativo col capo, quella con occhi pietosi; questi, invece, aggrottati. Maurizio risponderà con un altro cenno ne­gativo del capo, socchiudendo gli occhi, poi aprirà le braccia. La signora Maddalena cascherà a sedere, come annientata e resterà lì. Fabio sederà anch’egli, ma tutto aggruppato, con le pugna serrate sui ginocchi. Sederà anche Maurizio tentennando il capo, e soffierà più di un lungo sospiro per le nari. Nessuno dei tre avrà forza di rompere il silenzio che li schiaccia. Ai sospiri soffiati per il naso da Maurizio risponderanno gli sbuffi a bocca piena di Fabio. La signora Maddalena non potrà sbuffare e neanche sospirare; scoterà sconsolatamente il capo con gli angoli della bocca contratti in giù, a ogni sospiro, a ogni sbuffo degli altri due. Gli attori non abbiano timore di protrarre lungamente questa scena muta. A un certo punto, Fabio balzerà in piedi e si metterà a passeggiare, fremente, aprendo e serrando le pugna. Poco dopo sì alzerà anche Maurizio, si appresserà e si chinerà verso la signora Maddalena, porgendole la mano per accomiatarsi.

        MADDALENA (piano, come se si lamentasse, porgendo anche lei la mano): Ve ne andate?

        FABIO (voltandosi di scatto): Ma lo lasci andare! Non so con qual coraggio abbia potuto presentarsi qua! (A Maurizio:) Tu non mi guarderai più in faccia! (Si rimetterà a passeggiare.)

        MAURIZIO (non oserà protestare; si volterà appena a guardarlo, con la mano della signora Maddalena ancora nella sua, poi dirà, piano): La signora?

        MADDALENA (piano, come se si lamentasse): Attende di là al bambino.

        MAURIZIO (con la mano della signora Maddalena ancora nella sua, dirà piano): Me la ossequi. (Si porterà alla bocca la mano della signora Madda­lena e gliela bacerà; poi tornerà ad aprire le braccia.) Le dica che… che mi perdoni.

        MADDALENA: Oh, lei, almeno, ha ora il suo bambino!

        FABIO (sempre passeggiando): Sì! Si divertirà col suo bambino! Appena egli comincierà a esercitare anche su lui la sua vessazione!

        MADDALENA: E questo, questo il mio terrore!

        FABIO (sempre passeggiando): Ha già cominciato col nome!

        MADDALENA (a Maurizio): Credete, da dieci mesi non respiriamo più!

        FABIO (sempre passeggiando): Figuriamoci come lo vorrà educare!

        MADDALENA: È terribile… – Non possiamo più leggere neanche un giornale!

        MAURIZIO: No? Perché?

        MADDALENA: Mah! Ha certe idee sulla stampa…

        MAURIZIO: Ma… è duro, in casa? aspro?

        MADDALENA: Che! Peggio… Garbatissimo! – Sa dire le cose per noi più dure in una maniera… con argomenti così impensati e che pajono, stando a sentirlo, così inoppugnabili, che siamo sempre costrette a fare come vuol lui! – È un uomo spaventoso, spaventoso, Setti! – Io non ho più forza neanche di fiatare.

        MAURIZIO: Signora mia, che vuole che le dica? Mi sento proprio annichilito. Non avrei mai creduto…

        FABIO (scattando di nuovo): Fammi il piacere! Non me ne posso andare io, in questo momento, perché c’è il battesimo; se no, me n’andrei subito! Ma vat­tene, vattene tu! Lo capisci che non posso più sentirti dire così? Che non posso più vederti davanti a me?

        MAURIZIO: Hai ragione, sì… Vado, vado…

        Scena quarta

        Cameriere e Detti.

        CAMERIERE (aprendo l’uscio di fondo e annunziando): Il signor Parroco di Santa Marta.

        MADDALENA (alzandosi): Ah, fate entrare. (Il cameriere si ritira.)

        MAURIZIO: A rivederla, signora.

        MADDALENA: Ve ne volete proprio andare? Non volete assistere al battesimo? Fareste piacere ad Agata. – Fatevi vedere, fatevi vedere! Io spero molto in voi.

        Maurizio aprirà ancora una volta le braccia: s’inchinerà, guarderà Fabio, non oserà neanche salutarlo; e andrà via per l’uscio dì fondo, inchinandosi al Parroco di Santa Marta che, nel frattempo, entrerà, introdotto dal came­riere, il quale tornerà a ritirarsi, richiudendo l’uscio.

        Scena quinta

        Il Parroco di Santa Marta, la Signora Maddalena e Fabio.

        MADDALENA: Benvenuto, s’accomodi, signor Parroco.

        PARROCO: Come sta? come sta, signora?

        FABIO: Reverendo signor Parroco!

        PARROCO: Caro signor marchese! – Son venuto, signora, per prendere le dispo­sizioni.

        MADDALENA: Grazie, signor Parroco. Già è stato qui il chierico che lei ha man­dato.

        PARROCO: Ah, bene, bene.

        MADDALENA: Sissignore. E abbiamo preparato tutto di là. Anche con gli arredi che ha portato dalla chiesa. Ah, è venuto un amore, sa? Bello! proprio bello! Ora lo conduco a vedere –

        PARROCO: – la signora?

        MADDALENA (restando imbarazzata): Ecco, la faccio chiamare.

        PARROCO: No, se è occupata! Volevo sapere se stava bene.

        MADDALENA: Sì, adesso bene, grazie. – Capirà, è tutta del suo piccino.

        PARROCO: Eh, me l’immagino!

        MADDALENA: Non se ne stacca un momento.

        PARROCO: E il signor marchese, dunque, sarà il padrino?

        FABIO: Già… sì…

        MADDALENA: E io la madrina!

        PARROCO: Ah, questo s’intende… E… per il nome? Resta fissato quello?

        MADDALENA: Purtroppo… (Un grosso sospiro.)

        FABIO (rabbioso): Purtroppo!

        PARROCO: Però… sanno… in fondo… è un bel santo… un re! Io mi occupo, mo­destamente, d’agiografia…

        MADDALENA: Oh, lo sappiamo, lei è un dotto!

        PARROCO: No, no… per carità, non dica! Studio con passione… sì… – Fu re di Borgogna, san Sigismondo, ed ebbe in moglie Amalberga, figliuola di Teo­dorico… Sebbene poi, rimasto vedovo… disgraziatamente sposò una dami­gella di lei… una perfida che, per infami istigazioni, gli fece commettere… eh, sì… il più atroce dei delitti… sul proprio figliuolo…

        MADDALENA: Dio mio! Sul proprio figliuolo? E che gli fece?

        PARROCO: Eh… (gesto delle due mani) – lo strangolò!

        MADDALENA (quasi con un grido, a Fabio): Avete capito?

        PARROCO (subito): Ah, ma si pentì, sa? Subito! E si dedicò in espiazione agli esercizi della più rigida penitenza; si ritirò in un’abbazia; vestì il sajo; e le sue virtù e il supplizio sopportato con santa rassegnazione lo fecero onorare come un martire!

        MADDALENA: Ebbe anche il supplizio?

        PARROCO (con gli occhi socchiusi, allunga il collo, lo piega, e poi con un dito fa il segno della decapitazione): Nel 524, se non sbaglio.

        FABIO: Non c’è male! Un bel santo! Strangola il figlio… muore decapitato…

        PARROCO: Ma spesso i più grandi peccatori, signor marchese, diventano i santi più eccelsi! E questo fu anche un saggio, creda! Si deve a lui il codice dei Borgognoni, la famosa Loi Gombetteì – È un’opinione, veramente, combat­tuta; ma io sto col Savigny che la sostiene… sì sì… sì sì… io sto col Savigny!

        MADDALENA: Per me, Padre, l’unico conforto è che potrò chiamarlo col suo diminutivo: – Dino.

        PARROCO: Ecco, ecco… Sigismondo, Sigismondino, Dino… va benissimo! Per un bambino – Dino – quadra… quadra a meraviglia, è vero, signor marchese?

        MADDALENA: Sì! Ma sta a vedere se lui lo permetterà.

        FABIO: Ecco… appunto…

        PARROCO: Eh, dopo tutto… se tiene al nome del padre il signor Baldovino… – bisognerà aver pazienza… – Dunque, come si resta per l’ora?

        MADDALENA: Ma bisognerà che lo dica lui, anche questo, signor Parroco. – Aspetti. (Preme un campanello elettrico alla parete.) Lo faremo subito avver­tire. Abbia pazienza un momento.

        Scena sesta

        Detti, Cameriere.

        Il cameriere entra dall’uscio di fondo.

        MADDALENA: Avvertite il signore che c’è qua il signor Parroco. Se può venire un momento… – Di qua, di qua…

        Indicherà l’uscio a sinistra. Il cameriere s’inchinerà, attraverserà la scena, picchierà all’uscio a sinistra, aprirà e andrà via.

        Scena settima

        Il Parroco, la Signora Maddalena, Fabio, Baldovino.

        BALDOVINO (entrando, premuroso, dall’uscio a sinistra): Oh, reverendissimo signor Parroco, onoratissimo della sua visita. Prego, prego, stia comodo.

        PARROCO: L’onore è mio. Grazie, signor Baldovino. Noi l’abbiamo incomo­data.

        BALDOVINO: Che dice, per carità! Sono proprio felice di vederla in casa mia. In che posso servirla?

        PARROCO: Favorirmi, grazie. Ecco… volevamo accordarci per l’ora del batte­simo.

        BALDOVINO: Ma a sua disposizione, signor Parroco; quando vuole! – La ma­drina è qua, il padrino è qua; la comare credo sia di là; io sono pronto… la chiesa è qui a due passi…

        MADDALENA (con stupore): Come?

        FABIO (con ira a stento repressa): Come?

        BALDOVINO (voltandosi a guardarli, quasi stordito): Perché?

        PARROCO (subito): Ecco, signor Baldovino… si era disposto… – ma come? lei non lo sapeva?

        MADDALENA: È tutto pronto di là!

        BALDOVINO: Pronto? Che cosa?

        PARROCO: Per il battesimo! Da celebrarlo in casa, per far più degna la festa.

        FABIO: Il signor Parroco stesso ha mandato alcuni arredi della chiesa!

        BALDOVINO: Per far più degna la festa? Mi perdoni, signor Parroco, non m’a­spettavo che lei dovesse dire così.

        PARROCO: No, ecco… intendo… che in città è uso, sa? di tutti i signori più in vista, celebrare in casa la festa.

        BALDOVINO (con semplicità sorridente): E lei non avrebbe più caro, signor Par­roco, che uno desse l’esempio di quell’umiltà, per cui non c’è signori né po­veri davanti a Dio?

        MADDALENA: Ma nessuno vuole offendere Dio, celebrando in famiglia il batte­simo!

        FABIO: Eh via! Scusa… pare che sia un proposito in te di guastar tutto, ostaco­lando sempre ciò che propongono gli altri! – È curioso, via… che tu… proprio tu, t’immischi in queste cose e faccia la lezione!

        BALDOVINO: Per carità, caro marchese, non mi far fare la voce grossa. Vuoi forse la mia professione di fede?

        FABIO: Ma no! non voglio niente!

        BALDOVINO: Se ti pare un’ipocrisia da parte mia…

        FABIO: Non ho detto ipocrisia! Mi pare un puntiglio, ecco!

        BALDOVINO: Vuoi entrare nel mio sentimento? Che ne sai tu? Ma voglio am­mettere tu creda che, secondo il sentimento mio, non dovrei dare importanza a quest’atto, che voi tutti pure volete compiere… – del battesimo! Ebbene; ma tanto più, allora! Se quest’atto non è per me, ma per il bambino, e io come voi riconosco e approvo che per lui si debba compiere, intendo che sia com­piuto come si deve; che il bambino, senz’alcun privilegio che offenderebbe l’atto stesso che gli si fa compiere, vada in chiesa, al fonte battesimale. Mi sembra curioso, piuttosto, che le facciate dire a me, queste cose, davanti al signor Parroco, che non può non riconoscere quanta maggior divozione, è vero? e solennità abbia un battesimo celebrato, nudamente, nella sua sede degna.

        PARROCO: Ah, certo! non c’è dubbio!

        BALDOVINO: Del resto, non ci sono soltanto io. – Poiché si tratta del bambino – che prima di tutto appartiene alla madre – sentiamo anche lei! (Preme due volte alla parete il campanello elettrico.) Non parleremo né io, né voi: lasce­remo parlare il signor Parroco.

        Scena ottava

        Cameriera, Detti, Agata.

        La cameriera entrerà per l’uscio a destra.

        BALDOVINO: Pregate la signora, se può favorire qua un momento. (La came­riera s’inchinerà e andrà via.)

        PARROCO: Ecco… io, veramente… avrei più caro che parlasse lei, signor Baldo­vino, che parla così bene…

        BALDOVINO: Oh no, no; anzi, guardi: io mi ritiro. Dirà lei, come crede, le mie ragioni; (a Maddalena e a Fabio:) voi direte le vostre. Deciderà la madre, così, in piena libertà. E si farà come lei avrà deciso. – Eccola. Agata entrerà dall’uscio a destra, in una ricca vestaglia. Sarà pallida, rigida. Fabio e il Parroco si alzeranno. Baldovino starà in piedi.

        AGATA: Oh, il signor Parroco.

        PARROCO: Le mie congratulazioni, signora.

        FABIO (inchinandosi): Signora…

        BALDOVINO (ad Agata): E per disporre circa il battesimo. (Al Parroco:) La ri­verisco, Reverendo.

        PARROCO: La ossequio, signor Baldovino. Baldovino, via per l’uscio a sinistra.

        Scena nona

        Detti, meno Baldovino.

        AGATA: Ma non si è disposto? io non so…

        MADDALENA: Sì. E tutto pronto di là! tutto… così bene!

        FABIO: Ce n’è una nuova!

        PARROCO: Il signor Baldovino… già…

        MADDALENA: Non vuole che si faccia più in casa il battesimo!

        AGATA: E perché non vuole?

        MADDALENA: Ma perché, dice…

        PARROCO: Permette, signora? – Veramente non ha detto che non vuole. Vuole che decida lei, signora, perché sopratutto – ha detto – il bambino appartiene alla madre. Sicché, se lei vuole, signora, che si celebri in casa…

        MADDALENA: Ma sì! Come s’era rimasti!

        PARROCO: Io veramente non ci trovo nulla di male.

        FABIO: S’è fatto in tante case!

        PARROCO: E l’ho fatto notare, è vero? l’ho fatto anche notare al signor Baldo­vino!

        AGATA: E allora? Non so su che cosa debba decidere io.

        PARROCO: Ah, ecco… perché il signor Baldovino ha fatto osservare – e giusta­mente, bisogna riconoscerlo! con un senso di rispetto che gli fa molto onore – ha fatto osservare che il battesimo certamente avrebbe maggior solennità celebrato in chiesa nella sua sede degna; anche per non offendere… – ah! ha detto una parola veramente bella! – «senz’alcun privilegio» ha detto «che of­fenderebbe l’atto stesso che si fa compiere al bambino». – Come principio!… Come principio!…

        AGATA: Ebbene, se lei approva…

        PARROCO: Ah, come principio, signora, non posso non approvare!

        AGATA: Dunque si faccia come vuol lui.

        MADDALENA: Ah! Come? Approvi anche tu?

        AGATA: Ma sì che approvo, mamma!

        PARROCO: Come principio, io dico, signora; ma poi…

        FABIO: Non vi sarebbe nessun’offesa!

        PARROCO: Oh, certo! nessuna! che offesa?

        FABIO: C’è solo il gusto di guastare una festa!

        PARROCO: Ma se la signora stessa decide così…

        AGATA: Sì, signor Parroco: decido così.

        PARROCO: E allora, sta bene. – La chiesa è qui: non hanno che da farmi avver­tire. – La ossequio, signora. (Alla signora Maddalena:) Signora…

        MADDALENA: L’accompagno.

        PARROCO: Non s’incomodi, prego… – Signor marchese…

        FABIO: La riverisco.

        PARROCO (a Maddalena): Non s’incomodi, signora.

        MADDALENA: Ma no… prego, prego… Via per la comune il Parroco e la signora Maddalena.

        Scena decima

        Agata, Fabio.

        Agata, pallidissima, fa per ritirarsi per l’uscio a destra. Fabio, tutto fremente, le si appresserà e le parlerà a voce bassa, concitatamente:

        FABIO: Agata, in nome di Dio, non spingere fino all’estremo la mia pazienza!

        AGATA: Basta, (indicherà austeramente, più col capo che con la mano l’uscio a sinistra) ti prego!

        FABIO: Ancora… ancora come vuol lui?

        AGATA: Se come vuol lui, ancora una volta è giusto…

        FABIO: Tutto, tutto è stato giusto per te, ciò che lui ha detto fin dal primo giorno che ci fu messo tra i piedi!

        AGATA: Non ritorniamo adesso a discutere su ciò che fu stabilito allora, d’ac­cordo!

        FABIO: Ma perché vedo che sei tu, ora, tu! – Tutto è stato per te vincere l’or­rore della prima impressione! Potesti vincerlo ascoltando, non vista, le sue parole – e ora, eccoti: puoi star tranquilla, così, a quanto si stabilì allora e che io accettai solamente per tranquillar te! Sei tu, ora, sei tu! Perché lui sa –

        AGATA (subito, fiera): – che sa?

        FABIO: Vedi? vedi? Tu tieni a lui! che egli sappia che tra noi non c’è più nulla da allora!

        AGATA: Io tengo a me!

        FABIO: No! a lui! a lui!

        AGATA: Io non posso tollerare per me stessa ch’egli supponga altrimenti!

        FABIO: Ma sì, per la stima di lui, che desideri! Come se egli non si fosse pre­stato a questo patto tra noi!

        AGATA: Dire così, per me, non significa altro – se mai – che la vergogna sua dovrebbe essere anche la nostra. – Tu la vorresti per lui. Io non la voglio per me!

        FABIO: Ma io voglio quello che è mio! quello che dovrebbe esser mio ancora, Agata! – Te… te… te… (La afferrerà, freneticamente, per stringerla a sé.)

        AGATA (reluttando, senza cedere minimamente): No… no… via! lasciami an­dare! Te l’ho detto: – non sarà mai, non sarà più, se tu prima non riuscirai a cacciarlo…

        FABIO (senza lasciarla, con foga crescente): Ma sarà oggi stesso! Lo caccerò via come un ladro, oggi, oggi stesso!

        AGATA (stupita, senza più forza di resistere): Come un ladro?

        FABIO (stringendola a sé): Sì… sì… come un ladro! come un ladro! C’è cascato! Ha rubato!

        AGATA: Ne sei certo?

        FABIO: Ma sì! Ha già più di trecento mila lire in tasca! – Lo cacceremo via oggi stesso! – E tu tornerai mia, mia, mia…

        Scena undecima

        Baldovino, Detti.

        S’apre l’uscio a sinistra e ne uscirà col cappello a stajo in capo Baldovino.

        Scoprendo i due abbracciati, subito si fermerà, sorpreso.

        BALDOVINO: Oh! – Chiedo scusa… (Poi con severità attenuata da un sorriso dì finissima arguzia:) Dio mio, signori: sono entrato io, e non è niente; ma pen­sate, poteva entrare il cameriere. – Chiudete almeno le porte, mi raccomando.

        AGATA (fremente di sdegno): Non c’era affatto bisogno di chiudere le porte!

        BALDOVINO: Non dico per me, signora. Lo dico al signor marchese, per lei!

        AGATA: L’ho detto io stessa al signor marchese, che ora – del resto – (lo guar­derà fieramente) avrà da intendersi con lei!

        BALDOVINO: Con me? – Volentieri. – E su che?

        AGATA (sprezzante): Domandatelo a voi stesso!

        BALDOVINO: A me? (Si volta a Fabio:) Che cosa?

        AGATA (a Fabio, imperiosamente): Parlate!

        FABIO: No, non adesso…

        AGATA: Voglio che glielo diciate adesso davanti a me!

        FABIO: Ma bisognerebbe aspettare…

        BALDOVINO (subito, sarcastico): Il signor marchese ha forse bisogno di testimonii?

        FABIO: Non ho bisogno di nessuno! Voi avete intascato trecento mila lire!

        BALDOVINO (calmissimo, sorridente): No, più, signor marchese! Eh, sono più! sono cinquecentosessantatremila… aspetti! (Caverà dalla tasca interna il por­tafoglio, ne trarrà cinque cartoncini con prospetti di cifre a rendiconto, debitamente intestati, e leggerà nell’ultimo la cifra totale:) cinquecentosessantatremila settecentoventotto e sessanta centesimi! Più di mezzo milioncino, si­gnor marchese. – Lei fa di me una stima troppo mediocre!

        FABIO: Siano quelle che siano! – Non me n’importa! – Potete tenervele, e an­dare!

        BALDOVINO: Troppa furia… troppa furia, signor marchese! – Lei ha ragione d’averne, a quanto sembra; ma appunto per questo badi che il caso è molto più grave di quanto lei s’immagina.

        FABIO: Ma via! Smettete adesso codeste arie!

        BALDOVINO: Che arie, no… (Si volgerà ad Agata:) Prego la signora d’avvici­narsi e di stare a sentire. (Poi, come Agata con accigliata freddezza si sarà appressata:) Se volete prendervi il piacere di darmi del ladro, potremo inten­derci anche su questo: anzi, è bene che c’intendiamo subito. – Ma vi prego di considerare intanto, che non è giusto, prima di tutto, per me. Ecco qua: (Mo­strerà loro i cartoncini, tenendoli aperti a ventaglio.) Da questi prospetti – lei vede, signor marchese – risultarlo intestate come risparmi e imprevisti guada­gni della vostra Società le cinquecento e più mila lire. Ma non fa niente: si può rimediare, signora! – Avrei potuto mettermele in tasca con due dita, se­condo loro, (indicherà a Fabio, alludendo anche ai suoi soci) se fossi cascato nella trappola che m’han fatto tendere da un certo omino storto cacciatomi tra i piedi, quel signor Marchetto Fongi che è venuto anche stamattina… – Oh (a Fabio:) non nego che non fosse tesa con una certa abilità, la trappola! (Ad Agata:) Lei non s’intende di queste cose, signora; ma mi avevano combinato un certo giro di partita, per cui doveva risultare a me solo un’eccedenza di guadagno che avrei potuto intascarmi senz’altro, sicurissimo che nessuno se ne sarebbe accorto. Se non che, loro che mi avevano appunto combinato questo giro, se io ci fossi cascato e avessi intascato il danaro, m’avrebbero colto subito con le mani nel sacco. (A Fabio:) Non è così?

        AGATA (con sdegno appena contenuto, guardando Fabio che non risponde): Avete fatto questo?

        BALDOVINO (subito): Oh no, signora! Non c’è da aversene a male! – E se lei può rivolgergli con tanta fierezza codesta domanda, guardi che non lui, ma io debbo sentirmi mancare – perché vuol dire che veramente la condizione di quest’uomo s’è fatta intollerabile. E se si è fatta intollerabile la sua, diventa, per conseguenza, intollerabile la mia!

        AGATA: Perché, la vostra?

        BALDOVINO (le volgerà un rapido sguardo di profonda intensità e subito abbas­serà gli occhi, turbato, come smarrito): Ma perché… se io divento uomo da­vanti a lei… io… io… non potrei più… – ah, signora… m’avverrebbe la cosa più trista che si possa dare: quella di non potere più alzar gli occhi a soste­nere lo sguardo degli altri… (Si passerà una mano sugli occhi, sulla fronte, per riprendersi:) No… via, via… Qua bisogna venir subito a una risoluzione! (Amaramente:) Ho potuto pensare che mi sarei presa oggi la soddisfazione di trattare come ragazzini questi signori consiglieri, questo Marchetto Fongi, e anche voi, marchese, che v’eravate fatta l’illusione di prendere al laccio, così, uno come me! – Ma ora penso che se avete potuto ricorrere a codesto mezzo, di denunziarmi come ladro, per vincere il ritegno di lei (indicherà Agata) senza neppur considerare che questa vergogna di cacciarmi di qua come un ladro, di fronte a cinque estranei, si sarebbe rovesciata sul bambino appena nato… – eh, penso che dev’essere ben altro il piacere, per me, dell’onestà! (Porgerà a Fabio i cartoncini che ha mostrato.) Ecco qua a lei, signor mar­chese!

        FABIO: Che volete che me ne faccia?

        BALDOVINO: Li laceri: sono l’unica prova per me! – Il danaro è in cassa, fino all’ultimo centesimo. (Lo guarderà fermo negli occhi; poi, con forza e con durezza sprezzante:) Ma bisogna che lo rubi lei!

        FABIO (rivoltandosi come sferzato in faccia): Io?

        BALDOVINO: Lei, lei, lei.

        FABIO: Siete pazzo?

        BALDOVINO: Vuol far le cose a mezzo, signor marchese? – Le ho pur dimo­strato che, volendomi onesto, doveva per forza risultar questo: che la cattiva azione l’avrebbe commessa lei! Rubi questo danaro: passerò io per ladro – e me ne andrò, perché, veramente, qui non posso più stare.

        FABIO: Ma sono pazzie!

        BALDOVINO: No, che pazzie! Io ragiono per lei e per tutti. – Non dico mica che lei debba mandarmi in galera. – Non potrebbe. – Lei ruberà il danaro sola­mente per me.

        FABIO (fremendo e facendoglisì incontro): Ma che dite?

        BALDOVINO: Non s’offenda: è una parola, signor marchese! Lei farà una magni­fica figura. – Toglierà per un momento il danaro dalla cassa, per far vedere che l’ho rubato io. Poi subito lo rimetterà, perché i suoi soci naturalmente non abbiano a soffrir danno della fiducia che mi hanno accordato per un ri­guardo a lei. È chiaro. Il ladro resterò io.

        AGATA (insorgendo): No! no! questo no! (Controparte dei due uomini. E al­lora, come per correggere, senza cancellarla, l’impressione della sua prote­sta:) E il bambino?

        BALDOVINO: Ma è una necessità, signora…

        AGATA: Ah, no! Io non posso, io non voglio ammetterla!

        Scena dodicesima

        Cameriere, Detti, poi i quattro consiglieri, Marchetto Fongi, la Signora Mad­dalena, la comare.

        CAMERIERE (presentandosi sull’uscio a destra infondo e annunziando): I si­gnori Consiglieri e il signor Fongi. (Si ritira.)

        FABIO (subito, costernatissimo): Rimandiamo a domani questa discussione!

        BALDOVINO (pronto, forte, sfidando): Io sono deciso e pronto fin d’adesso.

        AGATA: E io vi dico che non voglio, capite? non voglio!

        BALDOVINO (con estrema risoluzione): Ma più che mai per questo, signora…

        MARCHETTO FONGI (entrando coi quattro Consiglieri): Permesso?… Permesso?…Contemporaneamente, dall’uscio a destra, entrano la signora Maddalena col cappello in capo e la Comare tutta parata di gala, infiocchettata, con sulle braccia il neonato in un portenfantricchissimo, coperto da un velo celeste. Tutti si fanno attorno, con esclamazioni, congratulazioni, saluti, a soggetto, mentre la signora Maddalena solleva cautamente il velo per mostrare il neonato.

Tela

1917 – Il piacere dell’onestà – Commedia in tre atti
Premessa e articolo di Antonio Gramsci
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo.

En Español – El piacer de la honradez

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