Diana e la Tuda – Atto secondo

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En Español – Diana y Tuda

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Diana e la tuda - Atto II
Associazione Culturale Readàrto Officine Artistiche, Diana e la Tuda, 2013

1927
Diana e la Tuda
Atto Secondo

        La stessa scena del primo atto.

        Al levarsi della tela, Tuda in abito da sera elegantissimo si mira in uno spec­chio sorretto dalla Giovane che accompagna la Sarta. Questa le è presso e le aggancia ancora l’abito da una parte. Le sta dietro la Modista, accompagnata da un’altra Giovane, con una grande scatola piena di cappelli e di fiori finti. La Sarta ha portato anche stoffe per la scelta d’un altro abito. Sirio è dietro la tenda, in attesa che la prova abbia fine.

        TUDA: No no, non mi piace! non mi piace!

        LA SARTA: Ma se le sta benissimo, signora!

        TUDA: Che benissimo! Non è venuto affatto come volevo io!

        LA SARTA: Eppure ho seguito in tutto quello che lei m’ha detto!

        TUDA: Io non le ho detto che volevo tutto questo… come si chiama? «jais», qua.

        LA SARTA: Ma è così ricco, signora: uno splendore, creda.

        TUDA: Troppo, troppo; e non mi piace! – No no, via! via! – Non me lo posso più vedere addosso. Lo sganci, lo sganci!

        LA SARTA: Mi butta via il lavoro così? Aspetti, si potrà rimediare!

        TUDA: Che vuol rimediare! No. Non mi va più neanche il colore. E mi sta così male, poi.

        LA SARTA: Sì, mi sono accorta anch’io di qualche difetto, ma lieve, rimediabi­lissimo. Non per colpa mia, creda. La signora, mi scusi, è un po’…

        TUDA: – come? –

        LA SARTA: – dimagrita –

        TUDA: – io? –

        LA SARTA: – sì, dall’ultima volta –

        TUDA: – possibile? in così pochi giorni? –

        LA SARTA: – ma sì, creda! –

        TUDA: – io sto benissimo! –

        LA SARTA: – oh, non dico! un corpo maraviglioso –

        TUDA: – sfido, modella! (Senza dar peso, anzi sorridente:) Lei mi chiama si­gnora –

        LA SARTA: – come dovrei chiamarla? –

        TUDA: – signora… modella (sanno tutti che sono signora per questo). – Ma sì, mi sento un po’ stanca veramente –

        LA SARTA: – ecco: e allora il grigio, senza più il suo bel colore… (Le avrà in­tanto levato l’abito e Tuda sarà rimasta in un finissimo sottabito rosa.)

        TUDA: Non mi ci posso vedere!

        LA MODISTA: Sì, certo, smuore un po’.

        TUDA: Se si pensasse, come ci si sciupa… E io (scoppia a ridere pensando che e stata sposata per far da modella: se non potesse più farla!) – sarebbe da ri­dere! Ma se si deve seguitare così – (forte, queste ultime parole, perché Sirio, di là, senta e intenda.)

        LA SARTA: Oh, sarà un malessere momentaneo!

        TUDA (guardandosi bene allo specchio): No no: è vero; non m’ero ancora ve­duta bene – eh altro! sono, sono andata giù! Ci si dovrebbe pensare… (e. s.)

        LA SARTA: Tante volte, non c’è nulla più d’un abito che lo possa far notare. E per noi sarte le clienti non dovrebbero mai provare, se non si sentono più che bene.

        LA MODISTA: Va tutto male, quando non sono contente del loro bel visino.

        LA SARTA: E allora (mostra l’abito che ha ancora sul braccio) non dobbiamo neppure tentare d’accomodarlo?

        TUDA: No no, non mi parli più di questo! Ha portato le stoffe?

        LA SARTA: Sì, tante: eccole qua.

        TUDA: Vediamole, vediamole. – Ma che colori!

        LA SARTA: Quelli di quest’anno.

        TUDA: Non c’è un lilla?

        LA SARTA; Il lilla, veramente, quest’anno non va.

        TUDA: Ma va a me.

        LA SARTA: Non è di moda.

        TUDA: La moda per me la faccio io. (Trovando la stoffa:) Eccolo qua. Questo. Vede che c’è? Combiniamolo subito, qua, ora stesso, addosso a me. Sì sì: questo, questo. (Si butta addosso la stoffa e si guarda allo specchio.) Mi piace, sì.

        LA SARTA: Certo, le sta benissimo.

        LA MODISTA: A maraviglia!

        TUDA: Mi vesto io. (Si drappeggia.) Senza tanti lisci e gale. Semplice semplice! E non molto scollato. Ecco, guardi, così. Lo appunti.

        LA SARTA: È veramente un piacere vestire un corpo come il suo –

        TUDA: – condannato a spogliarsi sempre! – Bisognerebbe ora trovare un pizzo…

        LA SARTA: Pizzo?

        TUDA: Non va neanche il pizzo?

        LA SARTA: Se guarda i figurini…

        TUDA: Non li guardo. Lo metto, vada o non vada. Non ne ha portati?

        LA SARTA: No, signora.

        TUDA: Non importa. Ne ho su io, tanti. (Rivolgendosi alla Giovane che accom­pagna la Sarta:) Per piacere, vada su di la (indica l’uscio a sinistra) fino al secondo piano; e se li faccia dare dalla donna: sono nel cassetto dell’armadio a destra, nella mia camera. (La Giovane s’avvia.) Aspetti! Mi faccia anche il piacere di farsi dare la pelliccia d’ermellino. (Alla Sarta:) Così vedremo come sta. (Alla Giovane:) Presto, mi raccomando. La Giovane va. Sirio vien fuori dalla tenda.

        SIRIO: Ancora?

        TUDA: Abbi pazienza. Un abito impossibile!

        SIRIO: Ma no, io dico, se dovevi perdere tutto questo tempo, potevi andar su a provare e scegliere tutto quello che ti pare, senza farmi questo bazar qua. Vai su, vai su, che sarà meglio anche per te.

        TUDA (guardandolo con intenzione): No, caro. Per me è meglio qua.

        SIRIO (reciso, intendendo): Lo so, che è fatto apposta.

        TUDA (subito): E anch’io, dunque, perché ne sei seccato!

        SIRIO (con ira): Per me, per me, per me ne sono seccato!

        TUDA: Hai torto. Riflettici bene, e riconoscerai che a te giova.

        SIRIO: Che cosa mi giova?

        TUDA: Provocare.

        SIRIO: Mi pare che provochi tu!

        TUDA: No. Io così mi sfogo: nient’altro.

        SIRIO: E a me giova provocare?

        TUDA: Sì: e non dovresti abusarne. (Rivolgendosi alla Sarta:) Ho avuto jeri una vertigine: per poco non casco di là (indica dietro la tenda) tutta in un fa­scio giù dallo zoccolo. (A Sirio:) S’è accorta anche lei, (indica la Sarta) sai, che sono un po’ stanca.

        SIRIO: Ma io t’ho detto, mi pare, d’andartene su; non di tornare a posare, se non ti senti.

        TUDA: Mi sento, mi sento! E ho molta più fretta di te, credi! Sai bene che, tante volte, io vorrei starci e manca proprio per te invece. – Non ti pare che mi stia bene questo colore?

        SIRIO: Bene, sì, bene. Me ne vado su io, allora. Via, seccato, per l’uscio a sinistra. Momento d’imbarazzo.

        LA MODISTA: Gli uomini sono impazienti.

        TUDA (estrosa, riprendendosi): E allora io… (Alla Sarta:) Mi dia quell’abito di «jais».

        LA SARTA (perplessa, prendendolo): – perché? –

        TUDA: – mi dia! E l’altro –

        LA SARTA: – quello da passeggio? –

        TUDA: – l’ha portato? –

        LA SARTA: – sì, eccolo –

        TUDA: – me lo dia! No, anzi, lo tenga lei, codesto! (Alla Modista:) E lei prenda quelle stoffe! –

        LA MODISTA (prendendole): – queste? –

        TUDA: – sì sì! M’ajutino! Voglio vestirgli tutte queste statue! – (Risata.)

        LA SARTA: – vestirle? –

        TUDA: – sì, lei vesta quella! (indica una delle statue.) Con l’abito da passeggio.

        LA SARTA (ridendo): Ma non le andrà! –

        TUDA: Non importa! Provi! Quanto più goffa, tanto meglio!

        LA MODISTA (ridendo): E io con queste? – (mostra le stoffe.)

        TUDA: – drappeggi le altre! Si faccia, si faccia ajutare! Io vesto questa con l’a­bito di «jais». – (Risata.) Altro che bazar qua! Il museo delle statue vestite al­l’ultima moda! Non dev’essere mica pazzo lui solo che m’ha sposata: mi metto a fare la pazza anch’io! – Guardate, guardate! – Ah, magnifiche! – Oh Dio, questa! – Benissimo. – Sì sì! (Alla Giovane che ride:) Buffissima! – Bi­sogna metterle il cappello! – Sì sì:– a tutte, il cappello! Li prenda, li prenda! (La Giovane prende due cappelli dalla scatola.) – Uno a me! – Ne prenda altri! – Ah, che maraviglia! Guardate! (Alla Giovane che ritorna coi pizzi e il mantello d’ermellino e resta in prima sbalordita:) Magnifiche, no? Dia, dia il mantello!

        LA GIOVANE (ridendo): – eccolo! – (glielo porge.)

        TUDA: – qua (lo mette in capo alla statua che ha vestito con l’abito di «jais») così. Benissimo! Gliele farò trovare così! Figuriamoci! Griderà alla profana­zione, indignato! Come se non fosse peggio quello che lui sta facendo a me! Debbo essere soltanto una statua, io, qua? come una sorella di queste? Eb­bene: mi vesto io; si vestano anche loro! – (Risata.)

        LA MODISTA: Benissimo!

        LA SARTA: Giustissimo!

        TUDA: Il guajo è che esse – sì, pajono più goffe – ma non si sciupano intanto come me! – (Alla Giovane eh’è andata su:) Ha portato i pizzi?

        LA GIOVANE: Sì, eccoli – (glieli porge.)

        TUDA: – ah, brava! (Alla Sarta:) Bisognerà sceglierne uno che vada, come co­lore… Guardi che bellezza, questi pizzi!

        LA SARTA: Uh, antichi!

        TUDA: Uno più bello dell’altro!

        LA MODISTA: Chi sa come li avrà pagati cari! Dove li ha trovati?

        TUDA: Me li hanno portati. Se sapesse da quale casa vengono! – Ecco, questo, guardi. Messo così. Come le pare?

        LA SARTA: Eh sì, mi pare che… sì sì, va benissimo, benissimo…

        TUDA (alla Modista): Ha portato fiori?

        LA MODISTA: Sì, molti.

        TUDA: Fiori, fiori. Faccia vedere.

        LA GIOVANE DELLA MODISTA (presentando la scatola): Eccoli.

        TUDA (cercando e scartando, finché trova): Questi no, questi no – no no – via, questi, no – ecco, questi – guardi – appuntati qua così – e poi altri, giù da piedi. Provi, provi. (La Sarta eseguisce.) Ecco, così.

        LA MODISTA: Eh sì, benissimo!

        TUDA: Sì sì. Senz’altro così. Il mantello! Il mantello! (Alla Giovane della Sarta, alludendo alla statua su cui il mantello d’ermellino sta appeso:) Le domandi il permesso e glielo levi.

        La Giovane va a prendere, sorridendo, il mantello e lo pone sulle spalle di Tuda.

        LA SARTA: Ah, veramente magnifica!

        LA MODISTA: Una regina!

        Si ode, a questo punto, il rumore d’una chiave introdotta nella serratura della porta destra, che si apre. Entra Sara Mendel che ritira la chiave dalla serratura e richiude la porta. Subito resta al goffo spettacolo delle statue ve­stite e non può frenare una esclamazione di sorpresa e di sdegno.

        SARA: Eh? (La Sarta e la Modista con le due Giovani, la guardano con mera­viglia. Tuda seguita a mirarsi nello specchio, impassibile.)

        TUDA (alla Sarta): Sì. Non c’è male. Mi par che debba andar bene. (Poi, rivol­gendosi appena verso Sara:) Che spettacolo, eh?

        SARA: Davvero uno spettacolo –

        TUDA: – di pessimo gusto! Ma fatto apposta, fatto apposta. (Alla Sarta:) Forse un pochino più scollato.

        LA SARTA: Ecco, sì. Lo volevo dire. Guardi, così… (azione.)

        SARA (dopo una pausa grave d’imbarazzo): Dossi non c’è?

        TUDA (alla Sarta): E forse questi fiori… (S’interrompe, per rispondere a Sara senza guardarla:) Credo che sia andato su.

        SARA: Eppure sa che vengo a prenderlo sempre a quest’ora.

        TUDA: Già. Ma sa anche che ora avete la chiave per entrare quando volete, e che, se vi piace, potete anche salir su.

        SARA (subito, risentita): Su non sono mai salita.

        TUDA (alla Sarta): Bisognerà far presto. La festa al Circolo, è per sabato sera. (A Sara:) Scusatelo, signora: s’è un po’ urtato con me perché ho voluto pro­vare qua i miei abiti; e se n’è salito su, credo, pensando che questo potesse fare un dispiacere a voi.

        SARA: A me? E perché?

        TUDA: Appunto: me lo domando anch’io: perché? Anzi, vi dovrebbe fare, m’immagino, un gran piacere questa follia che m’ha preso, d’abiti, di pellicce, di cappelli, che gli fa pagar cara la sciocchezza d’avermi sposata. Sogno fiumi di seta, tra ciuffi di piume e spume di merletti… Lo sto rovinando! (Ride.)

        SARA: Sì sì, fate bene, fate bene!

        TUDA: Sarei sciocca anch’io, non vi pare? se non ne approfittassi.

        SARA: Splendida veramente codesta cappa d’ermellino!

        TUDA: Sì, è vero? Sono più di trecento pelli. Tutte uguali, guardate –

        SARA: – sì, molto belle –

        TUDA: – venute da un paese della Germania –

        SARA: – da Lipsia: c’è un mercato speciale. E anche questo pizzo è magnifico. E l’abito, così, vi starà benissimo.

        TUDA (alla Sarta): Siamo già intese. Così. (A Sara:) Ora vi farò vedere (si volta a cercare con gli occhi la statua vestita con l’abito da passeggio) ec­colo là. (Alla Giovane:) Lo prenda, per piacere. (La Giovane lo prende.) Via questo, intanto! (Ajutata dalla Sarta si toglie la stoffa lilla, e indossa poi l’a­bito da passeggio.) E vedrete il cappello che ho fatto fare apposta per que­st’abito. (Alla Modista:) L’ha portato?

        LA MODISTA: Come no! E anche tant’altri, come vede!

        TUDA: Sì, perché lo voglio proprio rovinare!

        SARA: Potete senza rimorso: è molto ricco.

        TUDA: Senza rimorso: ah questo sì, da parte mia!.– (Guardandosi allo specchio l’abito già indossato) Sta bene, sì.

        LA SARTA: Meglio di così non le potrebbe stare. Altro che le statue, un corpo così fatto!

        SARA: Perfetto. Non c’è che dire. È di ottimo gusto.

        TUDA: Il cappello! Il cappello!

        LA MODISTA: Eccolo! (Glielo porge.)

        TUDA (calzandosi il cappello): A questo veramente ci tengo. Un po’ bizzarro, ma mi pare che s’accordi –

        SARA: – ah sì, benissimo! Mi piace molto.

        TUDA: Invenzione mia! È vero?

        LA MODISTA: Verissimo!

        TUDA: Forse questa falda… No: sta bene così! Per il prezzo bisognerà che lei si metta sul giusto!

        LA MODISTA: Mi sono sempre messa sul giusto!

        TUDA: Oh, questo poi… (Alla Sarta:) E a lei mi raccomando per l’abito! Fra tre giorni. Ma è ormai così semplice!

        LA SARTA: Non dubiti: prendo l’impegno per sabato. A rivederla, signora. (A

        Sara:) A rivederla.

        LA MODISTA: Vengo via anch’io. (Alla Giovane:) Prendi quei cappelli, e mettili subito dentro la scatola. (A Tuda:) Contavo che ne volesse scegliere qualche altro.

        TUDA: No, basta questo per ora.

        LA MODISTA: A rivederla. Riverisco, signora.

        TUDA: A rivederci.

        La Sarta e la Modista accompagnate dalle due Giovani escono dalla porta a destra, portando via tutto.

        TUDA (cambiando espressione subito): Parliamoci tra noi, signora.

        SARA: Con calma, voglio sperare.

        TUDA: Calmissima. Vi siete fatta dare la chiave di qui –

        SARA (pronta, senza lasciarla finire): – era il meno che potessi pretendere da lui.

        TUDA: Con qual diritto? Io qua faccio il mio mestiere di modella.

        SARA: Eh, ma con un lusso…

        TUDA (indicando dietro la tenda): Io dico là: modella. Vuol dire, nuda. Non cercate di deviare il discorso. Gli abiti adesso non c’entrano più.

        SARA: Ne avete fatto uno sfoggio…

        TUDA: Per la vostra soperchieria.

        SARA: Ah! mia? soperchieria? –

        TUDA: – d’entrare qua da padrona, senz’averne il diritto.

        SARA: Entrando, non ho mai sporto il capo, nemmeno per curiosità, a guardare dietro quella tenda.

        TUDA: Oh, per me, quando siete entrata, tanto vale che veniate anche di là: non ho mica da vergognarmi di voi, per come sono fatta, grazie a Dio! – Volete anche questo? Ve lo potrei concedere. Ma io, concedere, capite? Perché qua, questo diritto, l’ho soltanto io.

        SARA: Anche lui, suppongo.

        TUDA: No: soltanto io. Non può obbligarmi nessuno a posare davanti a estranei. Voi, al massimo, vi potevate far dare da lui la chiave di su. Non questa.

        SARA: Ho voluto proprio questa, invece. Dell’altra non so che farmene.

        TUDA: Non avreste più diritto neanche all’altra, del resto.

        SARA: Neanche all’altra?

        TUDA: Neanche. Perché vorrei vedere che direbbe lui, se io – pur coi patti con cui m’ha sposata, sciolta d’ogni obbligo di fedeltà – facessi entrare, su da me, chi mi pare e piace.

        SARA: Giusto. Difatti, su, torno a dirvi, non sono mai salita. Quella di qui me la son fatta dare appunto per i patti con cui v’ha sposata.

        TUDA: Perché neppure da modella io fossi qua padrona? Badate, signora, che se voi mi sfidate, io posso imporgli di non fare entrare nello studio nessuno quando io sono in posa.

        SARA: Provatevi!

        TUDA: Ah sì? Mi sfidate proprio?

        SARA: Vi dico di farlo.

        TUDA: Vi ritenete tanto forte e sicura di lui? Pur sapendo ch’egli m’ha sposata perché vuole a ogni costo finire la sua statua?

        SARA: Non è assolutamente imprescindibile che la finisca con voi.

        TUDA: Se m’ha sposata per questo!

        SARA: No. Veramente, perché non faceste più da modella ad altri, mentre ser­vivate a lui per la sua statua.

        TUDA:E dunque?

        SARA: È diverso. Non potè specialmente soffrire che serviste a Caravani per un’altra Diana che voi gli avevate suggerito. Non è vero?

        TUDA: È vero. (Si volta di scatto a guardarla.) Che intendete dire?

        SARA: Nulla. (Pausa.) A quel povero Caravani, ora, la sua Diana è rimasta a mezzo. Ci s’era appassionato anche lui. Per un certo accordo di toni, dice, che aveva trovato.

        TUDA: Seguitate a sfidarmi?

        SARA: Io? No. Perché?

        TUDA: Saprete che ho invitato Caravani a venirmi a prendere qua.

        SARA: Sì. Me l’ha detto lui stesso.

        TUDA: Ah, lui v’ha detto…? E a che proposito?

        SARA: Oh Dio, ha ricevuto il vostro biglietto, mentre io sedevo nel suo studio per il ritratto che mi sta facendo. S’è voluto consigliare con me, se Sirio non avrebbe veduto male questa sua venuta qua, per prendervi.

        TUDA: Precisamente come voi venite a prendervi lui.

        SARA: Ecco. E difatti io gli ho detto che non ci sarebbe stato nulla di male, al­meno fin tanto che non farà nulla per persuadervi a posargli, per finire quel suo quadro (ch’è molto brutto: Dossi ha ragione!).

        TUDA (riflettendo, fosca): Già. Perché questo sarebbe, difatti, l’unico tradi­mento ch’io potrei fargli.

        SARA: Sicuro: da modella. Non potendo tradirlo come moglie.

        TUDA: Voi dunque venite a cimentare la modella.

        SARA: Non glie lo farete, perché addio casa, allora, addio abiti, addio pellicce!

        TUDA (dopo averla guardata, frenandosi): Eh già, fossi matta!

        SARA: Perderli per il piacere d’andare a far da modella a Caravani…

        TUDA: Ora che ci ho preso un gusto pazzo e non penso più ad altro, si può dire! – Dunque, non avete dissuaso Caravani dal venirmi a prendere?

        SARA: Anzi, tutt’altro!

        TUDA: E gli avrete anche suggerito di persuadermi –

        SARA: – a fargli da modella? Ma no! Inutile. Lo farà lui senza dubbio, questo, senza bisogno di suggerimenti. I quadri brutti, c’è sempre qualcuno che li compra. Pare che un signore cileno gli voglia proprio comprare quello: pec­cato, dice, che non è finito.

        TUDA: Anche la statua là non è finita.

        SARA: Ma è a buon punto, credo.

        TUDA: Voi non l’avete veduta, com’è ora?

        SARA: No. Non la vedo da un pezzo.

        TUDA: Dovreste andare a vederla.

        SARA: L’ha molto cambiata?

        TUDA: Sì, molto. – Credete davvero ch’egli la possa finire senza di me, con altra modella?

        SARA: Tanto più se l’ha molto cambiata, come voi dite.

        TUDA: Ebbene, signora: andate su a dirgli che io farò finire a Caravani il suo quadro per quel signore cileno.

        SARA: Non farete codesta pazzia!

        TUDA: Signora, io v’ho capita, e accetto la vostra sfida: farò, farò da modella a Caravani, procurando di fargli finire quella sua Diana quanto più sconcia­mente mi sarà possibile. Andate a dirglielo. (Si sente picchiare alla porta.)

        SARA: Oh! Forse sarà proprio lui.

        TUDA: Se è lui, vado subito. (Apre la porta; si trova davanti Nono Giuncano e resta:) Ah, lei Maestro?

        SARA (a Giuncano): Impedite che commetta altre pazzie.

        TUDA: Ah, glielo consigliate voi?

        GIUNCANO: Che pazzie?

        SARA: Basta, di scene! – Mi risolvo ad andar su a chiamare Dossi, visto che ancora non discende. (Via per l’uscio a sinistra.)

        TUDA (subito, con impeto): Non guardi, non badi a come sono vestita!

        GIUNCANO (confuso): Perché?

        TUDA: Butto via tutto! via tutto!

        GIUNCANO: Che dici?

        TUDA: Vedo che mi guarda! No, sa! posso tornare com’ero!

        GIUNCANO: Ma perché mi dici questo?

        TUDA: Vuole impedire davvero che la faccia, quest’altra pazzia?

        GIUNCANO: Quale altra? io non so!

        TUDA: Non ha sentito che ha avuto l’impudenza di sconsigliarmelo? proprio lei! Un’altra, un’altra! Sono sul punto di commetterla!

        GIUNCANO: Ah! ma ti tratterrò io!

        TUDA: Sì: lei solo, lei solo può: a patto che sia per lei, sì!

        GIUNCANO: Che cosa, per me?

        TUDA (con intensità di rammarico, quasi piangendo): Ah, se quella volta, qua, si ricorda? mentre parlavamo, non fossero sopravvenute quelle due streghe –

        GIUNCANO (crollando il capo): – proprio quel giorno –

        TUDA: – sì, che lui mi fece la proposta: poco dopo che lei se n’andò –

        GIUNCANO: – ma prima tu – ricordo benissimo – avevi cominciato a parlare di me –

        TUDA: – sì; che m’ero accorta che soffriva –

        GIUNCANO: – mi mettesti da parte, e prendesti a domandarmi di lui, tante cose… –

        TUDA: – perché mi mancò il coraggio… –

        GIUNCANO: – ma sì: naturalissimo!

        TUDA: No no: le giuro che non mi sarei mai aspettata ch’egli m’avrebbe fatto proprio quel giorno la proposta di sposarmi!

        GIUNCANO: Ma io t’avrei detto, come ti dico adesso, che per me tu non avevi, come non hai, altro obbligo che d’essere cattiva –

        TUDA: – cattiva? –

        GIUNCANO: – come dicono tutti –

        TUDA: – io? chi lo dice? –

        GIUNCANO: – tutti quelli che credono che sii stata tu –

        TUDA: – io? a far che? –

        GIUNCANO: – a farmi impazzire –

        TUDA: – dicono così?

        GIUNCANO (con sdegno): Te ne importa?

        TUDA: Perché non è vero! – Sì, m’ero accorta che lei era sempre dov’ero io: se ero qua a posare, la trovavo qua…

        GIUNCANO: Con chi ti scusi: con me?

        TUDA: No: perché è così! Né lei m’aveva detto mai nulla!

        GIUNCANO: Volevi che io ti dicessi? –

        TUDA: L’avesse fatto!

        GIUNCANO: Non te l’avrei mai detto!

        TUDA: Non importa; lo so adesso: è sempre a tempo.

        GIUNCANO: Che sai?

        TUDA: Che lei soffre tanto ancora!

        GIUNCANO: E poi?

        TUDA: Le dico che posso tornare come prima.

        GIUNCANO: Ma io soffro ora per te: a vederti così!

        TUDA: No no, non creda!

        GIUNCANO (con un sorriso amarissimo): Come prima?

        TUDA: Sì: perché non c’è altro in me che rabbia, rabbia, mi creda, nient’altro che rabbia per questa donna che viene qua a pestarmi, a cimentarmi. Bisogna ch’io mi levi, mi levi da questa situazione! Guardi – se lei vuole – giacché è venuto al momento giusto, invece di quello –

        GIUNCANO: – di chi? –

        TUDA: – di Caravani – deve venire a prendermi qua –

        GIUNCANO: – nessuno può impedirti d’andare con chi ti piace! –

        TUDA: – no: nessuno me l’impedisce! Ma io andavo oggi da lui per vendicarmi –

        GIUNCANO: – di che? –

        TUDA: – di quello che mi stanno facendo soffrire! Come modella, come mo­della, vendicarmi: non avrei da vendicarmi d’altro, io! –

        GIUNCANO: – come modella? –

        TUDA: – sì: per sfregio. E buttare via tutto! –

        GIUNCANO: – non intendo… –

        TUDA: – non importa che intenda! – Mi vuol fare un bene?

        GIUNCANO: Io, un bene?

        TUDA: Sì: mi prenda con sé!

        GIUNCANO: Io? che dici?

        TUDA: Potrei, potrei per tutto quello che ha sofferto –

        GIUNCANO: – un po’ di pietà? – ma abbila per te, la pietà! –

        TUDA: – appunto: per me! Glielo dico per me! – A lei, se potessi, per tutto quello che ha sofferto –

        GIUNCANO: – ma lascia star me! –

        TUDA: – vorrei poter dare, veramente, una gioja –

        GIUNCANO: – tu? –

        TUDA: – lo so: non sono niente… –

        GIUNCANO: – ti pare di essere niente – così viva?

        TUDA (con brama esasperata): – già – ma per chi – viva?

        GIUNCANO: Lo vedi? Hai bisogno d’esser viva per qualcuno!

        TUDA: No, no! Per lei! Potrei, potrei ancora!

        GIUNCANO: Ma che per me! Per nessuno! Per te stessa, viva!

        TUDA: E che vale?

        GIUNCANO: Per questo niente che ti credi! Fuori, tutta, sempre, in ciò che fai: senza vederti – come vivi senza saperlo – con tutto ciò che ti passa per la mente –

        TUDA: – se sapesse che cose… –

        GIUNCANO: – non quelle che pensi! dico le cose più lontane, quelle che si ri­chiamano in te, senza che tu sappi come; e tu le segui, appena ne cogli il ri­chiamo. Ecco, segui quelle: volubile come loro. Finché il tuo corpo può se­guirle! Non sarà per molto, bada! Mi muovo anch’io – sì, dentro – sento, sento ancora, sento con tutte le forze dell’anima: ma io, qua, ora, – vedi? – ho questo corpo, io, ora – che odio –

        TUDA (quasi sgomenta): – perché? –

        GIUNCANO: – non mi ci sono mai riconosciuto! –

        TUDA: – come! – e non è lei? –

        GIUNCANO – no – quello che vedono gli altri – un estraneo – Tu non puoi sa­pere. – Non me lo sono fatto io da me, questo corpo. – M’è venuto da uno che sentii sempre estraneo a me –

        TUDA: – chi? –

        GIUNCANO: – uno: mio padre! –

        TUDA: – estraneo? –

        GIUNCANO: – è orribile, sì! Invecchia, e diviene sempre più suo – come più la faccia s’incassa e più si disegnano le rughe. – E me ne cresce l’odio. – Men­tre tu vivi senza pensarti, tu non sai come sei, come ti vedono gli altri, da fuori –

        TUDA (ingenuamente, aprendo le braccia per mostrarsi): – come? così, mi ve­dono! –

        GIUNCANO: – ah, tu ne puoi comunque esser lieta! – Ma guaj se a me si rap­presenta l’immagine di questo estraneo – d’uno che non sono io – che tante volte mi pare di portarmi appresso come un mendico stanco, e cui debbo fare, per quanto l’odii, l’elemosina di un po’ di pietà – io sì – di nascosto: oh, lagrime avvelenate da questa amarezza disperata e feroce. – Ma tu no: tu piglialo a calci –

        TUDA: – io? –

        GIUNCANO: – tu, sì – non voglio che batta alla porta di nessuno; meno che mai alla tua: vecchia carogna da seppellire, e calcarci sopra la terra – così!

        TUDA: Oh Dio, no, che dice?

        GIUNCANO: Me lo fai dire tu !

        TUDA: Perché voglio…?

        GIUNCANO: La vita non mi deve riprendere! non mi deve riprendere!

        TUDA: Se già l’ha ripreso!

        GIUNCANO: Non voglio! non voglio!

        TUDA: Non sta a noi…

        GIUNCANO (con forza): No, sta a noi, quando non si deve! A qualunque costo: quando non si deve.

        TUDA: E se non si può?

        GIUNCANO: Se non si può, si fa altrimenti! (Pausa.)

        TUDA: È appunto questo, vede? Mi trattenne questo, allora. Il timore che po­tesse essere per lei un tormento di più.

        GIUNCANO: Ma per forza! – Era finita per me, la vita, da tanto tempo: non m’importava più di nulla. Vuoto; spento. L’avevo spesa tutta – pazzo – a fare statue! – Perché ti figuri che le abbia spezzate, fracassate, io?

        TUDA: Ah, per questo?

        GIUNCANO: Quando me le vidi davanti – là, immobili, perfette – e di fronte ad esse vidi il mio corpo in cui la vita riprendeva a muoversi – logoro, vecchio… Quest’orrore della forma – guarda: (indica una delle statue) se è lì, statua, arte –

        TUDA: – non si muove più! –

        GIUNCANO: – fa’ che si muova – corpo, vita – (s’afferra il corpo) – eccola qua – ti s’invecchia!

        TUDA (con sorpresa quasi ingenua): Oh, l’ho detto io pure, sa? della statua e di me che mi sono sciupata…

        GIUNCANO: Presi in trappola – io – tu – tutti quanti! –

        TUDA: – la vita? –

        GIUNCANO: – chiamala vita! – Bambina, tu ti movevi di più – guizzavi – ora un po’ meno – e sempre meno, sempre meno – finché – hai creduto di vivere? – hai finito di morire!

        TUDA: È vero. Ma allora fin che si può…

        GIUNCANO: Muoversi, non fermarsi mai, non fissarsi in nessun sentimento…

        TUDA: Ma lei…

        GIUNCANO (cupo, con improvviso freno): Sono così: con gli occhi aperti che non vorrebbero più sapere quello che vedono: le cose come sono, che por­tano tutta la pena d’essere come sono, e di non potere più essere altrimenti. Io per te, un altro: come dovrei essere – neppure quello che fui, quando le donne… (S’interrompe.) Se sapessi che specie di ribrezzo provo, ora che vedo in me mio padre: sì, non so, come se avessero amato lui, non me: lui così – anche allora – quand’ero giovane. – Eh, le sapeva amare, lui, le donne; ne morì disperata mia madre! – Si vede che – questo corpo – quest’a­spetto – le donne… Non te lo so dire! So, so ora, che non ero io – e che anche tutte quelle che amai dovettero a un certo punto accorgersene e si al­lontanarono da me, tutte, perché sotto questo corpo scoprirono me, diverso. – È più, più che ribrezzo: è odio, proprio odio. – Mi sembrerebbe di contaminare in te, così bella, la vita, con mani non mie. (Pausa.) Lasciami, lasciami andare.

        Esce. Altra pausa lunga. Tuda rimane assorta a pensare. A un certo punto, perplessa, siede. Poi, come se avesse deciso di non andare più da Caravani, si leva il cappello e lo tiene sulle ginocchia. Dalla porta rimasta socchiusa, entra Caravani, col cappello in capo e il soprabito ripiegato sul braccio. Vede Tuda che gli volta le spalle, ferma in quell’atteggiamento, e, dopo aver guardato in giro per accertarsi che nello studio non c’è altri, le si accosta in punta di piedi, sporge il capo e fa per baciarla su una guancia. Tuda scatta in piedi a tempo e gli dà uno schiaffo. Caravani, istintivamente, apre le brac­cia e lascia cadere a terra il soprabito.

        CARAVANI (allo schiaffo): Oh!

        TUDA: Non arrischiarti a toccarmi, perdio!

        CARAVANI: Ma come! M’hai scritto di venire a prenderti !

        TUDA: Sì: ma non per questo! Levatelo dalla testa! – È vero, di’, che ti vo­gliono comprare quella sudiceria di quadro?

        CARAVANI: Che quadro?

        TUDA: La «Diana». Quello che facevi con me. È vero, sì o no?

        CARAVANI: Sì, è vero. Chi te l’ha detto?

        TUDA: È anche un po’ mio, quel quadro.

        CARAVANI: Sì. E ti prego di credere che non è niente affatto una sudiceria.

        TUDA: Va bene. Se non è, faremo ora tutto il possibile perché diventi!

        CARAVANI (sorpreso): Come?

        TUDA: Lascia fare a me!

        CARAVANI: Ma che vorresti farmi da modella?

        TUDA: Da modella! Da modella! Ma a patto che sia brutto, più brutto di te; brutto, brutto: una vera sconcezza! (Raccatta il soprabito da terra e glielo butta in faccia.) Prendi! Andiamo!

        CARAVANI: Ma, scusa; hai pensato… – che ne dirà lui?

        TUDA: Che t’importa sapere ciò che lui ne dirà?

        CARAVANI: Ho capito, sai?

        TUDA: Che hai capito?

        CARAVANI: Perché lo fai, e perché vuoi che sia brutto!

        TUDA: Ti farò vendere il quadro: non ti piace?

        CARAVANI: Sei magnifica! Io veramente ero venuto per…

        TUDA: Guai a te, ripeto, se mi tocchi! Vengo soltanto per farti da modella. (E poiché Caravani si volta a guardarla di nuovo, maravigliato e sorridente, in­dicandogli la porta) – Via! Andiamo! E s’avvia di furia. Caravani, stordito, la segue.

Tela.

1927 – Diana e la Tuda – Tragedia in tre atti
Premessa e struttura
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo

Atto Terzo

En Español – Diana y Tuda

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