Enrico IV – Atto terzo

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Premessa
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Enrico IV - Atto III
Giorgio Albertazzi, Enrico IV, 1982. Immagine dal Web.

1922
Enrico IV
Atto Terzo

        La sala del trono, buja. Nel bujo, la parete di fondo si discerne appena. Le tele dei due ritratti sono state asportate e al loro posto, entro le cornici rima­ste a ricingere il cavo delle nicchie, si sono impostati nel preciso atteggia­mento di quei ritratti, Frida parata da «Marchesa di Toscana», come s’è vista nel secondo atto, e Carlo Di Nolli parato da «Enrico IV». Al levarsi del sipario, per un attimo la scena appare vuota. Si apre L’uscio a sinistra ed entra, reggendo la lampa per l’anello in cima, Enrico IV, volto a parlare verso l’interno ai quattro giovani che si suppongono nello sala atti­gua, con Giovanni; come alla fine del secondo atto.

        ENRICO IV: No: restate, restate: farò da me. Buona notte. (Richiude l’uscio e si muove, tristissimo e stanco, per attraversare la seda, diretto al secondo uscio a destra, che dà nei suoi appartamenti.)

        FRIDA (appena vede che egli ha di poco oltrepassato l’altezza del trono, bisbi­glia dalla nicchia, come una che si senta venir meno dalla paura): Enrico…

        ENRICO IV (arrestandosi alla voce, come colpito a tradimento da una rasoiata alla schiena, volta la faccia atterrita verso la parete di fondo, accennando d’alzare istintivamente, quasi a riparo, le braccia): Chi mi chiama? (Non è una domanda, è un’esclamazione che guizza in un brivido di terrore e non aspetta risposta dal bujo e dal silenzio terribile della sala che d’un tratto si sono riempiti per lui del sospetto d’esser pazzo davvero.)

        FRIDA (a quell’atto di terrore, non meno atterrita di ciò che si è prestata a fare, ripete un po’ più forte): Enrico… (Ma sporgendo un po’ il capo dalla nicchia verso l’altra nicchia, pur volendo sostenere la parte che le hanno as­segnata. )

        Enrico IV ha un urlo: si lascia cader la lampa dalle mani, per cingersi con le braccia la testa, e fa come per fuggire.

        FRIDA (saltando dalla nicchia sullo zoccolo e gridando come impazzita): En­rico… Enrico… Ho paura… ho paura…

        E mentre il Di Nolli balza a sua volta dallo zoccolo e di qui a terra, e accorre a Frida che seguita a gridare convulsa, sul punto di svenire, irrompono dall’uscio a sinistra – tutti: il Dottore, Donna Matilde parata anche lei da «Marchesa di Toscana», Tito Belcredi, Landolfo, Arialdo, Ordulfo, Bertoldo, Giovanni. Uno di questi dà subito luce alla sala: luce strana, di lampadine nascoste nel soffitto, per modo che sia sulla scena soltanto viva nell’alto. Gli altri, senza cu­rarsi d’Enrico IV che rimane a guardare, stupito da quella irruzione inattesa, dopo il momento di terrore per cui ancora vibra in tutta la persona, accorrono premurosi a sorreggere e a confortare Frida che trema ancora e geme e sma­nia tra le braccia del fidanzato. Parlano tutti confusamente.

        DI NOLLI: No, no, Frida… Eccomi qua… Sono con te!

        DOTTORE (sopravvenendo con gli altri): Basta! Basta! Non c’è da fare più nulla…

        DONNA MATILDE: È guarito, Frida! Ecco! È guarito! Vedi?

        DI NOLLI (stupito): Guarito?

        BELCREDI: Era per ridere! Stai tranquilla!

        FRIDA (c.s.): No! Ho paura! Ho paura!

        DONNA MATILDE: Ma di che? Guardalo! Se non era vero! Non è vero!

        DI NOLLI (c.s.): Non è vero? Ma che dite? Guarito?

        DOTTORE: Pare! Per quanto a me…

        BELCREDI: Ma sì! Ce l’hanno detto loro! (Indica i quattro giovani.)

        DONNA MATILDE: Sì, da tanto tempo! Lo ha confidato a loro!

        DI NOLLI (ora più indignato che stupito): Ma come? Se fino a poco fa…?

        BELCREDI: Mah! Recitava per ridere alle tue spalle, e anche di noi che, in buona fede…

        DI NOLLI: È possibile? Anche di sua sorella, fino alla morte?

        ENRICO IV (che se n’è rimasto, aggruppato, a spiare or l’uno or l’altro, sotto le accuse e il dileggio per quella che tutti credono una sua beffa crudele, ormai svelata; e ha dimostrato col lampeggiare degli occhi, che medita una ven­detta che ancora lo sdegno, tumultuandogli dentro, non gli fa vedere precisa; insorge a questo punto, ferito, con la chiara idea d’assumere come vera la finzione che gli avevano insidiosamente apparecchiata gridando al nipote): E avanti! Di’ avanti!

        DI NOLLI (restando al grido, stordito): Avanti, che?

        ENRICO IV: Non sarà morta «tua» sorella soltanto!

        DI NOLLI (c.s.): Mia sorella! Io dico la tua, che costringesti fino all’ultimo a presentarsi qua come tua madre, Agnese!

        ENRICO IV: E non era «tua» madre?

        DI NOLLI: Mia madre, mia madre appunto!

        ENRICO IV: Ma è morta a me «vecchio e lontano», tua madre! Tu sei calato ora, fresco, di là! (Indica la nicchia da cui egli è saltato.) E che ne sai tu, se io non l’ho pianta a lungo, a lungo, in segreto, anche vestito così?

        DONNA MATILDE (costernata, guardando gli altri): Ma che dice?

        DOTTORE (impressionatissimo, osservandolo): Piano, piano, per carità!

        ENRICO IV: Che dico? Domandando a tutti, se non era Agnese la madre di En­rico IV ! (Si volge a Frida, come se fosse lei veramente la Marchesa di To­scana.) Voi, Marchesa, dovreste saperlo, mi pare!

        FRIDA (ancora impaurita, stringendosi di più al Di Nolli): No, io no! io no!

        DOTTORE: Ecco che ritorna il delirio… Piano, signori miei!

        BELCREDI (sdegnato): Ma che delirio, dottore! Riprende a recitare la commedia!

        ENRICO IV (subito): Io? Avete votato quelle due nicchie là; lui mi sta davanti da Enrico IV…

        BELCREDI: Ma basta ormai con codesta burla!

        ENRICO IV: Chi ha detto burla?

        DOTTORE (a Belcredi, forte): Non lo cimenti, per amor di Dio!

        BELCREDI (senza dargli retta, più forte): Ma l’hanno detto loro! (indica di nuovo i quattro giovani.) Loro! Loro!

        ENRICO IV (voltandosi a guardarli): Voi? Avete detto burla?

        LANDOLFO (timido, imbarazzato): No… veramente, che era guarito!

        BELCREDI: E dunque, basta, via! (A Donna Matilde:) Non vi pare che diventi d’una puerilità intollerabile, la vista di’ lui (indica il Di Nolli), Marchesa, e la vostra, parati così?

        DONNA MATILDE: Ma statevi zitto! Chi pensa più all’abito, se lui è veramente guarito?

        ENRICO IV: Guarito, sì! Sono guarito? (A Belcredi:) Ah, ma non per farla finita co­sì subito, come tu credi! (Lo investe.) Lo sai che da venti anni nessuno ha mai osato comparirmi davanti qua, come te e codesto signore? (Indica il Dottore.)

        BELCREDI: Ma sì, lo so! E difatti anch’io, questa mattina, ti comparvi davanti vestito…

        ENRICO IV: Da monaco, già!

        BELCREDI: E tu mi prendesti per Pietro Damiani! E non ho mica riso, cre­dendo appunto…

        ENRICO IV: Che fossi pazzo! Ti viene di ridere, vedendo lei così, ora che sono guarito? Eppure potresti pensare che, ai miei occhi, il suo aspetto, ora (s’interrompe con uno scatto di sdegno.) Ah! (E subito si rivolge al Dottore:) Voi siete un medico?

        DOTTORE: Io, sì…

        ENRICO IV: E l’avete parata voi da Marchesa di Toscana anche lei? Sapete, dot­tore, che avete rischiato di rifarmi per un momento la notte nel cervello? Per­dio, far parlare i ritratti, farli balzare vivi dalle cornici… (Contempla Frida e il Di Nolli, poi guarda la Marchesa ed infine si guarda l’abito addosso.) Eh, bellissima la combinazione… Due coppie… Benissimo, benissimo, dottore: per un pazzo… (Accenna appena con la mano al Belcredi.) A lui sembra ora una carnevalata fuori di tempo, eh? (Si volta a guardarlo.) Via, ormai, anche questo mio abito da mascherato! Per venirmene, con te, è vero?

        BELCREDI: Con me! Con noi!

        ENRICO IV: Dove, al Circolo? In marsina e cravatta bianca? O a casa, tutti e due insieme, della Marchesa?

        BELCREDI: Ma dove vuoi! Vorresti rimanere qua ancora, scusa, a perpetuare – solo – quello che fu lo scherzo disgraziato d’un giorno di carnevale? È vera­mente incredibile, incredibile come tu l’abbia potuto fare, liberato dalla di­sgrazia che t’era capitata!

        ENRICO IV: Già. Ma vedi? È che, cadendo da cavallo e battendo la testa, fui pazzo per davvero, io, non so per quanto tempo…

        DOTTORE: Ah, ecco, ecco! E durò a lungo?

        ENRICO IV (rapidissimo, al Dottore): Sì, dottore, a lungo: circa dodici anni. (E subito, tornando a parlare al Belcredi:) E non vedere più nulla, caro, di tutto ciò che dopo quel giorno di carnevale avvenne, per voi e non per me; le cose, come si mutarono; gli amici, come mi tradirono; il posto preso da altri, per esempio… che so! ma supponi nel cuore della donna che tu amavi; e chi era morto; e chi era scomparso… tutto questo, sai? non è stata mica una burla per me, come a te pare!

        BELCREDI: Ma no, io non dico questo, scusa! Io dico dopo!

        ENRICO IV: Ah sì? Dopo? Un giorno… (Si arresta e si volge al Dottore.) Caso interessantissimo, dottore! Studiatemi, studiatemi bene! (Vibra tutto, par­lando:) Da sé, chi sa come, un giorno, il guasto qua… (si tocca la fronte) che so… si sanò. Riapro gli occhi a poco a poco, e non so in prima se sia sonno o veglia; ma sì, sono sveglio; tocco questa cosa e quella: torno a vedere chia­ramente… Ah! – come lui dice – (accenna a Belcredi) via, via allora, que­st’abito da mascherato! quest’incubo! Apriamo le finestre: respiriamo la vita! Via, via! corriamo fuori! (Arrestando d’un tratto la foga:) Dove? a far che cosa? a farmi mostrare a dito da tutti, di nascosto, come Enrico IV, non più così, ma a braccetto con te, tra i cari amici della vita?

        BELCREDI: Ma no! Che dici? Perché?

        DONNA MATILDE: Chi potrebbe più…? Ma neanche a pensarlo! Se fu una disgrazia!

        ENRICO IV: Ma se già mi chiamavano pazzo, prima, tutti! (A Belcredi:) E tu lo sai! Tu che più di tutti ti accanivi contro chi tentava difendermi!

        BELCREDI: Oh, via, per ischerzo!

        ENRICO IV: E guardami qua i capelli! (Gli mostra i capelli sulla nuca.)

        BELCREDI: Ma li ho grigi anch’io!

        ENRICO IV: Sì, con questa differenza: che li ho fatti grigi qua, io, da Enrico IV, capisci? E non me n’ero mica accorto! Me n’accorsi in un giorno solo, tutt’a un tratto, riaprendo gli occhi, e fu uno spavento, perché capii subito che non solo i capelli, ma doveva esser diventato grigio tutto così, e tutto crollato, tutto finito: e che sarei arrivato con una fame da lupo a un banchetto già bell’e sparecchiato.

        BELCREDI: Eh, ma gli altri, scusa…

        ENRICO IV (subito): Lo so, non potevano stare ad aspettare ch’io guarissi, nem­meno quelli che, dietro a me, punsero a sangue il mio cavallo bardato…

        DI NOLLI (impressionato): Come, come?

        ENRICO IV: Sì, a tradimento, per farlo springare e farmi cadere!

        DONNA MATILDE (subito, con orrore): Ma questo lo so adesso, io!

        ENRICO IV: Sara stato anche questo per uno scherzo!

        DONNA MATILDE: Ma chi fu? Chi stava dietro alla nostra coppia?

        ENRICO IV: Non importa saperlo! Tutti quelli che seguitarono a banchettare e che ormai mi avrebbero fatto trovare i loro avanzi, Marchesa, di magra o molle pietà, o nel piatto insudiciato qualche lisca di rimorso, attaccata. Gra­zie! (Voltandosi di scatto al Dottore:) E allora, dottore, vedete se il caso non è veramente nuovo negli annali della pazzia! – preferii restar pazzo – trovando qua tutto pronto e disposto per questa delizia di nuovo genere: vi­verla – con la più lucida coscienza – la mia pazzia e vendicarmi così della brutalità d’un sasso che m’aveva ammaccato la testa! La solitudine – questa – così squallida e vuota come m’apparve riaprendo gli occhi – rivestirmela subito, meglio, di tutti i colori e gli splendori di quel lontano giorno di car­nevale, quando voi (guarda Donna Matilde e le indica Frida) eccovi là, Marchesa, trionfaste! – e obbligar tutti quelli che si presentavano a me, a seguitarla, perdio, per il mio passo, ora, quell’antica famosa mascherata che era stata – per voi e non per me – la burla di un giorno! Fare che diventasse per sempre – non più una burla, no; ma una realtà, la realtà di una vera paz­zia: qua, tutti mascherati, e la sala del trono, e questi quattro miei consiglieri: segreti, e – s’intende – traditori! (Si volta subito verso di loro.) Vorrei sa­pere che ci avete guadagnato, svelando che ero guarito! – Se sono guarito, non c’è più bisogno di voi, e sarete licenziati! – Confidarsi con qualcuno, questo sì, è veramente da pazzo! – Ah, ma vi accuso io, ora, a mia volta! – Sapete? – Credevano di potersi mettere a farla anche loro adesso la burla, con me, alle vostre spalle. (Scoppia a ridere. Ridono ma sconcertati, anche gli altri, meno Donna Matilde.)

        BELCREDI (al Di Nolli): Ah, senti… non c’è male…

        DI NOLLI (ai quattro giovani): Voi?

        ENRICO IV: Bisogna perdonarli! Questo (si scuote l’abito addosso), questo che è per me la caricatura, evidente e volontaria, di quell’altra mascherata, continua, d’ogni minuto, di cui siamo i pagliacci involontarii (indica Belcredi) quando senza saperlo ci mascheriamo di ciò che ci par d’essere – l’abito, il loro abito, perdonateli, ancora non lo vedono come la loro stessa persona. (Voltandosi di nuovo a Belcredi:) Sai? Ci si assuefa facilmente. E si passeggia come niente, così, da tragico personaggio – (eseguisce) – in una sala come questa! – Guar­date, dottore! – Ricordo un prete – certamente irlandese – bello – che dormiva al sole, un giorno di novembre, appoggiato col braccio alla spalliera del sedile, in un pubblico giardino: annegato nella dorata delizia di quel tepore, che per lui doveva essere quasi estivo. Si può star sicuri che in quel momento non sa­peva più d’esser prete, né dove fosse. Sognava! E chi sa che sognava! – Passò un monello, che aveva strappato con tutto il gambo un fiore. Passando, lo vel­licò, qua al collo. – Gli vidi aprir gli occhi ridenti; e tutta la bocca ridergli del riso beato del suo sogno; immemore: ma subito vi so dire che si ricompose ri­gido nel suo abito da prete e che gli ritornò negli occhi la stessa serietà che voi avete già veduta nei miei; perché i preti irlandesi difendono la serietà della loro fede cattolica con lo stesso zelo con cui io i diritti sacrosanti della monar­chia ereditaria. – Sono guarito, signori: perché so perfettamente di fare il pazzo, qua; e lo faccio, quieto! – Il guajo è per voi che la vivete agitatamente, senza saperla e senza vederla, la vostra pazzia.

        BELCREDI: Siamo arrivati, guarda! alla conclusione, che i pazzi adesso siamo noi!

        ENRICO IV (con uno scatto che pur si sforza di contenere): Ma se non foste pazzi, tu e lei insieme, (indica la Marchesa) sareste venuti da me?

        BELCREDI: Io, veramente, sono venuto credendo che il pazzo fossi tu.

        ENRICO IV (subito forte, indicando la Marchesa): E lei?

        BELCREDI: Ah lei, non so… Vedo che è come incantata da quello che tu dici… affascinata da codesta tua «cosciente» pazzia! (Si volge a lei:) Parata come già siete, dico, potreste anche restare qua a viverla, Marchesa…

        DONNA MATILDE: Voi siete un insolente!

        ENRICO IV (subito, placandola): Non ve ne curate! Non ve ne curate! Seguita a cimentare. Eppure il dottore glie l’ha avvertito, di non cimentare. (Vol­tandosi a Belcredi:) Ma che vuoi che m’agiti più ciò che avvenne tra noi; la parte che avesti nelle mie disgrazie con lei (indica la Marchesa e si ri­volge ora a lei indicandole il Belcredi) la parte che lui adesso ha per voi! – La mia vita è questa! Non è la vostra! – La vostra, in cui siete invec­chiati, io non l’ho vissuta! – (A donna Matilde:) Mi volevate dir questo, dimostrar questo, con vostro sacrificio, parata così per consiglio del dottore? Oh, fatto benissimo, ve l’ho detto, dottore: – «Quelli che eravamo allora, eh? e come siamo adesso?» – Ma io non sono un pazzo a modo vostro, dottore! Io so bene che quello (indica il Di Nolli) non può esser me, perché Enrico IV sono io: io, qua, da venti anni, capite? Fisso in questa eternità di maschera! Li ha vissuti lei (indica la Marchesa), se li è goduti lei, questi venti anni, per diventare – eccola là – come io non posso riconoscerla più: perché io la conosco così (indica Frida e le si accosta) – per me, è questa sempre… Mi sembrate tanti bambini, che io possa spaventare. (A Frida:) E ti sei spaventata davvero tu, bambina, dello scherzo che ti avevano per­suaso a fare, senza intendere che per me non poteva essere lo scherzo che loro credevano; ma questo terribile prodigio: il sogno che si fa vivo in te, più che mai! Eri lì un’immagine; ti hanno fatta persona viva – sei mia! sei mia! mia! di diritto mia! (La cinge con le braccia, ridendo come un pazzo, mentre tutti gridano atterriti; ma come accorrono per strappargli Frida dalle braccia, si fa terribile, e grida ai suoi quattro giovani:) Tratteneteli! Tratteneteli! Vi ordino di trattenerli!

        / quattro giovani, nello stordimento, quasi affascinati, si provano a tratte­nere automaticamente il Dì Nolli, il Dottore, il Belcredi.

        BELCREDI (si libera subito e si avventa su Enrico IV): Lasciala! Lasciala! Tu non sei pazzo!

        ENRICO IV (fulmineamente, cavando la spada dal fianco di Landolfo che gli sta presso): Non sono pazzo? Eccoti!

        E lo ferisce al ventre. E un urlo d’orrore. Tutti accorrono a sorreggere il Belcredi, esclamando in tumulto.

        DI NOLLI: T’ha ferito?

        BERTOLDO: L’ha ferito! L’ha ferito!

        DOTTORE: Lo dicevo io!

        FRIDA: Oh Dio!

        DI NOLLI : Frida, qua!

        DONNA MATILDE: È pazzo! È pazzo!

        DI NOLLI: Tenetelo !

        BELCREDI (mentre lo trasportano di là, per l’uscio a sinistra, protesta fero­cemente): No! Non sei pazzo! Non è pazzo! Non è pazzo! Escono per l’uscio a sinistra, gridando, e seguitano di là a gridare finché sugli altri gridi se ne sente uno più acuto di Donna Matilde, a cui segue un silenzio.

        ENRICO IV (rimasto sulla scena tra Landolfo, Arialdo e Ordulfo, con gli occhi sbarrati, esterrefatto dalla vita della sua stessa finzione che in un momento lo ha forzato al delitto): Ora sì… per forza… (li chiama attorno a sé, come a ripararsi), qua insieme, qua insieme… e per sempre!

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1922 – Enrico IV – Tragedia in tre atti
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