Capannetta – Audio lettura

Legge Giuseppe Tizza
«Era uno spettacolo strano la collera pazza di quell’uomo. Un riso frenetico scattò dalle sue labbra e si perde in un rantolo strozzato. – Non sapea più quel che si faceva… E fuori di sé appiccò il fuoco alla capannetta come per di­struggere ogni cosa che gli parlava di sua figlia.»

Prima pubblicazione: Gazzetta del Popolo della Domenica, Torino 1 giugno 1884.

Capannetta
Vincent Van Gogh, Contadino Che Brucia Sterpaglie, 1883

Capannetta

Voce di Giuseppe Tizza

******

             Un’alba come mai fu vista.

             Una bimba venne fuori della nera capannetta, coi capelli arruffati sulla fronte e con un fazzoletto rosso-sbiadito in testa.

             Mentre andava bottonando la dimessa vesticciola, sbadigliava, ancora abbin­dolata dal sonno, e guardava: guardava lontano, con gli occhi sbarrati come se nulla vedesse.

             In fondo, in fondo, una lunga striscia di rosso infuocato s’intrecciava in modo bizzarro col verde-smeraldo degli alberi, che a lunga distesa lontana­mente si perdevano.

             Tutto il cielo era seminato di nuvolette d’un giallo croceo, acceso.

             La bimba andava sbadatamente, ed ecco… diradandosi a poco a poco una piccola collina che a destra s’innalzava le si sciorina davanti allo sguardo l’immensità delle acque del mare.

             La bimba parve colpita, commossa dinanzi a quella scena, e stette a guardar le barchette che volavano su l’onde, tinte d’un giallo pallido.

             Era tutto silenzio. – Aliava ancora la dolce brezzolina della notte, che faceva rabbrividire il mare, e s’innalzava lento, lento un blando profumo di terra.

             Poco dopo la bimba si volse – vagò per quell’incerto chiarore, e giunta sul­l’alto del greppo, si sedette.

             Guardò distratta la valle verdeggiante, che le rideva di sotto, ed aveva co­minciato a cantilenare una delicata canzonetta.

             Ma, ad un tratto, come colpita da un’idea, smise di cantare, e con quanta voce aveva in gola, gridò:

             – Zi’ Jeli! Oh zi’ Jee…

             E una voce grossolana rispose da la valle:

             – Ehh…

             – Salite su… che il padrone vi vuole!…

             Frattanto la bimba ritornava verso la capannetta, a capo basso. – Jeli era sa­lito ancora sonnacchioso con la giacca sull’omero sinistro e la pipa in bocca – pipa, che sempre lasciava dormire tra i denti.

             Appena entrato salutò papà Camillo, mentre Malia, la figlia maggiore del ca­staldo, gli piantò in faccia due occhi come saette, da bucare un macigno.

             Jeli rispose allo sguardo.

             Era papà Camillo un mozzicone di uomo, grosso come una botte.

             Malia all’incontro aveva il volto d’una dama di Paolo Veronese, e negli occhi ci si leggeva chiaramente la beata semplicità del suo cuore.

             – Senti, Jeli, – disse Papà Camillo, – prepara delle frutta, che domani ver­ranno i signori di città. – Buoni, sai!… se no.. Come è vero Dio!…

             – Oh! sempre la stessa storia, – rispose Jeli, – e sapete voi che queste le son cose da dire… e poi… a me!…

             – Intanto, – riprese papà Camillo – e prendendolo pel braccio lo portò fuori della capanna – intanto…, se un’altra volta ti viene il ticchio di… Basta. Tu mi capisci…

             Jeli rimase come interdetto.

             Papà Camillo scese per la valle.

             Non si potea dar di meglio e il giovane saltò alla capannetta.

             – Siamo perduti! – fece Malia.

             – Sciocca! – disse Jeli, – se non ci riesco con le buone…

             – Oh! Jeli, Jeli che vuoi tu dire?

             – Come, non mi comprendi? Fuggiremo.

             – Fuggiremo? – disse la fanciulla, sorpresa.

             – O…, – soggiunse Jeli – e si mise la falce lucente attorno al collo…

             – Mio Dio! – esclamò Malia, come se un brivido le corresse per tutto il corpo.

             – A questa sera, bada, a sette ore! – disse Jeli e sparì. La fanciulla mandò un grido.

*******

             Abbuiava.

             L’ora stabilita si avvicinava, e Malia pallida, pallida, con le labbra come due foglioline di rosa secca, stava seduta dinanzi alla porta.

             Guardava il piano verdeggiante che si inondava di buio – e quando lontana­mente la squilla del villaggio suonò l’Ave, pregò anche lei.

             E quel silenzio solenne, parve divina preghiera di Natura!

             Dopo lungo aspettare Jeli venne. Questa volta avea lasciato la pipa, ed era un poco acceso e molto risoluto.

             – Così presto? – disse Malia tremante.

             – Un quarto prima, un quarto dopo, è sempre tempo guadagnato – rispose Jeli.

             –Ma…

             – Santo diavolo! mi pare tempo di finirla con questi ma… Non sai tu, cuor mio, di che si tratta?…

             – Lo so bene! lo so tanto bene… – s’affrettò a rispondere Malia, che non po­teva adattarsi a quella sconsigliata risoluzione.

             Frattanto un fischio lontano avvertì Jeli che la vettura era pronta.

             – Su via! – disse; – Maliella mia, coraggio! È la gioja che ci chiama… Malia mandò un grido – Mi la prese per il braccio, e di corsa… Come pose il piede nella carretta – A tutta furia! – gridò. I due giovani si strinsero e si baciarono con libertà per la prima volta.

*******

             A nove ore papà Camillo ritornò dalla valle e fischiò potentemente. Venne la bimba in fretta e prima che fosse giunta:

             – Dove è Jeli? – le domandò; – hai tu veduto Jelì?

             – Padrone!… padrone!… – rispose quella con voce ansante, soffocata.

             – Che cosa vuoi tu dirmi? Mummietta! – ruggì papà Camillo.

             – Jeli… è fuggito… con Maliella…

             E un suono rauco… selvaggio fuggì dalla strozza di papà Camillo.

             Corse… volò alla capanna: prese lo schioppo e fece fuoco in aria. La fan­ciulla guardava tramortita.

             Era uno spettacolo strano la collera pazza di quell’uomo. Un riso frenetico scattò dalle sue labbra e si perde in un rantolo strozzato. – Non sapea più quel che si faceva… E fuori di sé appiccò il fuoco alla capannetta come per di­struggere ogni cosa che gli parlava di sua figlia. – Poi di corsa furiosa, con lo schioppo in mano, via per il viale, dove forse sperava trovare gli amanti.

*******

             Per la lugubre sera salivano al cielo sanguigne quelle lingue di fuoco…

             Fumava la nera capannetta, fumava crepitando, come se col lento scoppiettio volesse salutare la bimba, che pallida, inorridita, con gli occhi fissi la guar­dava.

             Pareva che tutti i suoi pensieri seguissero la colonna di fumo, che s’innal­zava dalla sua modesta dimora…

             Fumava la nera capannetta, fumava crepitando, e la bimba stette muta a ripo­sar gli sguardi sulla cenere cupa.

Capannetta – Audio lettura 1 – Legge Giuseppe Tizza
Capannetta – Audio lettura 2 – Legge Gaetano Marino
Capannetta – Audio lettura 3 – Legge Valter Zanardi

««« Indice Audio letture

Se vuoi contribuire, invia il tuo materiale, specificando se e come vuoi essere citato a
collabora@pirandelloweb.com

Shakespeare Italia

Skip to content