Il giuoco delle parti – Personaggi, Atto primo

Premessa e articolo di Antonio Gramsci
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

En Español – Cada cual en su papel

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Il giuoco delle parti - Atto I
Federico Collino, Giulio Stival, Lilla Brignone, Roberto Villa, Il giuoco delle parti, 1944. Immagine dal Web.

Personaggi

Leone Gala
Silia, sua moglie
Guido Venanzi
Il dottor Spiga
Filippo, detto Socrate, servo di Leone Gala
Barelli
Il marchesino Miglioriti
Primo Signore ubriaco
Secondo Signore ubriaco
Terzo Signore ubriaco
Clara, cameriera di Silia
Signori e Signore dei piani di sotto e di sopra

In una città qualunque. Oggi.

1918
Il giuoco delle parti
Atto Primo

        Salotto in casa di Silia Gala, bizzarramente addobbato. In fondo, grande porta vetrata olandese, di vetri rossi scompartiti su intelajatura bianca che s’apre su due bande, scorrendo di qua e di là entro la parete. Aperta, lascia scorgere di là il salotto da pranzo. – La comune è nella parete di sinistra, dove è anche una finestra. Nella parete di destra è un camino; sulla mensola di esso, un orologio di bronzo. Presso al camino, un uscio.

        Scena prima

        Silia Gala, Guido Venanzi.

        Al levarsi della tela, la vetrata in fondo è aperta. Guido Venanzi, in abito da sera, è nel salotto da pranzo, in piedi presso la tavola, su cui si scorge una rosoliera d’argento con varie bottiglie entro gli anelli in fila. Silia, in una lieve vestaglia scollata, è nel salotto; quasi aggruppata su una poltrona, as­sorta.

        GUIDO (offrendo dal salotto da pranzo): «Chartreuse»? (Aspetta la risposta. E poiché Silia non risponde:) «Anisette»? (e. s.) «Cognac»? (e. s.) Insomma? a mio gusto? (Versa un bicchierino d’anisette e viene a porgerlo a Silia.) Ecco.

        SILIA (lo lascia aspettare senza scomporsi dal suo atteggiamento: poi, scrol­landosi per il fastidio di vederselo lì accanto con quel bicchierino in mano): Ufff!

        GUIDO (subito, allo sbuffo, bevendo lui d’un tratto il bicchierino e poi inchi­nandosi): E grazie dell’incomodo! Non ne avevo proprio nessuna voglia, per me. (Va a posare il bicchierino di là – siede – si volta a guardar Silia che s’è ricomposta nel primo atteggiamento, e dice:) Potessi almeno sapere che cos’hai!

        SILIA: Se tu, in questo momento, mi credi qua…

        GUIDO: Ah! non sei qua? Sei fuori?

        SILIA (smaniosamente): Fuori, sì! fuori! fuori!

        GUIDO (piano, dopo una pausa, come a se stesso): E dunque io qua sono solo. Benissimo. Potrei, come un ladro, approfittarmi di quello che vi trovo. (Si alza, finge di cercare intorno, le s’appressa come se non la vedesse; poi, fermandosi, con finta meraviglia:) Oh! guarda… e che cos’è? Il tuo corpo la­sciato qua, su questa poltrona? Ah, me lo prendo subito! (Fa per abbrac­ciarla.)

        SILIA (balzando in piedi e respingendolo): Finiscila! T’ho detto no! no! no!

        GUIDO: Peccato! Sei già tornata a casa. Ha ragione tuo marito quando dice che il nostro fuori è sempre dentro di noi.

        SILIA: È la quarta o quinta volta, ti faccio osservare, che mi parli di lui, questa sera.

        GUIDO: Mi pare che sia l’unico mezzo che riesca a farmi parlare con te.

        SILIA: No, caro: a rèndermiti più insoffribile!

        GUIDO: Grazie.

        SILIA (dopo una lunga pausa, con un sospiro, come se parlasse tanto lontana da sé): Lo vedevo così bene!

        GUIDO: Che cosa?

        SILIA: Forse l’ho letto… Ma così preciso… tutto… Con quel sorriso per niente…

        GUIDO: Chi?

        SILIA: Mentre faceva… non so… le mani non gliele vedevo… Ma è un mestiere che fanno lì le donne, mentre gli uomini pescano. Vicino l’Islanda, sì… certe isolette.

        GUIDO: Ti sognavi… l’Islanda?

        SILIA: Mah!… Vado così… vado così! (Muove le dita, per significare, in aria, con la fantasia. Pausa – poi di nuovo smaniosamente:) Deve finire! deve fi­nire! (Quasi aggressiva:) Capisci che così non può più durare?

        GUIDO: Dici per me?

        SILIA: Dico per me!

        GUIDO: Già, ma… per te vuol dire per me?

        SILIA (con fastidio): Oh Dio! Tu vedi sempre piccolo. La tua persona. Te, in ballo. Tutto circoscritto, definito. Per te, scommetto, la geografia è ancora il libro su cui da ragazzo la studiavi.

        GUIDO (stordito): La geografia?

        SILIA: Nomi da imparare a memoria, sì, per la lezione che il professore t’asse­gnava!

        GUIDO: Ah già, che supplizio!

        SILIA: Ma fiumi, montagne, paesi, isole, continenti, ci sono davvero, sai?

        GUIDO: Eh… grazie…

        SILIA: Mentre noi siamo qua, in questa stanza – ci sono, e ci si vive!

        GUIDO (come se tutto a un tratto gli si facesse lume): Ah, forse vorresti… viag­giare?

        SILIA: Ecco qua: io… tu… viaggiare… Dico perché tu veda un po’ fuori di te… largo… Tanta vita diversa da questa che io non posso più soffrire, qua. – Sof­foco!

        GUIDO: Ma che vita vorresti, scusa?

        SILIA: Non lo so! Una qualunque… non così! Ah Dio, un alito… almeno un alito di speranza, che mi schiudesse appena appena, nell’avvenire, uno spira­glio! Ti giuro che me ne resterei ferma, qua, a respirare soltanto il refrigerio di questa speranza, senza correre ad affacciarmi alla finestra a vedere che cosa c’è di là per me!

        GUIDO: Come se fossi in una carcere!

        SILIA: Ma sono, in una carcere!

        GUIDO: E chi ti ci tiene?

        SILIA: Tu… tutti… io stessa… questo mio corpo, quando mi dimentico che è di donna, e nossignori, non me ne debbo mai dimenticare, dal modo come tutti mi guardano… come sono fatta… Me ne scordo… chi ci pensa?… guardo… Ed ecco, tutt’a un tratto, certi occhi… Oh Dio! scoppio a ridere, tante volte… Ma già, dico tra me. Davvero, io sono donna, sono donna…

        GUIDO: E mi pare, scusa, che non avresti ragione di lagnartene.

        SILIA: Già perché… piaccio. (Pausa. Poi:) Resterebbe da vedere quanto in que­sto poi c’entri anche il mio piacere, d’esser donna, quando non vorrei.

        GUIDO (lento, staccato): Come questa sera.

        SILIA: Il gusto, d’esser donna, non l’ho provato mai.

        GUIDO: Neanche per far soffrire un uomo?

        SILIA: Ah, forse per questo sì, spesso.

        GUIDO (c.s.): Come questa sera. (Pausa.)

        SILIA (dopo essere rimasta un po’ assorta, con angoscia esasperata): Ma la propria vita… quella che nessuno confida, neanche a se stesso!

        GUIDO: Come dici?

        SILIA: Non t’è mai avvenuto di scoprirti improvvisamente in uno specchio, mentre stai vivendo senza pensarti, che la tua stessa immagine ti sembra quella d’un estraneo, che subito ti turba, ti sconcerta, ti guasta tutto, richia­mandoti a te, che so, per rialzarti una ciocca di capelli che t’è scivolata sulla fronte?

        GUIDO: Ebbene?

        SILIA: Questo maledetto specchio, che sono gli occhi degli altri, e i nostri stessi, quando non ci servono per guardare gli altri, ma per vederci, come ci con­viene vivere… come dobbiamo vivere… Io non ne posso più! (Pausa.)

        GUIDO (appressandosi): Vuoi che ti dica sinceramente perché tu smanii così?

        SILIA (pronta, recisa): Perché tu mi stai davanti.

        GUIDO (restando male): Ah, grazie. Allora, me ne vado?

        SILIA (subito): Faresti bene, faresti bene.

        GUIDO (dolente): Ma perché, Silia?

        SILIA: Perché non voglio che…

        GUIDO (interrompendo): No, dico… mi tratti così male?

        SILIA: Non ti tratto male! Voglio che non ti si veda troppo qua, ecco.

        GUIDO: Ma che troppo! Se non vengo quasi mai! Sara più d’una settimana dal­l’ultima volta, scusa. Si vede che per te il tempo passa troppo presto.

        SILIA: Presto? un’eternità!

        GUIDO: E allora dici che, nella tua vita, io, non ci sono.

        SILIA (infastidita): Oh Dio, Guido, per carità…

        GUIDO: T’ho aspettata ogni giorno! Non ti fai più vedere…

        SILIA: Ma che vuoi vedere! Non vedi come sono?

        GUIDO: Perché non sai tu stessa quello che vuoi… e invochi, così, senza saper quale, una speranza che t’apra uno spiraglio nell’avvenire.

        SILIA: Già, perché, secondo te, dovrei andarci con un filo tra le dita, io, verso l’avvenire, a prender le misure: tanto posso volerlo, e di più no: come per i mobili, quando si va in una casa nuova.

        GUIDO: Se ti fa piacere credermi un pedante…

        SILIA: Ma sì, caro! Mi sembra uno sbadiglio tutto quello che mi dici.

        GUIDO: Grazie.

        SILIA: Vorresti farmi capire che ho avuto tutto quello che potevo volere, e che ora smanio così (lo dici tu) perché vorrei l’impossibile, è vero? Non è saggio. Eh, lo so… Ma che vuoi farci? Voglio l’impossibile!

        GUIDO: Ma per esempio?

        SILIA: Per esempio… Ma che ho avuto io, mi sai tu dire che ho avuto, di che dovrei contentarmi?

        GUIDO: Ma io non dico neanche contentarti, se non te ne contenti…

        SILIA: E che dici allora?

        GUIDO: È questione di misura, contentarsi. Uno si contenta di tanto, (fa segno col pollice sul mignolo) un altro ha tutto e non se ne contenta.

        SILIA: Io ho tutto?

        GUIDO: No… dico…

        SILIA: Spiegati!

        GUIDO: Ma spiega tu piuttosto, che altro vorresti?

        SILIA (come se parlasse lui): Ricca… padrona di me… libera… (A un tratto cangiando e infiammandosi:) Ma non hai ancora capito che questa è stata la sua vendetta?

        GUIDO: Per causa tua! Perché tu non sai approfittarti della libertà ch’egli t’ha data –

        SILIA: – di lasciarmi amare da te, o da un altro… di starmene qua, o altrove, li­bera, liberissima… (e. s.) Ma se non sono mai io!

        GUIDO: Come non sei tu?

        SILIA: Io, libera di disporre di me, come se non ci fosse nessuno!

        GUIDO: E chi c’è?

        SILIA: Lui! Io vedo sempre lui che me l’ha data, questa libertà come una cosa da nulla, andandosene a vivere per conto suo, e dopo avermi dimostrato tre anni, che non esiste, questa famosa libertà, perché, comunque possa avvaler­mene, sarò sempre schiava… anche di quella sua seggiola là, guarda! che mi sta davanti come qualche cosa che vuol essere una sua seggiola, e non una cosa per me, fatta perché io ci segga!

        GUIDO: Ma questa è una fissazione, scusa!

        SILIA: Io ho l’incubo di quest’uomo!

        GUIDO: Non lo vedi mai!

        SILIA: Ma c’è! c’è! E l’incubo non mi passerà mai, finché so ch’egli c’è! Ah Dio, morisse!

        GUIDO: Scusa, non seguita a venire, sì e no, la sera, per una mezz’oretta sol­tanto?

        SILIA: Non viene neanche più! Mentre è nei patti che deve venire, deve venire da me ogni sera, per mezz’ora. Ogni sera!

        GUIDO: E viene difatti. Non sale. Ti fa domandare dalla cameriera se non c’è nulla di nuovo…

        SILIA: Nossignore. Deve salire, deve salire. E deve stare qua, mezz’ora, ogni sera, com’è nei patti.

        GUIDO: Scusa… se dici…

        SILIA: Che cosa? Ti sembra un’altra contraddizione?

        GUIDO: Hai detto che per te è un incubo!

        SILIA: Ma io dico che ci sia, che viva, questo è l’incubo per me! Non è mica il suo corpo… Che io lo veda, anzi, è meglio. E apposta lui non si fa più vedere, perché lo sa. Mi si presenta… è li seduto… come un altro… non più brutto, né più bello d’un altro; gli vedo gli occhi, come li ha… che non mi sono mai piaciuti (Dio! odiosi… acuti come due aghi e vani nello stesso tempo), sento il suono della sua voce che mi dà ai nervi… e posso anche godere del fastidio che gli ho cagionato, d’esser salito per nulla.

        GUIDO: Non credo.

        SILIA: Che cosa non credi?

        GUIDO: Che sia capace di provar fastidio.

        SILIA: Ah, lo sai dire? Ma è questo! Io rimango per ore e ore schiacciata dal pensiero che un uomo come quello può esistere, quasi fuori della vita e come un incubo sulla vita degli altri. Guarda tutti dall’alto, lui, vestito da cuoco, da cuoco, signori miei! Guarda e capisce tutto, punto per punto, ogni mossa, ogni gesto, facendoti prevedere con lo sguardo l’atto che or ora farai, così che tu, sapendolo, non provi più nessun gusto a farlo. M’ha paralizzata, que­st’uomo! Io non ho più in me che un pensiero che farnetica di continuo! come levarmelo davanti; come liberarne, non me soltanto, ma tutti.

        GUIDO: Oh va’ !

        SILIA: Ti giuro! Si sente picchiare alla comune.

        Scena seconda

        Clara, Detti.

        CLARA: Permesso?

        SILIA: Avanti.

        CLARA (presentandosi sull’uscio): Il signore ha sonato dal cortile.

        SILIA: Ah, eccolo!

        CLARA (seguitando): Vuol sapere se non c’è nulla di nuovo.

        SILIA: Sì. Digli che salga! Digli che salga!

        CLARA: Subito. (Esce.)

        GUIDO: Ma perché, scusa, giusto questa sera che ci sono io?

        SILIA: Appunto per questo!

        GUIDO: No!

        SILIA: Sì! Per punirti d’esser venuto! E te lo lascio qua… Io mi ritiro… (S’avvia per l’uscio a destra.)

        GUIDO (correndo a trattenerla): No… per carità… Sei pazza?… Ma che dirà?

        SILIA: Che vuoi che dica?

        GUIDO: No… senti… È tardi…

        SILIA: Tanto meglio!

        GUIDO: Ma no! no, Silia! Tu vuoi proprio cimentarlo… È una pazzia!

        SILIA (svincolandosi): Non voglio vederlo!

        GUIDO: Ma nemmeno io, scusa!

        SILIA: Lo riceverai tu.

        GUIDO: Ah no, grazie! Non mi faccio trovare nemmeno io, sai!

        Silia si ritira per l’uscio a destra, e contemporaneamente Guido scappa nel salotto da pranzo, richiudendo la vetrata.

        Scena terza

        Leone Gala, poi Guido Venanzi, infine Silia.

        LEONE (dietro l’uscio a sinistra): Permesso? (Aprendo l’uscio e sporgendo il capo): Per me… (S’interrompe, vedendo che non c’è nessuno.) Ah… (Guarda intorno) bene bene…

        Cancella subito dal viso la sorpresa; cava dal taschino l’orologio; lo guarda; si reca verso la mensola del camino; apre il vetro del quadrante dell’orolo­gio di bronzo e aggiusta le lancette fino a far scoccare dalla soneria due tocchi: si rimette nel taschino l’orologio e va a sedere placido, impassibile, in attesa che passi la mezz’ora del patto.

        Dopo una breve pausa sì ode dall’interno del salotto da pranzo, attraverso la vetrata, un bisbiglio confuso. E Silici che spinge di là Guido a entrare nel sa­lotto. Leone non si volta nemmeno a guardare verso la vetrata. Poco dopo, una banda di questa si apre, e Guido vien fuori.

        GUIDO: Oh, Leone… Ero qua, a bere un bicchierino di «Chartreuse».

        LEONE: Alle dieci e mezzo?

        GUIDO: Già… difatti… ma stavo per andare…

        LEONE: Non dico per questo. Verde o gialla, la «Chartreuse»?

        GUIDO: Ma… non ricordo… verde, mi pare…

        LEONE: Verso le due, tu sognerai di schiacciare tra i denti una lucertola.

        GUIDO (con una smorfia dì ribrezzo): No… ih! che dici?

        LEONE: Positivo. Effetto dei liquori bevuti a una cert’ora dopo il pasto. (Pausa.) Silia?

        GUIDO (impacciato): Ma… era di là, con me.

        LEONE: E dov’è adesso?

        GUIDO: Non so… Mi… mi ha fatto venire qua, sentendo che tu eri entrato. Forse ora verrà.

        LEONE: C’è qualche cosa di nuovo?

        GUIDO: No… ch’io sappia…

        LEONE: E allora perché m’ha fatto salire?

        GUIDO: Stavo per licenziarmi, quando è entrata la cameriera ad annunziare che tu… non so, avevi sonato dal cortile.

        LEONE: Come faccio ogni sera.

        GUIDO: Già, ma… pare che voglia che tu salga…

        LEONE: L’ha detto?

        GUIDO: Sì sì, l’ha detto.

        LEONE: Stizzita?

        GUIDO: Un po’, sì, perché… credo che… non so, dev’esser nei patti stabiliti tra voi due, quando elegantissimamente…

        LEONE: Lascia star l’eleganza!

        GUIDO: Voglio dire, senza scandali…

        LEONE: Scandali? E perché?

        GUIDO: Senza procedure legali…

        LEONE: Inutili!

        GUIDO: Senza liti, insomma, vi siete separati.

        LEONE: E che liti volevi che avvenissero con me? Ho dato sempre ragione a tutti.

        GUIDO: Già. E difatti una tua invidiabile prerogativa, questa. Forse però… la­sciamelo dire, eccedi un po’…

        LEONE: Ti pare che ecceda?

        GUIDO: Sì, perché, vedi? tante volte tu… (Lo guarda e s’impunta.)

        LEONE: Io?

        GUIDO: Tu sconcerti.

        LEONE: Oh bella! Io sconcerto? Chi sconcerto?

        GUIDO: Sconcerti, perché… far tutto, sempre, a modo degli altri… come vo­gliono gli altri… Scommetto che se tua moglie ti diceva: «Litighiamo!».

        LEONE: Io le rispondevo: «Litighiamo!».

        GUIDO: Tua moglie ti disse: «Separiamoci!».

        LEONE: E io le risposi: «Separiamoci!».

        GUIDO: Vedi? Se tua moglie ti avesse allora gridato: «Ma così non possiamo li­tigare!».

        LEONE: Io le avrei risposto: «E allora, cara, non litighiamo!».

        GUIDO: E non comprendi che tutto questo, per forza, sconcerta? Perché, fare come se tu non ci fossi… capirai, per quanto uno faccia, poi, a un certo punto, si… si resta come trattenuti… impacciati… perché… perché è inutile… tu poi ci sei!

        LEONE: Già. (Pausa.) Ci sono. (Pausa. Con altro tono:) Non dovrei esserci?

        GUIDO: No, Dio mio, non dico questo!

        LEONE: Ma sì, caro! Non dovrei esserci. T’assicuro però che mi sforzo quanto più posso, d’esserci il meno possibile, e non solo per gli altri, ma anche per me stesso. La colpa è del fatto, caro mio! Sono nato. E quando un fatto è fatto, resta là, come una prigione per te. lo ci sono. Ne dovrebbero tener conto gli altri, almeno per quel poco, di cui non posso fare a meno, dico d’esserci. L’ho sposata; o, per esser più giusti, mi son lasciato sposare. Fatto, anche questo: prigione! Che vuoi farci? Quasi subito dopo, lei si mise a sbuf­fare, a smaniare, a contorcersi rabbiosamente per evadere… e io… t’assicuro, Guido, che ne ho molto sofferto… S’è trovata poi questa soluzione. Le ho la­sciato qua tutto, portandomi via soltanto i miei libri e le mie stoviglie di cu­cina (cose, come sai, per me inseparabili). Ma capisco che è inutile: nominalmente, la parte assegnatami da un fatto che non si può distruggere, resta: sono il marito. Anche di questo, forse, si dovrebbe tenere un po’ di conto. Mah! Sai come sono i ciechi, mio caro?

        GUIDO: I ciechi?

        LEONE: Non sono mai accanto alle cose. Di’ a un cieco, che vada cercando a tasto una cosa: L’hai costì accanto! le si volta subito contro. E così è quella benedetta donna! Mai accanto; sempre contro! (Pausa; guarda verso la ve­trata; poi:) Pare che non voglia venire… (Cava l’orologio dal taschino; vede che la mezz’ora non è ancora passata; lo ripone.) Non sai, se avesse in mente di dirmi qualche cosa?

        GUIDO: No… niente, mi pare…

        LEONE: E allora, il gusto di… (Compie la frase in un gesto che significa: «noi due».)

        GUIDO (non comprendendo): Come dici?

        LEONE: Sì, il gusto di tener noi due così, uno di fronte all’altro…

        GUIDO: Forse suppone che io –

        LEONE: – te ne sii già andato? (Fa segno di no col dito.) Entrerebbe.

        GUIDO (facendo atto d’andarsene): Ah, ma allora…

        LEONE (subito trattenendolo): No, ti prego. Vado via io a momenti. Se sai che non aveva nulla da dirmi… (Pausa. Alzandosi:) Ah, triste cosa, caro mio, quando uno ha capito il giuoco.

        GUIDO: Che giuoco?

        LEONE: Mah… anche questo qua. Tutto il giuoco! Quello della vita.

        GUIDO: Tu l’hai capito?

        LEONE: Da un pezzo. E anche il rimedio per salvarsi.

        GUIDO: Se tu me l’insegnassi!

        LEONE: Eh, caro. Non è rimedio per te. Per salvarsi, bisogna sapersi difendere. Ma è una certa difesa… dirò, disperata, che tu forse non puoi neanche inten­dere.

        GUIDO: Come sarebbe, disperata? Accanita?

        LEONE: No, no, disperata, caro, nel senso d’una vera e propria disperazione, ma pur tuttavia senza neanche un’ombra d’amarezza per questo.

        GUIDO: E che difesa allora, scusa?

        LEONE: La più ferma, la più immobile, appunto perché nessuna speranza più t’induce a piegarti verso una, sia pur minima, concessione né agli altri né a te stesso.

        GUIDO: Non capisco. E la chiami difesa? Difesa di che cosa, se dev’esser così?

        LEONE (lo guarda un tratto severo e fosco; poi, dominandosi e quasi riassor­bendosi in una impenetrabile serenità): Di niente, in te, se in te riesci, come sono riuscito io, a non aver più nulla. Che vuoi difendere? Difenderti, io dico! Dagli altri, e sopratutto da te stesso; dal male che la vita fa a tutti, ine­vitabilmente; quello che io mi son fatto per lei (indica di nuovo la vetrata, dietro alla quale suppone che Silia sia nascosta) tant’anni! quello che io fac­cio a lei, anche così del tutto isolato come mi tengo; quello che tu fai a me…

        GUIDO: Io?

        LEONE: Ma sì, inevitabilmente. (Spiandolo negli occhi:) Credi di non farmi nessun male tu?

        GUIDO (smorendo): Mah… ch’io sappia…

        LEONE (per rinfrancarlo): Oh, anche senza saperlo, mio caro! Tu mangi carne, a tavola. Chi te la dà? Un pollo, o un vitello. Non ci pensi nemmeno. Ce lo facciamo tutti, il male, a vicenda; e ciascuno a se stesso, poi… Per forza! È la vita. Bisogna vuotarsene.

        GUIDO: Bravo! E che ti resta allora?

        LEONE: Contentarsi, non più di vivere per sé, ma di guardar vivere gli altri, e anche noi stessi, da fuori, per quel poco che pur si è costretti a vivere.

        GUIDO: Ah, troppo poco, scusa!

        LEONE: Sì, ma ti compensa un godimento meraviglioso: il giuoco appunto del­l’intelletto che ti chiarifica tutto il torbido dei sentimenti, che ti fissa in linee placide e precise tutto ciò che ti si muove dentro tumultuosamente. Capirai però, che sarebbe molto pericoloso il godimento di questo lucido e tranquillo vuoto che ti fai dentro, perché, tra l’altro, rischierebbe di farti andare come un pallone su tra le nuvole, se tu non ti mettessi anche dentro, con arte e con perfetta misura, una necessaria zavorra.

        GUIDO: Ah, ecco! Mangiando bene?

        LEONE: Per ristabilire l’equilibrio; perché tu possa sempre, insomma, restare in piedi come quei buffi giocattoli, che tu puoi buttar come vuoi: ti restan sem­pre ritti per il loro contrappeso di piombo. Non siamo altro, credi. Ma biso­gna saperselo fare, questo vuoto e questo pieno: se no, si resta per terra e nei più goffi atteggiamenti. Insomma, via, la salute è qui: trovare un pernio, caro, il pernio d’un concetto per fissarsi.

        GUIDO: Ah, no, no! Grazie tante! Non è per me! Non è per me davvero! E non è neppur facile!

        LEONE: Già. Perché non si trovano belli e fatti in commercio, questi pernii: te li devi fabbricare da te, e non uno solo: tanti! uno per ogni caso, e ben solido, perché il caso, che ti arriva spesso imprevisto e violento, non te lo schianti.

        GUIDO: Eh! ma quando t’avvengono certi casi, caro mio!

        LEONE: Ma perciò appunto la cucina! Che il caso ti trovi cuoco, è una gran cosa! Del resto, non è mai il caso… dico non devi mai guardarti dal caso, ve­ramente. Scusa: che vuol dire il caso? Gli altri, o le necessità della natura.

        GUIDO: Appunto, che possono essere terribili!

        LEONE: Ma più o meno, a seconda di chi le subisce. E perciò ti dicevo! Tu devi guardarti di te stesso, del sentimento che questo caso suscita subito in te e con cui t’assalta! Immediatamente, ghermirlo e vuotarlo, trarne il concetto, e allora puoi anche giocarci. Guarda, è come se t’arrivasse all’improvviso, non sai da dove, un uovo fresco…

        GUIDO: Un uovo fresco?

        LEONE: Un uovo fresco.

        GUIDO: E se t’arriva invece una palla di piombo?

        LEONE: Allora ti vuota lei, e non se ne parla più.

        GUIDO: Ma perché un uovo fresco, scusa?

        LEONE: Per darti una nuova immagine dei casi e dei concetti. Se non sei pronto a ghermirlo, te ne lascerai cogliere o lo lascerai cadere. Neil’un caso e nel­l’altro, ti si squacquererà davanti o addosso. Se sei pronto, lo prendi, lo fori, e te lo bevi. Che ti resta in mano?

        GUIDO: Il guscio vuoto.

        LEONE: E questo è il concetto! Lo infilzi nel pernio del tuo spillo e ti diverti a farlo girare, o, lieve lieve ormai, te lo giuochi come una palla di celluloide, da una mano all’altra: là, là e là… poi: paf. lo schiacci tra le mani e lo butti via.

        A questo punto, all’improvviso, scoppia dal salotto da pranzo una gran risa­ta di Silia.

        SILIA (riparata dietro la banda della vetrata rimasta chiusa): Ah! ah! ah! Ma non sono mica un guscio vuoto, io, nelle tue mani!

        LEONE (subito, voltandosi e appressandosi alla vetrata): Oh no! E tu non mi vieni più addosso, cara, perché io ti prenda, ti fori, e ti beva! (Finisce appena di dir questo, che Silia, senza mostrarsi, gli chiude in faccia l’altra mezza ve­trata. Leone resta un po’ lì a tentennare il capo; poi riviene avanti, rivolto a Guido:) Ecco un grande svantaggio per me, mio caro. Era una straordinaria scuola d’esperienza per me. È venuta a mancarmi. (Alludendo a Silia di là:) Piena d’infelicità, perché piena di vita. E non d’una sola: di tante. Nessuna però, che riesca a trovare il suo pernio. E non c’è salute, né per lei, né con lei.

        GUIDO (assorto, senza rifletterci, tentenna il capo anche lui, malinconica­mente).

        LEONE: Approvi?

        GUIDO (riprendendosi): Eh!… sì… perché… è proprio così!

        LEONE: E forse tu non sai tutta la ricchezza che è in lei… certe cose che ha, che non parrebbero sue, non perché non siano, ma perché tu non vi badi, perché tu la vedi sempre e solamente a quel modo che per te è il vero suo. Ti pare impossibile, per esempio, che possa canticchiare qualche mattina… così… svagata… Eppure canticchia, sai? La sentivo io, certe mattine, da una stanza all’altra. Con una cara vocina trillante, quasi di bimba. Un’altra! Ma ti dico un’altra, non così per dire. Proprio un’altra; e lei non lo sa. Una bimba che vive un minuto e canta, quando lei è assente da sé. E se vedessi come qual­che volta resta… così… con una certa luce di brio lontano negli occhi, mentre con due dita che non sanno si tira lentamente i riccioli sulla nuca… Mi sai dire chi è, quando è così? Un’altra lei, che non può vivere, perché ignota a se stessa, perché nessuno le ha mai detto: «Ti voglio così; devi esser così…». C’è il rischio ch’ella ti domandi: «Come?». Tu le rispondi: «Ma com’eri dianzi!». E che ella torni a domandarti: «Com’ero?». «Cantavi…» «Cantavo?» «Sì… e ti stiravi i riccioli sulla nuca… così…» Non lo sa; ti dice che non è vero. Non riconosce affatto se stessa nell’immagine che tu le prospetti di lei come l’hai veduta dianzi, seppure la vedi! perché tu la vedi sempre a un modo, come è per te, e basta. Che pena, caro mio! Ecco una cara, graziosa possibilità d’essere, ch’ella potrebbe avere, e non ha!

        Pausa lunga, triste. E nella tristezza del silenzio, l’orologio di bronzo sulla mensola del camino suona le undici.

        LEONE (riscotendosi): Ah, le undici, salutamela! (S’avvia frettolosamente, per l’uscio a sinistra.)

        SILIA (subito, aprendo la vetrata): No… aspetta… aspetta un po’…

        LEONE: Ah, no, prego: la mezz’ora è passata!

        SILIA: Ti volevo dar questo! (Gli mette in mano, ridendo, un guscio d’uovo.)

        LEONE: Ah! Ma non l’ho bevuto io! Ecco… guarda… (S’avvicina rapidamente a Guido e glie lo dà. ) Diamolo a lui !

        Guido automaticamente lo prende e resta lì goffo col guscio vuoto in mano, mentre Leone, ridendo forte, se ne va.

        Scena quarta

        Detti, meno Leone.

        SILIA: Pagherei la mia stessa vita, perché qualcuno lo ammazzasse!

        GUIDO: Perdio, in testa glielo voglio tirare! (Corre verso la finestra a sinistra.)

        SILIA (ridendo): Da’, da’… sì! glielo tiro io… glielo tiro io…

        GUIDO (dandole il guscio, o piuttosto, lasciandoselo prendere): Ma saprai co­glierlo?

        SILIA: Sì… da’ qua! (Si fa alla finestra, si sporge a guardare, attenta e pronta a tirare il guscio:) Come esce dal portone…

        GUIDO (dietro a lei): Attenta… attenta…

        SILIA (lancia il guscio; e subito, ritraendosi con un grido): Oh Dio!

        GUIDO: Che hai fatto?

        SILIA: Dio mio…

        GUIDO: Hai colto un altro?

        SILIA: Sì…, ma perché, con l’aria, a un certo punto ha deviato…

        GUIDO: Sfido! Vuoto… Bisognava saperlo tirare…

        SILIA: Salgono!

        GUIDO: Chi?

        SILIA: Era un crocchio di quattro signori… presso il portone… Come lui è uscito, sono entrati… Forse inquilini.

        GUIDO: Eh via, dopo tutto:.. (Profittando dello smarrimento di lei, la abbrac­cia.)

        SILIA: M’è parso che sia caduto addosso a uno…

        GUIDO: Ma che vuoi che gli abbia fatto? Un guscio vuoto… Non pensarci più!… (Ricordandosi di ciò che ha detto Leone, ma appassionatamente, senza caricatura:) Ah cara! Tu mi sembri una bambina…

        SILIA (stordita): Che dici?

        GUIDO: Sì, sì… e ti voglio così… devi essere così…

        SILIA (scoppiando a ridere): Ah! ah! ah! Come diceva lui!

        GUIDO (senza smarrirsi, con passione, nella voglia sempre più pressante di lei): Sì, ma è vero… è vero… non vedi che in te c’è una bambina folle?

        SILIA (alzando le mani sulla faccia di lui, come per graffiarlo): Una tigre!

        GUIDO (senza lasciarla): Per lui sì… Ma per me che ti voglio così… una bam­bina…

        SILIA (quasi ridendo): E tu allora uccidimelo!

        GUIDO: Ma via! Che dici?

        SILIA: Se sono una bambina, posso anche chiederti questo.

        GUIDO (per prestarsi allo scherzo): Perché è proprio come l’orco per te?

        SILIA: Sì; che mi fa tanta paura. Me lo uccidi? me lo uccidi?

        GUIDO (c.s.): Sì, sì, te lo uccido. Ma tu, ora…

        SILIA (reluttando): No, no, Guido, ti prego…

        GUIDO (ebro di lei): Ma non senti come ti sento? Basta che ti tocchi!

        SILIA (c.s., ma languidamente): Ti dico di no…

        GUIDO (c.s. trascinandola verso l’uscio a destra): Sì… sì… Via, Silia… Ora non posso lasciarti più…

        SILIA: Ma no… per carità… lasciami…

        GUIDO: Come ti lascio? No… Come vuoi che ti lasci più, ora?

        SILIA: Sai che qui non voglio… C’è la donna… (Si sente picchiare dietro l’u­scio a sinistra.) Ecco, vedi?

        GUIDO (spingendola verso l’uscio a sinistra): Va’, va’, non farla entrare! Io t’aspetto di là… (Via di fretta per l’uscio a destra.) Presto… senti? (Via, ri­chiudendo l’uscio.)

        Scena quinta

        Silia, Clara, Miglioriti e i tre signori ubriachi, poi gl’inquilini dei piani di sopra e di sotto

        Silia va verso l’uscio a sinistra. A un tratto di là dall’uscio si sente la voce di Clara.

        CLARA (gridando): Giù le mani! Vadano via! Non sta qui! L’uscio, spinto dall’interno, s’apre ed entrano rumorosamente il marchesino Miglioriti ubriaco e gli altri tre, tutti in abiti da sera, con Clara che si sforza ancora di impedir loro il passo.

        MIGLIORITI (parlando a modo degli ubriachi): Ma via, stupida! Come non sta qui, se eccola là?

        PRIMO SIGNORE UBRIACO: La cara Pepita!

        SECONDO SIGNORE UBRIACO: Viva la Spagna!

        TERZO SIGNORE UBRIACO: E guardate che casa, signori! C’est charmant!

        SILIA: Ma come! Chi sono? Come sono entrati?

        CLARA: Di prepotenza! Sono ubriachi!

        MIGLIORITI: Ma che prepotenza!

        PRIMO SIGNORE UBRIACO: Che ubriachi!

        MIGLIORITI: M’ha chiamato lei! M’ha tirato un guscio d’uovo dalla finestra!

        SECONDO SIGNORE UBRIACO: Siamo quattro gentiluomini!

        TERZO SIGNORE UBRIACO (indicando la sala da pranzo, a cui s’avvia): Se qui si offre anche da bere ai signori clienti! Ah! C’est tout à fait délicieux!

        SILIA: Oh Dio! Ma che vogliono?

        CLARA: Qua sono in casa d’una signora per bene!

        MIGLIORITI: Ma lo crediamo, cara Pepita!

        SILIA: Pepita?

        CLARA: Sissignora! Quella della casa qui accanto… L’ho detto loro!

        SILIA (scoppia a ridere): Ah! ah! ah! ah! (Poi, con una luce sinistra negli occhi, come se le fosse balenata una diabolica idea:) Ma sì, ecco, signori: sono Pepita, sì!

        SECONDO SIGNORE UBRIACO: Viva la Spagna!

        SILIA: Sì, sì, s’accomodino, s’accomodino… o se vogliono bere di là col loro amico…

        MIGLIORITI: No… io… ecco… veramente… (Le si butta quasi addosso per ab­bracciarla.)

        SILIA (parandolo): Che cosa?

        MIGLIORITI: Vorrei prima bermi te!

        SILIA: Aspetti, aspetti… un momentino…

        SECONDO SIGNORE UBRIACO (c.s.): E anch’io, Pepita!

        SILIA (difendendosi): Anche lei? Sì, ecco… piano!

        SECONDO SIGNORE UBRIACO: Vogliamo una notte tutta spagnuola.

        PRIMO SIGNORE UBRIACO: Io per me non ho intenzione, ma…

        SILIA: Piano… piano… Ecco… prima… qua, buoni… si mettano a sedere...(Li spinge, si fa largo, li accompagna per metterli a sedere:) Così… ecco… bravi… così… (Corre a Clara, e le dice sottovoce:) Va’ a chiamar gente, su­bito… sopra, sotto… (Clara annuisce e scappa via.)

        SILIA: Permettano un momento… (Si reca all’uscio di destra, e lo chiude a chiave, per impedire a Guido d’entrare.)

        MIGLIORITI (provando ad alzarsi): Oh, ma se tu ci hai di là un signore, fai pure con comodo, sai?

        SECONDO SIGNORE UBRIACO: Sì, sì… noi aspetteremo…

        PRIMO SIGNORE UBRIACO: Io non ho intenzione… ma…

        SILIA: Stieno… stieno seduti… Lor signori sono perfettamente in sensi, è vero?

        I TRE SIGNORI UBRIACHI: – Perfettamente! – Ma come no? – In sensi ! In sensi!

        SILIA: E non hanno il minimo sospetto di trovarsi in casa d’una signora per bene?

        TERZO SIGNORE UBRIACO (venendo innanzi, traballando, dal salotto da pranzo con un bicchiere in mano): Oh, oui… mais… n’exagère pas, mon petit chou! Nous voudrions nous amuser un peu… Voilà tout!

        SILIA: Ma io non ricevo in casa che amici! Se lor signori vogliono essere amici…

        SECONDO SIGNORE UBRIACO: E come no?

        PRIMO SIGNORE UBRIACO: Amicissimi!

        SILIA: Mi favoriscano allora i loro nomi.

        SECONDO SIGNORE UBRIACO: Io mi chiamo Cocò!

        SILIA: Ma no… non così…

        SECONDO SIGNORE UBRIACO: Ti giuro… mi chiamo Cocò!

        PRIMO SIGNORE UBRIACO: E io Meme!

        SILIA: Ma no! io dico di favorirmi i loro biglietti da visita.

        SECONDO SIGNORE UBRIACO: Ah, no, no, no… Grazie tante, carina!

        PRIMO SIGNORE UBRIACO: Io non ce l’ho… Ho perduto il portafogli… (a Miglioriti:) Fa’ il piacere, daglielo tu per me…

        SILIA (a Miglioriti): Ecco, sì: almeno lei, che è il più buono.

        MIGLIORITI (cavando il portafogli): Io non ho difficoltà…

        SECONDO SIGNORE UBRIACO: Lui glieli può dare per tutti noi… voilà!

        MIGLIORITI: Ecco qua, Pepita!

        SILIA: Ah, grazie… Bravo… Lei è il Marchese Miglioriti?

        PRIMO SIGNORE UBRIACO: Marchesino!

        SILIA (al secondo ubriaco): Lei, Meme?

        SECONDO SIGNORE UBRIACO: No, Cocò… Lui, Meme. (Indica il primo ubriaco.)

        SILIA: Ah, bene… Cocò… Meme, e lei? (al terzo ubriaco.)

        TERZO SIGNORE UBRIACO (con melensa aria furbesca): Moi… moi… je ne sais pas, mon petit chou!

        SILIA: Non importa! Me ne basta uno.

        SECONDO SIGNORE UBRIACO: Ma vogliamo esser tutti! La vogliamo tutti –

        TERZO SIGNORE UBRIACO: – una notte spagnuola!

        PRIMO SIGNORE UBRIACO: Io non ho intenzione… ma vorrei vederti ballare, Pe­pita… Con le nàcchere, sai?

        SECONDO SIGNORE UBRIACO: Sì, prima ballare… e poi…

        MIGLIORITI: Ma non vestita così!

        TERZO SIGNORE UBRIACO: Ma che vestita, signori! Niente, vestita!

        SECONDO SIGNORE UBRIACO (alzandosi e facendosi addosso a Silia): Già!..”. Sì!… Nuda… Sì… nuda, nuda…

        GLI ALTRI (c.s. affollandosi come se volessero denudarla): Nuda! nuda! benis­simo! Sì, nuda!

        SILIA (schermendosi, divincolandosi): Ma non qua, signori, scusate! Nuda, sì… ma non qua!

        TERZO SIGNORE UBRIACO: E dove?

        SILIA: In piazza, se mai, signori!

        MIGLIORITI (restando): In piazza?

        SECONDO SIGNORE UBRIACO (c.s.): Come, in piazza?

        PRIMO SIGNORE UBRIACO (c.s.): Nuda in piazza?

        SILIA: Ma sì! C’è la luna… Non passa nessuno… C’è solo la statua del re a ca­vallo… Ecco, là! Tra loro quattro signori in marsina…

        Sopravvengono a questo punto con Clara tre signori e due signore dei piani di sotto e di sopra, gridando confusamente.

        GLI INQUILINI: – Come? – Ma che cos’è? – Chi sono? – Un’aggressione?

        CLARA: Eccoli! eccoli!

        SILIA (mutando improvvisamente tono e atteggiamento): Aggredita! aggredita in casa, signori! Hanno forzato la porta, mi sono saltati addosso, mi hanno strappato, come lor signori vedono, e insultato in tutti i modi, vigliacca­mente!

        SECONDO INQUILINO (cercando di cacciarli): Via, via!

        PRIMO INQUILINO: Si scosti !

        TERZO INQUILINO: Fuori di qui!

        PRIMO SIGNORE UBRIACO: Si calmi! si calmi!

        SECONDO INQUILINO: Fuori, fuori!

        PRIMA INQUILINA: Che mascalzoni!

        MIGLIORITI: Ma c’è diritto d’entrata!

        SECONDO SIGNORE UBRIACO: La Spagna è in commercio!

        SECONDA INQUILINA: Vergogna!

        TERZO INQUILINO: Via, via, ubriachi!

        TERZO SIGNORE UBRIACO: Eh, dopo tutto non c’è da far tanto strepito!

        MIGLIORITI: La cara Pepita…

        SECONDO INQUILINO: Ma che Pepita!

        PRIMA INQUILINA: Che Pepita! È la signora Gala.

        TERZO INQUILINO: Capite? La signora Gala.

        GLI UBRIACHI. La signora Gala?

        PRIMO INQUILINO: Sicuro!

        PRIMA INQUILINA: Vergogna!

        SECONDO SIGNORE UBRIACO: E va bene… Domandiamo scusa dello sbaglio.

        GLI INQUILINI: Fuori, fuori!

        PRIMO SIGNORE UBRIACO: Doucement, doucement, s’il vous plait!

        MIGLIORITI: La colpa è di lui che si è messo a cantare la Carmen.

        TERZO SIGNORE UBRIACO: Volevamo onorare la Spagna.

        TERZO INQUILINO: Insomma, basta: vadano fuori!

        SECONDO SIGNORE UBRIACO: No, chiediamo prima perdono alla signora.

        PRIMO INQUILINO: La finiscano, basta!

        MIGLIORITI: Sissignori… ecco, sissignori… e voi tutti, ecco qua… in ginocchio… domandiamo perdono…

        SILIA (a Miglioriti inginocchiato): Ah no! Non basta, signore! Io ho il suo nome! E lei risponderà dell’oltraggio che è venuto a farmi in casa coi suoi compagni!

        MIGLIORITI: Se chiediamo perdono…

        SILIA: Non accetto scuse e non concedo perdono!

        MIGLIORITI (alzandosi): E sta bene… (con rammarico:) Lei ci ha il mio biglietto da visita… Sono pronto a rispondere…

        SILIA: Escano fuori! Via, subito, da casa mia!

        I quattro ubriachi, che tuttavia sentono l’obbligo di salutare, son cacciati via dai signori inquilini e accompagnati alla porta da Clara.

        SILIA (agli inquilini): Io ringrazio lor signori, e chiedo loro scusa dell’inco­modo.

        SECONDO INQUILINO: Ma che dice mai, signora!

        PRIMO INQUILINO: Dovere, dovere!

        PRIMA INQUILINA: Tra vicini!

        TERZO INQUILINO: Ma che mascalzoni!

        PRIMA INQUILINA: Non si può essere neanche sicuri in casa propria.

        SECONDA INQUILINA: Forse, però, la signora… visto che hanno domandato per­dono…

        SILIA: Ah, no, scusi! È stato detto loro e ripetuto ch’erano in casa d’una si­gnora per bene, e nonostante questo… lor signori non sanno che proposte hanno osato farmi.

        PRIMO INQUILINO: Ma sì. La signora ha ragione!

        SECONDO INQUILINO: Ha fatto bene! ha fatto bene!

        PRIMA E SECONDA INQUILINA: Una lezione! una lezione! Povera signora!

        SILIA: So il nome d’uno di questi… gentiluomini; me l’ha dato lui stesso per dimostrarmi che, se era in casa d’una signora per bene, era anche lui un gen­tiluomo…

        TERZO INQUILINO: E chi è? chi è?

        SILIA: Ecco, leggano! Il marchese Miglioriti!

        PRIMA INQUILINA: Oh! il marchese Miglioriti!

        SECONDA INQUILINA: Un marchese!

        TUTTI: Vergogna!

        SILIA: Lor signori intendono la provocazione?

        SECONDA INQUILINA: Ma sì, ha ragione! Una lezione!

        PRIMA INQUILINA: Bisogna che siano svergognati.

        TERZO INQUILINO: E puniti!

        PRIMO INQUILINO: Davanti a tutto il paese.

        SECONDO INQUILINO: Ora però si calmi, signora…

        SECONDA INQUILINA: Sì, vada a riposare…

        PRIMA INQUILINA: Noi la lasciamo…

        TUTTI: A rivederla… A rivederla… Buona notte. (Via.)

        Scena sesta

        Silia, Guido.

        SILIA (appena usciti gl’inquilini, tutta accesa, vibrante, guarda il biglietto da visita di Miglioriti, e fa cenno di sì, fra sé, ridendo, per significare che ha raggiunto il suo scopo segreto. Intanto Guido picchia forte all’uscio a de­stra): Eccomi! Eccomi! – (Corre ad aprire.)

        GUIDO (fremente di rabbia, di sdegno): Perché mi hai chiuso dentro? Mi sono mangiate le mani dalla rabbia!

        SILIA: Ma sì… ma sì… Non ci mancava altro, che tu venissi fuori dalla mia ca­mera a difendermi, a compromettermi e… (lo guarda con occhi ridenti da pazza) a comprometter tutto! (Gli mostra il biglietto del Miglioriti.) Guarda: ce l’ho! E qui!

        GUIDO: Lo so! Lo conosco bene… Ma che vorresti fare ora?

        SILIA: L’ho qui, ti dico! Per lui! (Allude al marito.)

        GUIDO (guardandola, atterrito): Silia… (Le s’appressa per toglierle il bi­glietto.)

        SILIA (riparandolo): Che? Voglio vedere se non son buona da procurargli… almeno almeno qualche fastidio!

        GUIDO (c.s.): Ma sai tu chi è questo signore?

        SILIA: Il marchese Aldo Miglioriti.

        GUIDO: Per carità… per carità, levati codesto pensiero dalla mente!

        SILIA: Io non mi levo nulla! M’ha lasciato qua l’amante che non poteva difen­dermi? Ci penserà lui!

        GUIDO: Ah, no, sai! Io te lo impedirò a ogni costo!

        SILIA: Tu non impedirai niente! Già, non puoi…

        GUIDO: Oh, vedrai!

        SILIA: Ce la vedremo domani! (Forte, staccando, imperiosamente:) Oh, senti; basta… Sono stanca.

        GUIDO (cupo, minaccioso): Me ne vado.

        SILIA (subito, imperiosa): No! (Pausa. – Con altra voce:) Vieni qua…

        GUIDO (senza arrendersi, accostandosi): Che vuoi?

        SILIA: Che voglio… che voglio… Non voglio più vederti così… (Pausa. – Ride tra sé, forte; poi:) Ma sai che, poveri ragazzi, li ho trattati proprio male?

        GUIDO: Ma sì, scusa: volevo dirti questo appunto; non ne hai ragione.

        SILIA (di nuovo recisa, imperiosa, non volendo ammettere discussioni su que­sto punto): Ah, no! questo, no!

        GUIDO: Hanno sbagliato… T’hanno chiesto perdono!

        SILIA: Basta, t’ho detto, su questo punto! (Pausa.) Dico per loro… in sé, poverini… così buffi… (Con un sospiro d’accorata invidia:) Che capricci, di notte, possono venire agli uomini… La luna… Mi volevano veder ballare, sai? in piazza… (Pianissimo, quasi all’orecchio:) nuda…

        GUIDO: Silia…

        SILIA (reclinando la testa indietro, gli solletica coi capelli il volto): Voglio essere la tua bambina folle.

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1918 – Il giuoco delle parti – Commedia in tre atti
Premessa e articolo di Antonio Gramsci

Personaggi, Atto Primo
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