1933 – Quando si è qualcuno – Rappresentazione in tre atti

Dopo aver passato l’intera vita cercando di diventare qualcuno, l’uomo non può più cancellare le maschere, le etichette, le relazioni che gli si sono attribuite. Ed è per questo che l’uomo anziano è “morto”, perchè non ha più la possibilità di cambiare, di essere libero, di essere un qualcosa di fluido, prerogative queste della vita e della giovinezza.

STESURA settembre – ottobre 1932
PRIMA RAPPRESENTAZIONE 7 Novembre 1933 – San Remo, Teatro del Casino Municipale, Compagnia Marta Abba (prima  rappresentazione assoluta al Teatro dell’Odéon di Buenos Aires il 20 settembre 1933 con traduzione in spagnolo di Homero Guglielmini col titolo Cuando se es alguien).

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Quando si è qualcuno
Pirandello e Marta Abba. Immagine dal Web.

Premessa

        Un testo praticamente inedito per le scene, nonostante abbia la peculiarità (che in teoria dovrebbe risultare accattivante) di essere un’opera autobiografica, che in maniera scoperta (e quasi spudorata) dice l’amore di Pirandello per la sua interprete. Frasi  intere di una lettera di Pirandello a Marta Abba del 1931 diventano battute di «Quando si è Qualcuno».

        Fu composta nel ’32; Pirandello in una lettera alla figlia Lietta dichiarò dì tenere moltissimo alla commedia, mostrandosi dispiaciuto delle difficoltà di rappresentazione incontrate in Italia; infatti la prima rappresentazione assoluta avvenne, con il titolo Cuando se es alguien, nel settembre del ’33, a Buenos Ayres. La prima italiana ebbe luogo a San Remo nel novembre del ’33.

        Pirandello con lucida disperazione vi traccia il suo stesso dramma; il dramma di un uomo, ormai molto celebre, imbalsamato dalla sua stessa fama. Tutti lo vedono in una fisionomia rigida nella quale si sente come raggelato. Eppure il suo cuore continua a vivere, e il maturo qualcuno si innamora della giovanissima Veroccia, un’allegra ragazza dai capelli rossi, che, ricambian­dolo, cerca di disfarsi dell’ingombrante simulacro per ridargli gioia di vivere e vivacità di sentire.

        Animato da questo sentimento, qualcuno compone delle bellissime poesie, pubblicate però sotto la falsa identità di un giovane e inesistente poeta. Con profonda amarezza, alla fine, il personaggio rientra nella sua grigia e macabra maschera di cera, sospinto non solo da quelli che gli stanno intorno e che lo inchiodano alla forma ma, e qui è il passaggio più disperato del dramma, da se stesso, dalla convinzione che sarebbe un egoismo per lui ormai vecchio legare a sé una giovanissima vita: «Tu non l’hai compreso questo ritegno in me del pudore d’esser vecchio, per te giovine (…) Eh, tu sei viva e giovine, creatura mia; ecco, ancora così viva, che già sei mutata – puoi mutare momento per momento, e io no, io non più», dice qualcuno tra sé, rivolgendosi a Veroccia. E allora si dispone perfettamente nel calco del suo personaggio, diventando, nell’immobilità assoluta, come di pietra, la statua irrigidita di se stesso.

Analisi
“Quando si è Qualcuno (e si è repressi…)” di Roberto Alonge 

Da danilovitale.com (non più attivo)

Da ormai quarant’anni Pirandello fa parte, in maniera persino martellante, dei cartelloni dei teatri italiani, pubblici e privati, stabili e in-stabili. E tuttavia non c’è curiosità negli italici uomini di spettacolo (e nemmeno negli studiosi italiani, a dire il vero). Poco studiati e poco rappresentati sono infatti i testi dell’ultima stagione pirandelliana, quella che si svolge sotto la costellazione di Marta Abba, e, fra questi, a Quando si è qualcuno tocca la palma del disinteresse.

Un testo praticamente inedito per le scene, nonostante abbia la peculiarità (che in teoria dovrebbe risultare accattivante) di essere un’opera autobiografica, che in maniera scoperta (e quasi spudorata) dice l’amore di Pirandello per la sua interprete. Ho dimostrato che frasi  intere di una lettera di Pirandello a Marta Abba del 1931 diventano battute di Quando si è Qualcuno, scritto nel settembre-ottobre del ’32.

Come dire che Pirandello isola e mette da parte frammenti del suo epistolario d’amore che torneranno buoni per i testi teatrali ancora da scrivere. L’amore scoppia nel 1925, quando Pirandello si inventa capocomico del Teatro d’Arte di Roma, e Marta è la sua primattrice. Pirandello ha 58 anni, e Marta ne ha 25.

Da sei anni Pirandello ha chiuso in manicomio sua moglie, pazza al punto di immaginare una relazione incestuosa fra il marito e la figlia Lietta. Marta ha tre anni meno di Lietta. E’ anche lei, e maggior ragione, figura filiale, e Pirandello è da sempre sotto il segno del fantasma dell’incesto, come ha mostrato genialmente Massimo Castri, sin da uno dei suoi primi spettacoli pirandelliani, sin da quel Così è (se vi pare) del 1979, che parve alla critica del tempo una provocazione inaudita, e che invece colpiva perfettamente nel segno). Certo, è curioso che nelle lettere Pirandello chiami ogni tanto Marta con l’appellativo di “figlia mia“. Ed è parimenti curioso che, nell’inventare il plot di Quando si è Qualcuno, abbia bisogno di immaginare una relazione fra Qualcuno e la sorella della cognata di un suo nipote. Come dire che, in un modo o nell’altro, è sempre   un pocolino di rapporto incestuoso che dà pepe alla situazione…

Amore contrastato e infelice, quello fra Pirandello e Marta, come sono sempre i legami fantasmaticamente incestuosi. Forse ci fu una notte d’amore, una sola, contrastata e infelice essa pure, nell’ottobre del ’25, la misteriosa “atroce notte passata a Como”, come scrive Pirandello in una lettera a Marta. Secondo Benito Orlani (che ha curato l’epistolario di Pirandello all’attrice), Marta si offrì, e fu il drammaturgo a sottrarsi. Ma all’indomani i ruoli si rovesciano: Pirandello la insegue, ed è Marta a fuggire. Per tre anni sono però costretti a stare insieme, legati all’esperienza del Teatro d’Arte, che Mussolini finanzia, ma non abbastanza da impedirne la chiusura, nel 1928. Pirandello sa bene che solo il teatro può unirli. Nel teatro è nato l’amore, e nel teatro può riavvitarsi. Marta tiene Pirandello a distanza; nelle lettere gli dà del lei, mentre lui le dà del tu.

Ma la speranza, si sa,  è l’ultima a morire. Pirandello ha fatto un sogno: guadagnare con il cinema un sacco di soldi, da poter mettere in piedi una compagnia Pirandello-Abba senza più bisogno delle sovvenzioni di Mussolini.

Pirandello scriverà sceneggiature per il cinema internazionale, e forse anche Marta diventerà una stella cinematografica. Il sogno è contagioso, e Pirandello, nell’ottobre del ’28, parte per Berlino (la capitale europea del cinema), portandosi dietro Marta (che si porta dietro la sorella Cele, a ogni buon conto…).

Per cinque mesi il Maestro e Marta vivono a Berlino in due stanze contigue (Marta e la sorella in una; Pirandello nell’altra), aspettando di firmare uno straccio di contratto, a conclusione di tante trattative, che però non arriva. Nel marzo del ’29 Marta, frustrata, torna in Italia. Pirandello persiste nel suo sogno (che durerà fino alla morte, nel ’36): sarà lui a guadagnare comunque tanti di quei soldi da poter pagare il Teatro di Marta Abba. Così Pirandello resta a vivere a Berlino; poi vivrà per un po’ a Parigi.

E’ il suo esilio volontario, la sua protesta contro il regime fascista, che non lo ha valorizzato sufficientemente.

Ma anche la sua protesta segreta contro Marta, che non lo vuole vicino a sé. Sta all’estero perché, in Italia, non potrebbe stare accanto a lei. Ma sta all’estero anche per riuscire ad attrarla, almeno sui tempi lunghi. Esalta l’aria libera dell’estero per affascinarla. La invita con insistenza a studiare le lingue, soprattutto l’inglese, per poter recitare sulle scene del mondo. L’Italia non merita l’arte drammaturgica di  Pirandello, ma non merita nemmeno l’arte attorica di Marta Abba. Marta è partita da Berlino da un anno, e Pirandello le scrive, il 20 marzo del 1930:
“Qua pare che le cose si mettano molto bene. L’interesse per le cose mie cresce sempre più. Bisogna far grandi danari. Lavorare, lavorare… I giganti della montagna e poi un’altra diavoleria, che già mi balena… Una donna rossa, di sogno… la felicità… con un poeta, pupazzo di pezza, che ha una moglie pazza… che lo affoga in un pozzo. Staremo a vedere! La mia fantasia non è mai stata tanto fertile… Ma l’anima mia è in un’ansia terribile… come in preda a un vento che non so dove mi debba portare… Al porto della felicità? Ma quella moglie pazza… Forse la mia morte è vicina.”

E’ il primo accenno che l’epistolario ci offre della genesi di Quando si è Qualcuno. Manca il titolo, ma c’è il “poeta”, Qualcuno, definito “di pezza” (e nell’opera teatrale  è il poeta ad autodefinirsi “fantoccio”); e c’è la “donna rossa”, cioè Veroccia, che la didascalia dell’opera presenta  “rossa di capelli, nasino ritto, occhi sfavillanti, tutta un fremito”, chiarissina trasfigurazione di Marta, anche lei rossa di capelli. Ma si noti la definizione della commedia, “un’altra diavoleria”. In una lettera del 6 aprile 1930 compare il titolo: “Ne ho pensato uno nuovo [di lavoro] che può aver per titolo Quando si è qualcuno. Cosa strana! Ho pensato il titolo in tedesco, la prima volta: Wenn man jemand ist“. Ma poi, due giorni dopo, in una lettera dell’8 aprile 1930: “I giganti della montagna sono qua, a mezzo, sulla mia scrivania ingombra di carte. M’è entrato ora nella mente il diavolo di Quando si è Qualcuno…“.

Ritroviamo lo stesso termine: diavoleria e diavolo, a connotare   un’opera sfrontatamente autobiografica. Si rifletta sull’accenno alla “moglie pazza” della prima citazione, che non viene recepita veramente in Quando si è Qualcuno, ma che rimanda in modo del tutto trasparente alla moglie di Pirandello. Il fatto è che c’è un risvolto diabolico in Pirandello stesso, per la sua capacità di guardare dentro le caverne dell’inconscio. Lo dice lui stesso, in un’altra lettera alla Abba, da Parigi, il 27 gennaio 1931, mentre parla ancora di Quando si è Qualcuno (rimasto però sempre allo stato di abbozzo): “Io ho per mia disgrazia uno sguardo che penetra e due occhi da diavolo. Tu me li conosci bene”.

Nell’intimità dell’epistolario Pirandello riesce a dire delle cose ardite, in qualche modo davvero impudiche. Per esempio già in questa del 15 aprile 1930, da Berlino, proprio nel torno di giorni in cui nasce e si solidifica l’idea di Quando si è Qualcuno: “Tutti i nemici si morderanno le dita. Il più giovane di tutti sono sempre io, sono sempre io, e finché campo il più giovane di tutti sarò sempre io, perché Dio me l’ha messa nel sangue e nel cuore e nel cervello questa eterna giovinezza VERA!”. Il maiuscolo è dell’autore, e testimonia la fase di grande eccitazione del drammaturgo.

Il tema dell’artista vecchio che però è giovane lo ritroviamo pari pari nell’intreccio di Quando si è Qualcuno. Così grida il protagonista ai suoi giovani interlocutori: “Non posso essere – io – più giovine di tutti voi, e aver sentito in me ciò che in voi s’agita ancora inespresso – sentito! sentito! – tanto da esprimerlo prima di voi – e perché nuovo, altrimenti da come ho fatto finora?”. E’ la vicinanza del giovane partner femminile  che porta allo scoperto ed esalta la dimensione giovanilistica della personalità di Qualcuno (con una ovvia  trascrizione diretta del rapporto Pirandello-Abba).

Ho detto che l’idea della commedia germina nella fantasia pirandelliana già nel marzo del 1930, ma il drammaturgo si accinge a stenderla solo nel settembre-ottobre del 1932, cioè dopo che ha chiuso l’appartamento parigino (nel maggio del ’32), accettando di ritornare a vivere in famiglia, a Roma, con i figli. Ritorno all’ordine; rinuncia, almeno inconscia, al sogno di vivere con Marta. Ma Pirandello fa un esame di coscienza spietato, riconosce il suo errore capitale; ritorna alla atroce notte di Como: Marta si è offerta, ed è stato lui ad avere paura (forse semplicemente paura del fantasma dell’incesto, nella misura in cui sentiva Marta come figlia-amante). Di qui lo slancio appassionato di Veroccia che urla al suo uomo: “Io che non ti mancavo? Io che m’ero data a te tutta – tutta – e tu lo sai – tu che non hai voluto, vile… – tu lo sai che m’ero data a te tutta, e non hai avuto il coraggio di prendermi, di prenderti la vita ch’io t’ho voluto dare – per te, per te che soffrivi di non averne nessuna, di non poter più nemmeno sperare di averne”. Forse, davvero, Quando si è Qualcuno svela il mistero della atroce notte di Como, come ha ipotizzato Benito Ortolani.

Note di regia
…Qualcuno secondo Giorgio Albertazzi – 2003

Da danilovitale.com (non più attivo)

Il “Qualcuno del titolo” è un grande scrittore, celebrato e ricelebrato, che secondo alcuni esponenti della giovane critica letteraria sarebbe ormai da imbalsamare (“un fantoccio da lasciare lì, posato a sedere davanti alla scrivania”).

Ma l’amore per la giovane Veroccia (fantasma di Marta Abba?) spinge il grande scrittore a reinventarsi in un modo clamoroso, come dire che l’amore è capace di vincere sull’età, sui luoghi comuni, sul deja vu.

Il vecchio poeta diventa un giovane Werther: il plot non è tutto qui, naturalmente, ma questo è il punto di partenza essenziale.
Lui si fa da Qualcuno, Delago, per essere amato da lei (cioè si fa giovane, con il taglio di capelli, con il gioco). Poi, in seguito a un equivoco, una burla che è quasi un “giallo”, ritorna Qualcuno e sa di non essere amato come tale, perchè non è persona: è un fantoccio, è un monumento, è inerzia, è mancanza di desiderio…”.

“Albertazzi, lei deve fare Quando si è Qualcuno”.
Questa è la frase con la quale mi accoglieva Marta Abba ogni volta che andavo a trovarla per parlare di Come tu mi vuoi, che avrei diretto nel 1967 con Anna Proclemer come protagonista.

E lei, sempre, implacabile:

“Albertazzi, lei deve fare Quando si è Qualcuno!”.

All’epoca, non avevo letto il testo, per cui rispondevo genericamente che sì, forse, ci avrei pensato.

L’ho letto molto più tardi (leggere Pirandello mi costa sempre fatica, meno recitarlo), esattamente quando abbiamo deciso di metterlo in scena con la regia di Massimo Castri al Teatro di Roma, come spettacolo di chiusura a coronamento di una stagione pirandelliana del nostro Stabile, cominciata con i Quaderni di Serafino Gubbio operatore per la regia di Andrea Liberovici, circa un anno fa.
C’è chi dice che in questi ultimi tempi mi dedico troppo (Adriano, Peters) ad essere un vecchio sulla scena. Il fatto è che “Qualcuno” non è detto che sia vecchio: è celebre, osannato e “giubilato”. Certo non è un ragazzo. E certo l’amore non condiviso o corrisposto in tempi diversi è, credo, uno dei temi di fondo del teatro di Pirandello. In questo caso poi, si tratta di uno struggente amore represso di un uomo maturo per una giovane e fatale creatura.

Non ho mai avuto un rapporto disinvolto con Pirandello: la forma del suo teatro, così chiusa nei punti e virgola, lineette, così scientificamente pensata, artificiosa, mi sembra un ostacolo, nel senso che le freccette vanno tutte in una direzione.
Il percorso, insomma, è obbligato. Sfuggire alla “trappola” non è facile.

Giorgio Albertazzi, Dicembre 2003

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